Antonio Zavoli

dalla sua opera " Forse questo buio"

 

Una fiamma silenziosa Pasqua Umbria segreta GLI OCCHI DEI BAMBINI, I TUOI

 

 

Una fiamma silenziosa

 

 

Fuori le perle argentee della pioggia

posate sui rami della betulla

io  posseggo un quadrato modesto

di cielo opaco

vorrei stare su una nuda collina

la pelle secca del viso

bagnata dall’acqua battente

con un sorriso appena accennato

come tenera luce della mia anima

 

Sotto il cielo ghiacciato dell’inverno

non sono in grado di dire

quanti anni sono passati

ma sono certo che una fiamma silenziosa

ha bruciato pensieri e cose

ha bruciato quasi tutto

ha distrutto le retrovie

 


 

Il profumo della pioggia

che cade lenta, tenace, silenziosa

che abbevera le ultime rose

vive nell’inverno.

Il colore della pioggia

che lucida la lava della città

mette a nudo il pineto dei pensieri

o forse solo dei sentimenti.

Il fantasma del vento

che non fa dimenticare le pene

 le agita come fiori

in attesa di mattini e sere

sempre meno veri.

Vorrei parlarti di pianure

con grande tenerezza

vorrei parlarti del cuore

agitato dalle onde del sangue

dei vecchi desideri.

 


 

 

 

 

 

 

 

 

Ho perdurato nella mischia

negli occhi nuvole o macchie d’eternità

dalla bocca sfuggono parole

senza senso, molte volte si è levato

il sole su questa muta sofferenza

ogni volta ho usato parole dure

contro il grembo sterile del dubbio

                 ho passato volutamente gli stretti

                 sono andato periodicamente

                 dall’altra parte

                 per vedere la vita,

                 ho solo riportato

                 saggi pensieri sulla morte

ho visto il tuo corpo di neve

dissolversi nel meriggio a caso

non ho disegnato alberi genealogici

né sognato dinastie, i rami neri

in questa dura stagione sono stati solo

percorsi muti del nostro perderci vano.

Molte volte il sole è morto.

 


 

 

 

 

Io so cos’è la tenerezza

il segreto di un testo dimenticato

che riappare, fresco, vibrante

non c’entra la nostalgia

la tenerezza mi aiuta a non parlare

solo sentire

come il ricordo impressionante

della tua voce

delle tue mani.

Io so che ogni giorno è una freccia

che sale l’aria

diretta ad un bersaglio che non c’è,

poi ricade.

Io so che l’ansia non muore

sorella magra, con occhi chiari

della speranza.

 


 

 

 

  

Ah! Le fragili giunture

che connettono l’essere e il divenire

mentre mi stancano gli sprechi dell’apparenza.

Si, la tua voce ha registri inediti

Come venature di ricordi carnali

in bilico febbrilmente tra orgoglio e pietà.

L’aria d’autunno è venata di echi

percorsa da una luce

che piega erbe e fumi

poi precipita in piogge

che odorano d’eternità.

Ah! Le mie corse a perdifiato

per le pendici del cuore,

lungo i filari infelici

dell’inappartenenza

 

 

 

 


 

 

1

Se il nostro ragionamento

dovesse morire, cadrebbero

le pareti della nostra vita

(certo uno dei luoghi

più strani del mondo)

per cui a volte mi chiedo

se non devo fin d’ora

dare l’allarme, alzare

almeno la mano dell’inquietudine.

Ma guardando quelle facce

non mi sfuggirà una parola.

Se ci penso ho davanti a me

migliaia di pagine sconosciute

non conosco i particolari

della mia anima

 

2

quest’afa subdola

che mi costringe a forzati ozi

e a squarci di ragionamenti

bozze di parole sudate e pungenti

come gomene lanciate per l’attracco

sopra un mare blu profondo

 

un disgusto sottile

nella tensione che s’allenta

forse paura

 

mi porto inutilmente frasi

lungo le strade

qualcosa accade di nuovo

mentre tutto si smarrisce

e io sto seduto al limitare

di un bosco, con l’anima fiacca

turbata da un fruscio

tenera e brancolante

 

3

Al di là del confine

dove il tempo rallenta

ricordo e desiderio

una cosa importante

che emerge, mentre le altre cose

arretrano sempre più

mute e morte

sgretolate dal mio sguardo.

Nessun inserviente viene

ad accendere lumi

(la casualità dei nostri rari riposi

malinconici eppure risoluti)

 

4

Tutta la vita mi appare remota

divento sempre più leggero e più chiuso

mi resta solo un tono d’indulgenza

nelle parole: sotto c’è uno spazio vuoto.

Una sofferenza asciutta

di fronte alla velocità della vita

che impedisce di ascoltare le voci

 

5

L a fuga verso il futuro

unica speranza metodologica

numeri immaginari della mia matematica rudimentale

la fuga è un sentimento

un cielo azzurro pieno di nuvole

percorso di salvezza, improvviso

viaggio solitario verso altri momenti,

altre voci. L’estraneità al presente

è la molla.

 

6

Non  so se adesso ogni altra parola

è superflua, sono ancora vivo

ma il fenomeno non interessa

le scienze naturali

Dovresti portarmi una lampada

ho scritto fino ad ora, poi

ho alzato adagio lo sguardo:

mi interrompo e mormoro “scommetto”.

 

7

L’acqua è arrivata con la notte

mentre sull’oscura riva

indugia pigramente il calore

del giorno, il mio.

Emergono facce sconosciute

la sensazione d’essere stato diverso.

Un oscuro taglio sanguinante

indugia sotto la pioggia

arriva la stanchezza

come l’acqua di notte

emergono sensazioni diverse.

In questo momento

ognuno se ne va per conto suo

senza aggiungere altro.

Un corpo pigro, molle e greve

non basta più a trovare alleati.

Un bagliore s’agita confusamente

nel buio, soffia anche

un vento violento.

 

 

 

 

 

 

Non serve la mia ostinazione

nel mantenere il segreto  

resta il fatto familiare

da me solo conosciuto

che s’annida tra la partenza degli ospiti

e il corrompersi della situazione

 

le schegge dell’io per casa

negli scaffali prove di persuasione

questa ininterrotta meditazione

resa sopportabile dalla stanchezza

 

una fuga alta e stretta

da un giorno all’altro

senza la sosta di un abbraccio

 


 

 

 

 

 

 

 

 

Pasqua

 

Ancora il buio, la pioggia

qualche voce scriteriata all’uscita dal bar

il sepolcro sembra irremovibile

in attesa che l’alba trattenga il mistero

ma cancelli l’oscurità.

                   Da domani i corpi dei morti

                   saranno tesi

                   le ossa disordinate

                   percorse dalla febbre

                   della speranza

Da queste tenebre dure, definitive

stanno per irrompere nuovi cieli

nuove terre, non ci sono più relitti.

 

 

 

 

 

 

 

sotto le foglie d’inverno

le primule di cera segnano

il bosco austero:

nel cielo i falchi girano

girano, come se rispondessero con calma

come se si infiltrassero nel mio passato

 

l’oscurità ammanta i fondali

dello spirito, come una soglia

uno spiraglio che mi permette

d’inoltrarmi

la terra è informe e vuota

io sento parole che mi lasciano sbalordito

 

ho certe domande sull’universo

ma quelle più dure

sono su di me, sulle persone

incontrate, e temo il lupo

che balzi da un mucchio di foglie

per magiare il mio cuore

 


 

 

 

 

 

 

tu lascia per un attimo

i grandi dolori, e dalle labbra

umide d’insolita luce

prova a profanare brandelli

di giorni, ridicolizzando il futuro

 

ribellati alla tirannia della notte

gridando il gelo dell’assenza

irridendo alla sconfitta

con occhi asciutti

e rosse vene

 

non annegare nell’alcool

i progetti di volo

i mille ritorni a pochi attimi

di gioia, allora piovuti dal nulla

o forse regalati dal Dio sconosciuto

 

guarda il sasso che giace sperduto

sotto il cristallo acuto dell’acqua

ascolta i villaggi defunti

ove sillabano i morti, o forse solo guardano

tu sei capace di questo racconto d’inverno

 


 

ASPETTO

 

aspetto non so che cosa

alla catena della sera

fatta di promesse a mezza voce

col fiato caldo del pianto

aspetto senza vento

il viaggio del fiume

nella dura gola del mondo

fra rive d’erbe schiacciate

dalla neve, il viaggio lieve

prima di perdersi in altro fiume

aspetto in preghiera

nella notte intirizzita

nuovi cieli e nubi e uccelli

soprattutto nuovi alberi

per ricordare le tue foglie

le tue voglie tenere e fiammeggianti

 

 

 

 

 

 

 

 

peripezie di rocce

terre aride

ecco merletti nel sole

e nuvole

su questo bisogno di convertirsi

 

correndo siamo saliti

fino a raggiungere l’altipiano

ansiosi di sciogliere

la gonfia aria in pugno

in una scelta consapevole

 

ho creduto in tutte le comunicazioni

visitando città di pietra

sognando acque azzurre

nell’attesa che tu

venissi dolcemente

 

 

 


 

  

La carica visionaria

circuito stellare

nostalgia dei luoghi

la ricerca vana

dell’elemento degli elementi

 

i vostri sogni algebrici

mi lasciano indifferente,

io ho capelli d’anguille

e occhi d’alabastro:

pullulo di gente

 

anche i fiumi al mattino

vengono svegliati dalle voci

nel caleidoscopio dell’aria

l’acqua da grigia si fa argentea

come percorsa da brividi

 

Kyrie Eleison

rami spogli, bisogni

cammino come in sogno

so che esiste una speranza infinita

ma non per me


 

 

 

 

 

 

 

Si spezza ogni trama di compatibilità

se non d’armonia

si sciolgono a tratti certi nodi

d’impotenza, non

a vedere, a sentire,

ma a capire, e poi a dire

 

elementi corali

e individuali del desiderio

ma comunanza di stagione

poi gli altri corrono

si disperdono nel vento

a me resta il silenzio

pacato della domenica

il silenzio che è il freddo

il silenzio che è il vuoto

 

vagabondando tra le rovine

di altri poemi raccolgo frammenti

senza tregua (un filo, un progetto)

perché basta un niente (ma quale?)

per spalancare l’abisso temporale

sulle cose.

Attendo l’ora della riconoscibilità,

attendo una momentanea salvezza

da ciò che ho perduto


 

 

 

 

 

 

 

QUESTE IMMAGINI

 

queste immagini

velate di tenerezza

su strade appena primaverili

nelle pieghe

quest’ansia di sapermi vivo

 

al tavolo del bar

l’oblio, come un libro arrotolato,

un filo di vento

forse di mare

o solo il filo di un aquilone

davanti all’ombra degli occhi

 

pista di sabbia

che il tempo logora

l’obolo ha un Dio coincidente

l’olifante

il sole distante

i pali desolati di un mattino neutro


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 solo il viaggio è vero

falso il percorso e il tempo,

vere le ore, non le stagioni,

le ombre

i fiumi gorgoglianti in gola

le rive umide e incerte

il silenzio, voce della storia interiore

la sorgente del cuore

 

ma, forse, sono vere

anche le fiabe dei capelli

la passione che trema nella voce

l’incancellabile memoria

 

la terra è avara di gesti

ma dal pozzo di casa

salgono parole e vento

preghiere selvatiche, dubbi

 

alzo gli occhi nella sera

non vedo il confine mobile


 

 

 

 

 

 

 

ora sono ispirato da un risentimento

antico (è per questo che stringo

le mandibole)

navighiamo verso le rive dell’inganno

nulla è integro

apparenze e ricordo sono contigui

siamo nel teatrino

del tempo estetico

risuonano in noi le voci

di coloro che sono ammutoliti

telegrafica è la verità

le parole sono depositi di rapporti cosmici

sono il nostro destino


 

 

 

 

 

 

questa amara speranza

che s’interroga

si smarrisce

ma resta fedele alla sua incerta chiarezza

nel belato del freddo

oltre il sigillo delle apparenze

 

si sposta il limite

i livelli più alti li raggiunge

l’intuizione, avanzando allo scoperto

mi sfugge sempre di più

la totalità

e, assurdamente, non ne sono spaventato

 

 

 

 


 

 

Coloro che scomparvero

chiudendo le persiane della nostalgia

non hanno camminato tanto

sono spazi e penombre, parole

accenti di parole dette e ridette

nei magici pomeriggi estivi

d’una struggente vitalità.

 

Anni inquieti, voglia di smarrimento

e resurrezione, esperienze private

mai credute punto unico di fuga

eppure così definitive,

irrinunciabili.

                 Dalla luce all’ombra

                 il passo è veloce

                 forse incomprensibile

                 gira la pagina

                 di una storia segreta

Il magmatico assemblarsi/dissolversi

di tante voci, tante mani, tanti sguardi

in un percorso ininterrotto

dall’eternità all’origine

la percussiva partenza, suggestiva

degli scomparsi, affonda nel mio corpo

nel mio tempo,

nel ritmo del mio respiro,

ricordandomi il deserto che non c’è.

 

Sul far della sera affiorano

confessioni brucianti, molte domande

attraversano il romanzo, seducono

con l’incanto duro e tagliente

delle voci, generano il bisogno

di scambiare il respiro

scendendo giù lungo il cielo.

 

Le sillabe nella penombra

superano l’accaduto

inchiodano il tempo alle sue responsabilità


 

 

 

 

 Quale lingua vibratile e duttile

potrà descrivere gli addii,

seduta contro un fondo d’ombra,

la fuga dell’aquilone dalla cordicella spezzata,

l’impercettibile fermarsi

del tuo impercettibile respiro

(mentre la carne ottusa

grida della perdita).

L’alone dei significati è visibile,

ma è un alone.


 

 

 

 

 

 

 

Umbria segreta

 

 

Sempre più spesso l’infimo

mi fa intravedere le grandi verità

in questa quotidiana esplorazione

dell’invisibile, segreto e mutevole.

Le voci sono polverose

non sanno spiegare la storia dura,

rettilinea, la crudeltà della luce,

l’estraneità divenuta metafisica.

Neppure il cielo è libero

velato com’è di nostalgia

nutrito di orari ferroviari,

la coscienza di vivere dentro.

Attorno non ho oggetti

ma rivelazioni,

l’annaffiatoio pieno

a metà, metafore sontuose

senza possibilità di fuga.

Il tenue vento della poesia

può nascere dalla desolazione,

voce piena di crepe

frantumi sanguinanti.

  

 

                      Grotte di Frasassi


 

 

 

 

 

  

poi di colpo ci troviamo abbandonati

e cadiamo nella malinconia

poi la veggenza generata dal dolore

l’anima fermenta le idee

si ricomincia a sperare

 

mi scopro pensare a che serve

portare frammenti di luce

nella grande ombra agitata dell’oceano:

finché ancora una volta mi ricordo

che serve a me

 

 

                           Todi

 

 

 

 


 

  

le cose logore

sopravvissute

antiche

la triste forza

del tempo

il ritmo del remo

esitazioni

pentimenti

luce sparsa e mutevole

non c’è più niente

né passato

né futuro

la malinconia della tenerezza

l’immaginazione visionaria

le separazioni

terribili

la catena di rapporti

gabbiani

volati

fuggiti

la folla confusa

dei pensieri

dei desideri

delle inquietudini

la collera

che sceglie le scorciatoie

la voce pura

lontana

perduta

il caffè

la penna

l’irrevocabilità dell’assenza

i libri, i libri

il dialogo inesorabile

con me stesso

gli ingorghi

gli impegni

gli obblighi

i figli, ragione del cuore

gli occhi

la voce smarrita.

 

 

                                                   Todi.


 

 

 

 

 

 

 

gli ulivi sparuti e forti

movimenti umani

cupi e trasparenti

con ai piedi rocce silenziose

 

una istantanea

di luoghi che non rivedrò più:

il cancello aperto

su un prato abbandonato

lungo la costa di un monte

abbandonato. Il cancello

aperto sulla solitudine

del destino, sul tempo

noioso e inutile, certo straniero

 

questo restauro del 1611

menzogna e polvere

la celebrità, malattia mortale

rapida sepoltura d’oblio

 

l’alone del sacro non salva

il fuoco degli animi, non ha

fiamme spinate e scriccanti,

ha ruggine e muffa

non trattiene quasi mai

l’irrealtà del sogno

solo vagamente la speranza

esclusivamente l’abbandono

 

il cancello aperto

sulla menzogna del tempo

sugli ulivi umani

piedi istantanei

costa abbandonata

 

il cancello aperto

sul celebre restauro

da restaurare

sulla malattia dell’oblio

l’alone ruggine degli anni

 

il cancello spalancato

sul vuoto sparuto e forte

su destino abbandonato

lungo la costa del tempo

 

il cancello che mi fa entrare

a ciò che salva,

al Dio che non capisco

 

 

                                              Todi

 

 

 

 

 


 

 

dove le lampade non possono,

illusorie e inconsistenti,

dove i gesti sono contrazioni

muscolari

i monti sono parole

le nuvole voci,

non c’è una verità sola

 

c’è la febbre

e il sonno,

l’inconscio

il sogno,

le voci perdute

 

c’è la notte

la camera

il ridicolo farfugliare

degli oracoli,

l’aria fredda

di gennaio iniziato,

rigata di voci perdute

 

 

                                                         Todi


 

 

 

 

 

 

C’è qualcosa di strano in tutto questo

è come un segnale

un grido lontano che solo io

so percepire, e dal quale non ho la forza

di fuggire. I morti, quelli veri,

non nutrono la speranza dei vivi

né compaiono in sogno per spiegare

il filo logico del quotidiano sterminio.

La sabbia  di dicembre, più muta che mai

il ventre del mare più pieno/vuoto che mai

i tuoi occhi più chiari che mai

una vela trasparente all’orizzonte.

I vetri sono muti

dopo il tempo della cena

mentre indugia il camino

Anche se non trema

il vento fuori

corre a perdifiato, ma temo si perda per strada.

Mi tolgo, allora, quest’abito triste,

e  mi corico mentre tutto diventa memoria.

C’è qualcosa di strano in tutto questo,

un grido lontano che solo io

 

 

                                                                           Narni


 

 

 

 

 

   

la cosa più sconvolgente, dopo tanto tempo

è che non è mai cessato

d’essere un desiderio, per diventare un ricordo

certo, adesso

tutto è più difficile, m’affatico nel quotidiano

per non pensare, per non contare i giorni.

devo avere molta pazienza: chilometri e chilometri

di spiagge non si sfogliano come un’immagine

magari distrattamente

la mia certezza

di non dovermi voltare indietro

di dover solo camminare, misurando passi

parole, un piede davanti all’altro

avvezzo al dolore,  chiuso in colori sfumati

una lettera in mano

 

 

                                                                    Narni


 

 

 

 

Poi i ricordi si fanno confusi, forse rari,

ma un giorno un’emozione non prevedibile

mi restituisce movimenti e parole, addirittura

la memoria terribile dei suoni

così accetto il rischio, m’abbandono

all’imprevedibile – quel tempo, quello spazio –

in questo fragile tempo

in questo angusto spazio.

Un viaggio duro e impercettibile

non importa

passi scolpiti nel silenzio dei rumori

nella solitudine estrema dei molteplici rapporti.

Ostaggio del caso, dopo il dolore urlato

non sono più capace di disappunto.

Covare per anni

tenere in mano le chiavi, pregustandone il potere,

la marea nasconde, cancella segni

non voci.

 

 

 

                                                                            Narni


 

 

GLI OCCHI DEI BAMBINI, I TUOI

 

 

  

Alla fine

vorrei dormire in pace

nel cimitero di Montevecchio

davanti al fiume

e ai dolci monti che ho conosciuto

 

Vorrei attendervi lì

quando verrete di tanto in tanto,

a portarmi un fiore

e a dire una preghiera per me

al Cristo della misericordia

che ha provato il dolore

e la morte

 

Vorrei fingere di essere tranquillo

di non volervi disturbare

di non aspettarvi con ansia:

ma non ne sono capace oggi

e non lo sarò domani;  tranquilla

sarà solo la terra immobile

sopra di me,

ma la mia anima

sarà in giro per i boschi

come capriolo, cinghiale,

volpe, scoiattolo.

Lascerò tracce lievi,

spesso incomprensibili,

come la poesia.

 


 

 

 

 

 

 

 

 

                                           tu sei nel mio paese, io

                                                         nel tuo. Il percorso

                                                         doppiato

                                                         contrassegna il nostro operare:

                                                         un ripiegarsi

                                                                            CEES  NOOTEBOOM

 

 

 

Spazi di luce

forse sentieri

cantano, senza misure

come sabbia tra le cose

anche l’eco di parole passate

antifone, pensieri.

 

quanti occhi mi scrutano

guardano fuori di me

dentro di me

a divinare il passato

mentre temo il futuro d’ombre

tra i ventagli del giorno

 

non ho perduto le lettere,

le cartoline, le ho nascoste

lungo un percorso doppiato

col dubbio di non muovermi

d’un passo, in questo scenario

d’asfalto, solo uno scalpello

per rigare il muro di luce

e d’ombra, oltre questa casa

senza porte e finestre

ricca di silenzi

 

il rischio della vita

rosso sbiadito dal brusio

delle idee, o forse solo delle parole

che fanno da sottofondo

all’alto pianto del corno inglese

( non torno a casa

ci sono sempre rimasto

in attesa

del singhiozzo dell’evento)

 

al cancello vuoto

parola e mondo

il ragno che tesse il quotidiano

umido di rugiada nel primo mattino

poi arido nel sole

che prepara semi e semi

sugli alberi della speranza

desideri non ancora accatastati

solo bisbigli

 

eppure in questa quiete

sento bussare

( avevo creduto al fruscio

dei remi sull’acqua)

passi leggeri di bambini nel cortile:

sto fermo perché non si rompa

qualcosa, forse sperando di non sentire

(ma avanza la ruggine

della nostalgia)

 

rondini con ali trasparenti

solcano il cielo inginocchiato

senza il cruccio del perché,

rigano i rumori cosmici

col coltello degli stridi:

non sanno del nostro silenzio

tumultuoso, dei nostri occhi

doppi, delle nostre orecchie

a serbatoio

 

ho smarrito sogni

e altri frammenti preziosi

forse sul sedile di un’auto

forse in un ufficio squallido

di tribunale, nel sorriso muto

della logica corrente,

ma le frasi sanno di bruciato

di sguardi persi

nell’aria dolce dell’estate.

 

 


 

 

 

 

 

 

Sotto la veranda cieca

l’inverno soffia lento

le luci diventano sussurri

lontani ammiccamenti

 

Prime a morire

sono state le ombre

mentre le vacche bianche

sul pendio tirano a ruminare

senza angoscia.

 

Non so se ci siano posti dimenticati

da Dio, certo ci sono sogni

sogni miei

soli nel tramonto

vicini all’acqua

o forse sott’acqua come fondali.

 

Cerco ricette per la memoria

questa mia interna mormorazione cheta

questa instancabile macchina

per vaste malinconie, questa riproposizione

che, sola, ha come risposta

l’abbandono

 

 

 

 


 

 

il sole che scompare, pian piano

dietro le nuvole invernali assidue

come spessi vetri

come malattie lunghe da curare

la memoria, ah! la memoria,

scende al pontile, guarda l’acqua

s’incanta al dondolio di una barca

di una corda

mentre il silenzio è teso

racchiude voci mute,

occhi d’estate, quiete mattine.

venti anni fa, come oggi,

piangevo

 

 


 

 

 

 

 

Un ascolto impercettibile, quasi sordo

attento a spente sonorità

la tua voce che giunge

attraverso lo spazio chiuso e opaco

di una memoria esclusiva e segreta,

solo mia.

La segreta magia di questa corsa

di questa sera rapida

che copre un’attesa dolorosa,

svela l’inquietante contiguità

del passato e della morte.

Una linea pesante e inesistente

tra un prima e un dopo.

 

 

 

 


 

 

Bisogno di verità e di testimonianza

nella chiusa sera di cadaveri freschi,

sera di contatti, non di evocazioni.

Sguardi dolci, penetranti, amari, straniti

e beata nebbia

che dissolve distanze.

Forse il buio mi custodisce,

mentre mi difende l’indifferenza,

ma chi è il padrone del buio?

Vorrei scrivere un dolce manifesto di fede

contro gli imbrogli di ogni morte.

 

 

 

 

 


 

 

questa tua figura fragile

che mi tiene sospeso

quasi spiando i millimetri

della tua crescita umana,

e questi occhi

sognanti, apparentemente distratti

ma con profondi dirupi

in cui mi sporgo a guardare

con stupore, a volte con paura.

questa voce decisa, roca

gridata, entusiasta, triste

che mi ha fatto ridere

in tutti questi anni, fino alle lacrime,

che mi fa sentire il futuro,

quando le mie appassionate arringhe

taceranno, mute.

in questo inverno scontroso

fatto di vento cupo, di fatica,

la mia notte piovigginosa ha semi

grazie a te.

 

 

 

 

 

 


 

 

 

                            E penso a me e ai miei compagni, al rotto conversare

                           con quelle anime in pena di una vita che quaglia poco,

                          al perdersi del loro brulicare di pensieri in cerca di un polo

                                                                                                 MARIO LUZI, “MA DOVE”

 

Come un viaggiatore notturno

sul treno che lo porta

lungo un percorso invisibile

ignorando la distanza dalla meta

non conosco i nomi

di questo mondo ignoto

so solo di frammenti

 

La luce d’agosto finito

sbiadisce il paesaggio

brucia le ombre

mentre invento parole

per parlare dell’assenza

 

Questi boschi hanno valore

per ciò che credo di amare qui

mentre le parole s’infrangono

sull’arida spiaggia della pagina

 

Tormentato dalla fame

non dissimulando la mia età

elenco i princìpi che governano la natura

m’assale il fascino sottile

di iperboli incontrollate

mentre la memoria è luogo miracoloso

di volti che non si lasciano controllare

 

 

 

 

 

 


 

 Solo il falco è custode

dei miei misteri

le voci, il vento, il pianto

il falco alto sul delirio della terra

mentre soffia il silenzio

sulla memoria incancrenita

dalla solitudine

l’aria fine e morta.

 

Il cielo è terso, ma gonfio

d’autunno, come l’alito

del tempo che muore

sulle rive della mia vita

troppo breve, volatile.

 

Il litorale è chiaro, solenne

ancora tiepida la spiaggia,

ma la linea della battigia

linea di confine

è spaccata da un grido

 

 


 

 

 

 

 

  

un pensiero fisso, in alto trattenuto

sopra il tempo del disordine

sopra il fiume di giorni misteriosi

sopra la parola incancrenita dalla solitudine

 

vedo lontano stendardi di polvere

ma forse gli occhi sono ossidati

sotto i corti capelli di sogno

davanti al palcoscenico della vita oscura

 

vorrei andarmene, ma non so dove

ci sono spiragli

come mi conferma il cigolio della porta con il vento

vorrei restare, ignorando l’odore delle abitudini

 

attorno è l’esilio dei libri

saggezza rattrappita e impotente

nulla che faccia piangere.

sono solo un pensiero, in alto trattenuto.

 

 

 

 

 


 

 

la memoria, questa invincibile, discreta compagna

porta via le nubi e il tempo

soffia nel giorno sorvolando il silenzio

che si raggruma sull’affanno della città

giace mansueta e ardente sul tavolo

suscita una fiamma nel cervello assonnato

per bruciare questo estenuante pomeriggio

popolato di geniali idee monche

 

 

 

 

 

 

  

In foraminibus petrae,

in caverna maceriae” (1)

stanno particelle volatili di verità

per me affaticato lungo il sentiero

infinito della speranza

senza i passeri dell’estate

fuggiti altrove, con il mio cuore infreddolito, il passato che bisbiglia

nel vento gelato.

L’intimità della stanza aiuta e protegge

provoca la riflessione balbuziente

la pretesa di circoscrivere l’infinito

spiegando questo o quel mistero

battente crepitio nell’oscurità.

Il pensiero del Dio lontano

è un pugnale nel fianco

lancea latus eius apéruit,

et continuo exivit sanguis et aqua” (2)

 

(1)   Cant. 2,14

(2)   Jo. 19,34

 

 


 

ripongo la mia speranza nel cielo

non nella disponibile, mortale terra

a volte, ed è già notte, cerco insistentemente

schiacciato ai vetri verso il buio in cammino

dentro, la lampada modesta

della nostra fierezza e della nostra chiarità

 

 

 

 

 

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