Se volessi dare, come si fa ad un profumo, un nome alle mie notti le chiamerei "come d'inverno". Come d'inverno nelle mie notti lo sguardo sembra più corto, saranno gli occhi velati dal freddo, sarà forse la nebbia, e come d'inverno non riesco a respirare profondo perché se lo faccio la gola si stringe per respingere il freddo, e nelle mie notti proprio come succede d'inverno gli animali più miti si ritirano presto e lasciano il campo alle bestie più dure a morire, ai cani rognosi ai topi di fogna e ai lupi, appunto. Sono stato molte volte d'inverno di notte in rifugi ventosi in mezzo alla neve, impossibile uscire il freddo ti mangia non c'è niente da fare là fuori, bisogna sedersi e aspettare la fine. Nelle mie notti si sente il profumo del tempo, pesante, ammuffito, denso, si sente il sapore della vita, unta, grassa, un po’ stantia, come un maiale allo spiedo buonissimo ieri.
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Spaventata e sicura, intrepida e fragile, cacciatrice di sogni possibili, già infranta, già ferita, già delusa, già intrisa di sangue, già ruvida pelle, ancora bambina, corri veloce verso il traguardo, il primo così grande. E quando allora ti sembrerà di essere sola e indifesa, in balìa di forze più vecchie di te, non tremare piccola mia, non avere paura. Anche di polvere e buio ci nutriamo, non si scappa. Allunga solo una mano e mi troverai sempre lì vicino, ad un passo, a sospingerti piano col mio soffio. un po’ folle, d’Amore.
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MisteroHo scoperto da pocoil segreto del mondo e di tutta una vita,la mia. Ho capito,alla fine, il disegno grandioso l’infinita bellezza il senso del gioco le regole della partita. Non capivo il perché di un così grande regalo, dei miei giorni trovati ad ogni risveglio, delle mille emozioni vissute, di quei grandi dolori appoggiati sul cuore, del respiro che manca di notte la paura del buio, del mare che urla, del vento che porta clamori lontani. Un attimo solo è bastato un pugnale nel petto, …no,…non ancora,…non ora. Il grande mondo avvolto da un velo una tristezza infinita ancora un giorno,ti prego, fra tutti questi piccoli eroi. e la magia che si svela il segreto del mondo e di tutta una vita sei tu.
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Il tre alberi austero e solenne solcava il mare agitato e composto. Navigava di bolina, naturalmente, e le onde, a intervalli regolari, lucidavano gli oblò sulla fiancata di dritta. Il legno antico, gli ottoni anneriti, le drizze intrecciate di canapa irta, e, ben ancorate sul ponte, le botti di vino, di sarde, di acqua di fonte. E sotto coperta un mondo confuso di libri, di carte, di diari di bordo infiniti, di profumi di bosco e di sapori misteriosi, di piccoli oggetti senza casa, di abiti smessi, di musica, di fotogrammi di vita, di una vita tesa, spettacolare e tremenda. Il libeccio teso, regolare, confortante, lo teneva all’erta, le vele gonfie, l’animo terso. Inutile dire nessun equipaggio. Inutile dire nessuna destinazione precisa. Navigare e basta. Controvento, di bolina appunto. Cambiare rotta quando cambia il vento, e sfidarlo, respinto e sospinto allo stesso tempo. Che lotta grandiosa, che inutile meraviglia! Sentire le ossa del vecchio vascello gemere, sempre sul punto di cedere agli schiaffi del mare, lo scafo sbandato su un fianco, assalire le onde, spezzare la schiuma, tenere ben saldo il timone sul ponte spazzato dall’urlo di Dio. Mai un dubbio, mai la tentazione di farsi portare col vento alle spalle, viaggiare veloci e tranquilli, dormire e mangiare trascinato dalla amica corrente. Se navighi lì, diceva, vedrai forse dove ti porta la vita, ma non saprai mai perché. Voleva arrivare a guardare negli occhi il punto preciso che sta all’inizio di tutto, come una vita vissuta al contrario, sfibrante, eroica e solitaria. Un milione di volte missione fallita. Ormai in vista del luogo dove si compie il destino, il vento girava, beffardo, le vele schioccavano incerte in uno stallo sospeso nel vuoto, la bonaccia era un attimo giusto il tempo di affilare lo sguardo, e poi andare, ruotare la barra, verso la nuova sfida. Era un giorno come tanti, quel giorno, era grecale stavolta, la prua puntava dritta a nord-est. Il grecale è un vento antico, porta con sé i misteri delle steppe siberiane, le meraviglie di san Pietroburgo, il profumo delle spiagge d’ambra del mare del Nord, spazza cattivo i Balcani, le aride grotte del Carso, e si abbatte crudo di ghiaccio, sui mari del sud. Un vento perfetto. Correva veloce lo scafo di legno annerito, sul ponte le rughe profonde di mille battaglie, e lui saldamente al suo posto, ossute le mani al timone, scalzo sulle fradice assi, guardava l’antico grecale con le fessure degli occhi immobili all’orizzonte. Fissava di nuovo, ancora, la vita, là dove nasceva, e la andava a cercare, col desiderio profondo nel cuore, di chi sa che solo questo può fare. Fu come uno sparo nel buio in una silenziosa notte d’inverno, il vento impetuoso, assordante, profumato di ambra e di neve, frustava incessante la nave, la sfida era lì, era adesso, andiamo, dai, che stavolta arriviamo… fu come uno sparo nel buio, improvviso e accecante, i suoi occhi, fessure, a cercare il varco nel fuoco della tempesta, videro (sentirono) quello che mai e poi mai avrebbero immaginato. Proprio lì, sul mare, alto e potente, così vicino da poterlo toccare, così reale da sentirne l’odore, invalicabile un muro. Una parete compatta, verticale e infinita di…. niente, sembrava, forse di fango ma più dura, forse di sterco ma più nera non erano scogli, li avrebbe …capiti era forse carne animale melmosa tritata e compatta, mischiata a parole e menzogne erano forse tutti i peccatori del mondo vivi, ammassati, abbracciati, incollati fra loro con grasso suino, si, forse era proprio così, se ne sentiva il fetore. Uno: non toccare. Virò così bruscamente che temette di spezzare a metà la sua nave. Due: ora che fare? Era finita, chiaro come il vento. Ammainare le vele, legarle bene strette che non prendessero vento mai più, lentamente lo scafo ruotò su se stesso, a sud-ovest la prua, o dove voleva, e con un dondolio sommesso e noioso cullato dalla corrente, il vecchio vascello, ormai un relitto, intristito ciarpame, intraprese il suo viaggio verso la fine. Della vita, intendo. Il lungo, avventuroso viaggio verso i perché era finito. Lui si sedette, per la prima volta da sempre, e, come potete immaginare, si sentì un po’ stanco. Guardò le botti di vino di sarde e di acqua di fonte e distrattamente calcolò, per la prima volta da sempre, per quanto tempo ne avesse. Non che fosse importante, tanto aveva già capito di non avere più nulla da fare.
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L’attore
Attore buffone,giullare di un re che non c’è. Saltimbanco da strada, improbabile Otello, Cleopatra,Mimì. Replicante sdrucito di scene da secoli in onda. Con i trucchi Più adatti alle trame, coi vestiti di scena più giusti, ho recitato per tutta una vita il mio ruolo. Ero un uomo spavaldo, intrepido e ardente, fiero e sbagliato, solitario vagavo la vita ondeggiando, la schiena diritta, le mani serrate, pochi sorrisi struggenti, e pensieri e passione e tempesta nel cuore. Una lunga commedia sulle assi sconnesse del palco; le tragedie,gli amori, le scelte,i dilemmi, le gioie. E con me milioni di attori e di attrici anche loro impegnati a curare in tutti I dettagli, battute,sospiri, le pause, i dialoghi fitti senza sbagliare un riga, le notti passate a parlare del mondo o di Dio, e i pensieri d’amore, o le spade sguainate a fendere l’aria, l’onore, gli ideali, le battaglie, i morti, il sangue. In fondo era bello svegliarsi lavarsi e vestirsi coprirsi di trucco e ingannare la vita. Ogni giorno una nuova puntata, sperando di avere ancora domani la parte. Domani è arrivato per me ma mi hanno rubato la sacca, la mia vecchia sacca di cuoio con dentro gli arnesi di scena, e i copioni. Nudo e fragile provo a recitare a memoria ……. intrepido e ardente …….. e passione ….. nel cuore. Ma mi sento sbagliato, mi sento indifeso, deriso,indecente nella mia nudità, senza spada né onore. Gli attori lassù intrecciano ancora le dita fra loro, si lanciano sguardi e parole. Ogni tanto qualcuno scompare alla vista e dietro i sipari si sentono risa e sospiri; è la vita che corre, bisogna godere, finché si può. La mia parte era bella, gridavo furente, le mani serrate, “sbagliate! sbagliate! smettete!” Lo spazio era angusto la folla sudata incalzava eccitata, tenevo per mano la mia temeraria eroina, ed ero fiero di me. Ora che mi hanno rubato l’onore e la spada, che la folla ha inghiottito anche lei, mi sento perduto. Inutile inghippo, una voce stonata, soldato caduto con la faccia nel fango. Sconfitto li guardo, affannarsi volgari nei loro vestiti di scena recitare i copioni assegnati, poi la vedo in un lato del palco aggiustarsi un ciocca e lanciarsi in un ballo sfrenato con un cavaliere agghindato a parata, e li seguo scivolare in quinta leggeri. Non posso fermarli, non recito più, non esisto nemmeno, fragile e nudo sfinito,assorbito dal buio, mi resta soltanto amarla lontano e occuparmi di me.
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E’ vero,c’è musica in me come faccio a spiegare… guardate un bambino raggiante che ottiene il permesso agognato di tuffarsi nel mare, la corsa scomposta verso il ventre del mondo, la sabbia che vola dai piedi rapaci, le braccia levate in trionfo, acute le urla di gioia, la madre lo guarda apprensiva, conosce o intuisce la voragine immensa, poi il contatto improvviso l’impatto è uno schiaffo brutale, respinge,ferisce, in quell’attimo di sospensione con gli occhi sbarrati è l’istinto animale che trova ogni volta la via. La corsa sfrenata è finita il bambino adesso in silenzio si è messo a saltare mentre ascolta il ruggito profondo. E c’è un solo modo di entrare senza farsi inghiottire, è armonia, lui sente che il mare lo ha invitato a danzare. |
NEBBIA
Pensavo rapito all’infanzia . Sentivo le voci , i suoni , i sapori di cose perdute nel tempo . Ricordo l’estate rovente sul bordo della ferrovia , sentivo arrivare lontano quel mostro che urlava indecente di forza e i compagni di gioco scappare , il terrore nei piedi affannati , “mettiamoci in salvo!!” , guardare in silenzio quel piccolo folle fantasma aspettare incosciente sdraiato di schiena sulla piccola riva di sassi , con la testa a sfiorare la strada di ferro . Arrivava veloce , era un tuono potente e passava vicino , allungando una mano potevo toccarlo , ma non avevo paura : era tutto il coraggio del mondo che entrava attraverso la pelle , dalla terra che sotto di me tremava impazzita . Ne avevo bisogno . Sapevo che tutta una vita , davanti , aspettava di essere presa , con le mani , con gli occhi , con tutto quel piccolo corpo indifeso , già piccolo lupo , sull’orlo della grande tempesta . E adesso , che tutta una vita ho vissuto con la faccia nel vento ad esplorare emozioni , a capire la gente , a cercare nel fondo del cuore risposte a domande che nessuno faceva , a cacciare nel bosco di notte le mie verità , adesso sei tu che mi passi vicino , che se allungo una mano posso quasi toccarti . Vorrei di nuovo spogliarmi per te , con te e prima che tu te ne vada , (“mettiamoci in salvo!!”) cercare di farti capire…….. ….per sempre. Vorrei abbracciarti ancora una volta per tutta una notte e scoprire come posso farti morire con me . Vorrei , un mattino di tanti anni dopo , con la faccia nel vento , con gli occhi socchiusi , pensare di essere ancora dentro di te così tanto da poterti trovare , dovunque tu sia e parlarti e ascoltare le storie che mi vuoi raccontare , seduti lì , dove tutto finisce e tutto inizia . Vorrei poterti amare ancora un minuto , tenerti stretta ancora il tempo di un sospiro , per poter sperare di non diventare mai nebbia .
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TUTTE LE VOLTE LA STESSA MAGIA . UN SUSSULTO IMPROVVISO , UN LAMPO NEGLI OCCHI , E LA VITA SI FERMA , UN ATTIMO PRIMA …… FINO A LI’ TUTTO BENE , LO SCORRERE ATTENTO DEL TEMPO , I GESTI CONSUETI , PERFINO RITUALI , DISEGNANO INTORNO ARMONIE CONOSCIUTE , TRAIETTORIE SOTTO CONTROLLO . PERSONE GIA’ VISTE RICERCANO , ATTENTE AI DETTAGLI DI SPAZIO , ANGUSTI PERCORSI OSTRUITI . PRESENZE MUTEVOLI MA COMUNQUE ORDINATE , SECONDO UNO SCHEMA NON DETTO NON SCRITTO , QUASI UNA IMPROVVISAZIONE MA STUDIATA , PER ANNI , E CHE , QUESTO E’ IL BELLO , VIENE SEMPRE DIVERSA , E LA STUDI DI NUOVO , E TUTTE LE VOLTE E’ UN PO’ DIVERSA DA PRIMA . FINO A LI’ . POI SUCCEDE QUALCOSA . E SUCCEDE UN ATTIMO PRIMA DENTRO DI TE . E’ COME SAPERE CHE MUORI PRIMA CHE JOE BLACK TI SPARI ALLA SCHIENA . NULLA SEMBRA AVVISARTI , C’E’ LA STESSA ARMONIA CONOSCIUTA , IL PENDOLO OSCILLA OSSESSIVO E TRANQUILLO , EPPURE , PER TE , IL TEMPO NON SCORRE PIU’ COME PRIMA , PER QUALCHE FRAZIONE TU VIVI UN ATTIMO PRIMA DEGLI ALTRI , E NON CAPISCI PERCHE’ , MA SAI CHE STAI PER MORIRE . E ALLORA LA VISTA SI ANNEBBIA , IL RESPIRO SI BLOCCA , IL TUO CORPO E’ FUORI CONTROLLO , COME IN UNA BREVISSIMA IPNOSI , ESCI DAL CORO DEI MOVIMENTI STUDIATI , PER ANNI , TU SOLO CAPISCI DOV’E’ L’IMPATTO CON LA PERFEZIONE , SENZA SAPERLO DAVVERO , MA CHI TE LO HA DETTO , CHE BISOGNAVA FARE COSI’ ? E TUTTE LE VOLTE , FINITA L’IPNOSI , QUANDO IL PENDOLO RIPRENDE IL SUO MOVIMENTO RITMATO , E’ COME USCIRE DA UN SONNO PROFONDO , SVEGLIATO DA UN BOTTO IMPROVVISO , I BRIVIDI LUNGO LA SCHIENA E NEL COLLO , IL CUORE IN TUMULTO , LA GIOIA CHE TI AVVOLGE , ANCHE PERCHE’ QUANDO GIRI LO SGUARDO , E LO VEDI , IL PALLONE NEL SACCO , MAGIA , ADESSO , IN QUESTO ESATTO MOMENTO IL PIU’ GRANDE SEI TU . |
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