La
avvicino fingendo di esserle distante. Le mie parole la recintano. E la
bestia bellissima e divina non oppone resistenza, come se aspettasse da
sempre il suo padrone. Vorrei
scoprirla, conoscerla come non ho mai conosciuto me stesso: proprio in
quel modo! Vorrei
tuffarmi in una delle sue pupille e percorrere
i suoi corridoi, le sue stanze, annusarne i vizi, i desideri
serpentini del suo corpo. Vorrei che mi sentisse dentro, nell’abisso
della sua cerne, nelle profondità corporali che neanche lei sapeva di
avere. Vorrei
esploderle dentro, e disperdere i miei frammenti sul terreno del
suo già stato, così che essi ne vengano assorbiti come acqua, fino a
nutrirne le radici, fino a diventare
anch’io una sua radice. Vorrei
cadere in lei, vorrei cadere con lei… e che
in una notte senza ragione i nostri muscoli e i nostri occhi
aprissero una danza senza fine su di un letto di inebriante solitudine,
congelati da un vento che ci
avvicina alla morte, avvicinandoci
nella morte. Eppure
appena un suo gesto arriverà
a commuovermi tutto sarà finito, tutto sarà mai stato, ed io risalirò
velocemente dalle sue radici, su
verso l’esterno, schizzando fuori dalle sue pupille ridissolvendomi
nel buio dietro la SIEPE, cacciatore che non sa cibarsi della preda,
voyer che teme di toccare la vita e soprattutto… di esserne toccato.
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Ti
conosco per quello che sei, ti vedo senza filtri e senza il limite della
mia morale. Ti darò non quello che mi chiedi, ma ciò che intimamente
vuoi, e che spaventa ancora la tua mente.
Credi di amare la sicurezza e un uomo che ti stimi, ma vibri solo
sull’orlo dell’abisso, quando precaria ti aggrappi a un ramo che
speri che si spezzi. E cerchi un uomo che ti faccia espiare, che ti
stordisca con parole amare, e che di dolce ti dia ad assaggiare solo le gocce del suo
sangue e il seme da succhiare. Cerchi
l’offesa, l’urto, lo spavento, le mani forti ed il dolore dentro.
Cerchi chi sappia inginocchiarti davanti a sé, offrendoti il piacere
nella coppa dell’umiliazione. Cerchi
chi ha scorto in te, dietro le ali e quello sguardo che rimanda a Dio,
la coda, il vizio, e il fuoco che ti alberga in ventre. Cerchi la
scossa, e un complice tremendo, che sia maestro nel darti sensazioni che
la tua pelle a malapena regga, e che ti porti in alto e poi ti
scaraventi in basso e prima dello schianto ti porti ancora su, fino alla
vertigine del più interdetto, inammissibile, proibito piacere. Cerchi un uomo che osi governarti, che non si faccia scrupoli ad usarti, cerchi lussuria in atmosfere e situazioni dannate, per quanto sanno dare il brivido che parte dalla schiena e sboccia dentro l’inguine, portando un fiume in piena nel mezzo delle anche, lì dove conservi l’anima,… l’unica che hai!.
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Una
goccia d’acqua
giaceva in un punto magico della terra, nell’ineffabile confine fra
Sud e Nord e fra Est e Ovest. Invece
di trasformarsi in
rigagnolo, poi in torrente, poi in fiume, scorrendo in una delle
direzioni, restava lì, immobile, a tremare su se stessa per i venti che
le giungevano da tutte e quattro le direzioni, mentre il sole, il sole
non giungeva mai fino a
lei, da nessuno dei quattro punti cardinali; la goccia, nella sua
indecisione era troppo distante da ognuno di quei punti, affinché da
uno di essi potesse giungerle qualche raggio di sole. Un
giorno un bambino dagli occhi lucidi e colmo di emozioni senza una meta,
passò per quel punto magico in cui la goccia scontava il suo tempo
d’indecisione. Il bimbo parlò alla goccia, la esortò a farsi trasportare via da quel
luogo posto al di quà di ogni dove. Ma la goccia non rispose. Il
bambino allora le disse che sarebbe tornata
la mattina del giorno dopo per avere una risposta. Ma quando tornò
, la goccia si era trasformata in un piccolissimo punto di ghiaccio, era
come un minuscolo pianeta di solitudine, luccicante e assente, era come
una minuscola lacrima cristallizzata, come un frammento di specchio
che ormai non catturava in sè alcuna espressione, nè tristezza
nè felicità. Anni
dopo, su un altro confine, quello fra la notte e il giorno, giaceva uno
sguardo, così profondo da poter ingoiare tutto ciò che finiva per
incrociarne la forza d’attrazione,
e ogni cosa poteva diventare satellite intorno ad esso, ed ogni
uomo poteva esserne divorato...se solo in quel luogo, sul confine fra
giorno e notte, ci fosse stata qualche cosa....o almeno qualche uomo.... Un giorno però.... passò da lì un uomo....dagli occhi lucidi e con
dentro ancora qualche emozione senza meta e un ricordo doloroso. Questo
uomo, sentita tutta la potenza di questo sguardo, gli chiese di poterlo
portare con sé, così che esso potesse posarsi sulle bellezze infinite
del mondo, sui colori
dei vari cieli della terra e sui vari tramonti, da quello di Venezia a
quello cinese. Ma lo sguardo disse che non poteva muoversi da lì, che
doveva decidere se guardare la notte, la luna, le stelle, l’interiorità
delle cose, il volto della malinconia, o guardare verso il giorno, il
sole,la gente che si sveglia e i girasoli che avevano fatto impazzire
Van Gogh per la loro bellezza.... Intanto
però lo sguardo non guardava da nessuna parte, era aperto, ma non
rivolto a nulla. L’uomo dagli occhi lucidi gli disse che sarebbe
ritornato il giorno dopo per una risposta. Il giorno dopo trovò
soltanto un paio d’occhi eternamente chiusi sulla vita, occhi che non
avrebbero visto più niente e che ancora niente avevano visto,
nonostante fossero già tanto stanchi. Molti
anni dopo, su un altro confine, quello fra la luce e il buio, passò un
vecchio dagli occhi lucidi un’emozione superstite e senza meta e due
ricordi dolorosi. Il vecchio scorse lì, sul filo del confine, un fiore, bellissimo, ma
dall’aspetto debole, morente. Era di una specie sconosciuta, di un
odore commovente e di una morbidezza imbarazzante e fragile, troppo
fragile forse, per le mani rugose e dure del vecchio. Il fiore era così
debole perché non si nutriva di luce, era indeciso se crescere in
direzione della luce, dove però mani avide di bellezza avrebbero potuto
sciuparlo, o adagiarsi nel buio, lì dove nessuno l’avrebbe visto , lì
dove nessuno sguardo ne avrebbe abusato. Il vecchio aprì la bocca come
per chiedere al fiore qualcosa....ma poi non disse niente e si avviò
oltre...con in mano quel fiore, che aveva delicatamente sradicato da quel confine per piantarlo al centro del suo cuore,
al centro della sua ultima emozione, che adesso aveva una meta.
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