I fiori di aprile accompagnano il mio cammino, in questa campagna sperduta dove l’aria immobile fatica ad entrare nel corpo.
Tu non sei qui, ma ci sei sempre Ad ogni passo che poggio sulla terra umida, ad ogni sguardo che lancio all’orizzonte.
Un orizzonte meschino, fatto di timide speranze di euforia.
Mille pensieri più o meno infelici si susseguono, mille ricordi di amplessi fantastici viaggi di chimere con spade di cristallo che lanciano fendenti imparabili.
In un mare di vita, dominato da mille sirene incoscienti potrei lasciarmi facilmente adagiare, ma non mi appartiene non è mio.
La ricerca di un ventre caldo Non crea in me alcuna subdola curiosità. Nonostante il colpo inferto, subito, cerco ancora la perfezione dell’amore.
Perdona i miei occhi, dolce stella Se vedendoti verseranno lacrime O parleranno della mia sofferenza.
Perdona le mie labbra, se non avranno per te che frasi di dolcezza che tu non puoi più recepire.
Sono un idiota, un perdente idiota. Che scava nella sua stessa sofferenza Trovando rami di parole cui aggrapparsi Per protendersi poi verso i frutti più buoni, sempre così lontani.
Nella notte del tempo, ricostruisco il passato, gioco col mio cuore trafiggendolo con mille puntine di rimpianto.
Ma il mio è un amore altrove, e benché cosciente di questo continuo a berne l’amaro calice. Verrà la vita ugualmente, a svegliarmi da questo tepore. Da questo sogno insonne Che mi accompagna dall’attimo in cui Le tue pietre mi hanno colpito.
Verrà la vita, sfonderà le mie porte chiuse e mi riporterà con se. Per cibarsi ancora dei miei giorni, e con le sue lusinghe costruire un nuovo futuro ed un nuovo passato.
Verrà un frutto, da cogliere ed assaporare fino in fondo di cui gustare il nettare dolce, ed esso non avrà il tuo nome.
Ma per il momento Sopravvivo così Fermo nel presente E l’amore altrove.
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Fermo nella realtà delle cose, rischiando di inaridire la mente ma con fredda coscienza.
In mezzo a mille cervelli E a quattro idee Cavalco pensieri vecchi Per non sfiorare i nuovi Spaventato da tanta debolezza, un solo tocco potrebbe già infrangerli.
Dove sei follia mentre ti richiamo? Perchè mi lasci qui Pericolosamente solo con la mia razionalità imborghesita Da troppi falsi messaggi?
Dove sei follia? Che mi spingevi a credere a mille soli diversi, che si bruciarono tempo addietro da sè per la troppa foga iniziale, o che scatenarono planetarie conseguenze in molte anime tristi?
Dove sei follia? Ora che il cavallo alato delle mie muse Non passa più sulle mie membra ferme Mentre un angolo del cuore vorrebbe ancora Cavalcare le notti della perduta giovinezza, e portare pace e falsa gloria sperata a delle belle e giovani labbra carnose?
Violentami la mente, o follia, uccidi ogni ragione residua portami su altre terre lontane dove le mie mani sfiorino spine e sanguinando io possa ridere pensando che in quella terra è l’unico male.
Nel delirio che già arriva Sento di poter affermare, senza paura alcuna di giudizio umano, che dolore bellissimo e piacevole è quello non causato dall’uomo
e mi sento libero. Uomo, il folle non ha timore di te Nè del tuo giudizio. Poco o nulla vale un tuo gesto Nell’immensità degli astratti mondi Che da oggi ogni giorno attraverso.
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Dal muro accanto alla casa Si scorge già uno spigolo di mondo. Come vento introverso, il fischio di un treno in lontananza spezza il silenzio.
Dal muro attorno al cortile, giunge un sordo rumore di passi ripetuti, ritmici e battenti di una terribile monotonia.
Dal muro su cui non si può salire Dal filo spinato che ricorda il tempo Dalle schegge che tranciano la pelle Vedo gli occhi umidi di un uomo Vedo altri occhi violenti e freddi Della non legge.
Dal muro scheggiato rotto dal tempo, osservo un nuovo mondo piatto. Vedo le idee scorrere nei tubi e scivolare al mare Vedo la notte fondersi col sole Vedo le tue mani abituate a ciò che fanno Vedo i tuoi occhi che guardano senza osservare Vedo bambini coi ventri gonfi Vedo madri dal seno malato Vedo una maschera da un largo sorriso
Osservala, sembra quasi beva il loro pianto.
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