Attilio Bertolucci
Biografia -
Le sue poesie
Attilio Bertolucci è
nato il 18 Novembre 1911 a San Prospero, vicino Parma. Ha frequentato il
Convitto Nazionale Maria Luigia di Parma. Cominciò a scrivere poesie sin da
giovanissimo, quando aveva ancora non più di sette anni. Nel '28 collaborò alla
Gazzetta di Parma, di cui Cesare
Zavattini, amico di sempre, era nel frattempo diventato redattore capo.
L'anno successivo, Bertolucci pubblicò la sua prima raccolta di poesie, Sirio.
Nel '31 s'iscrisse alla Facoltà di Legge a Parma.Nel '33 conobbe la compagna di
tutta una vita, Ninetta Giovanardi, e nel '32 l'anno dopo pubblicò l'intenso e
bellissimo Fuochi in novembre, che gli meritò gli elogi di Montale e di Sereni
(la corrispondenza con Sereni è raccolta in Una lunga amicizia, del '94).
Abbandonati gli studi giuridici, frequentò le lezioni di critica dell'arte
tenute da Roberto Longhi all'università di Bologna. Nel '38, le nozze con
Ninetta. Un anno dopo fondò con Ugo Guanda "La Fenice", prima collana di poesia
straniera in Italia. Il 17 marzo del '41 nacque il figlio Bernardo, che
diventerà il grande regista che sappiamo. Il 9 settembre del '43 si trasferì con
Ninetta e il piccolo Bernardo a Casarola, nell'antica casa dei Bertolucci.
Nel '47 nacque il secondo figlio, Giuseppe, anch'egli futuro regista. Si
trasferì nel '51 a Roma, proprio presso l'abitazione di Longhi. Il '51 è un anno
felicissimo per Bertolucci: esce La capanna indiana da Sansoni e vince il Premio
Viareggio. Fra i primi lettori del libro c'è Pier Paolo
Pasolini, che diventa uno sei suoi amici più cari. Nel '58 uscì da Garzanti,
a sua cura, un'antologia di Poesia straniera del Novecento, stracolma di sue
traduzioni. Nel '71 venne pubblicato quello che resta, probabilmente, il
migliore tra i libri del poeta parmigiano, Viaggio d'inverno. Nel '75, dopo la
morte di Pasolini, Bertolucci fu chiamato a dirigere - con Siciliano e Moravia - la
prestigiosa rivista Nuovi Argomenti.
Per molti anni il poeta fu impegnato nella scrittura e nella rifinitura della
Camera da letto, che uscirà in due libri, nell' 84 e nell'88, vincendo il
Viareggio. Nel '90 appaiono Le poesie, tutte le sue raccolte di liriche già
edite, che ottengono il premio Librex-Guggenheim. Nel '93 esce una nuova
raccolta di liriche, Verso le sorgenti del Cinghio, e nel '97 pubblica La
lucertola di Casarola, che contiene poesie giovanili e componimenti più recenti.
Nello stesso anno esce il Meridiano Mondadori delle sue Opere, a cura di Paolo
Lagazzi e Gabriella Palli Baroni. Il grande poeta si è spento il 14 giugno 2000.
Attilio Bertolucci ha pubblicato sette raccolte di poesie:
Sirio, 1929,
Fuochi in novembre, 1934,
Lettera da casa, 1951,
In un tempo incerto, 1955,
Viaggio d'inverno, 1971,
(queste prime ripubblicate tutte nel volume Le poesie, Milano, Garzanti, 1990)
Verso le sorgenti del Cinghio, Milano, Garzanti,1993,
La lucertola di Casarola, Milano, Garzanti, 1997;
- un poemetto: La capanna indiana, 1951;
- un romanzo-poema: La Camera da letto, in due voll.,1984-88 -
(poi pubblicati riuniti in La Camera da letto, Milano, Garzanti, 1988),
- una raccolta di articoli: Aritmie, Milano, Garzanti, 1991,
- un epistolario con Vittorio Sereni: Una lunga amicizia, Milano, Garzanti,
1994,
- numerose traduzioni di poeti dall'inglese e dal francese: si ricorderanno, tra
le altre, la versione in prosa de I fiori del male, presso Garzanti, e la
raccolta Imitazioni, Milano, Scheiwiller, 1994
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AL FRATELLO Un giorno amaro
l'infinita cerchia Più freddi ora dispiega i suoi vessilli
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GLI ANNI Le mattine dei nostri anni
perduti, Perchè questo giorno di settembre splende la folla è uguale sui marciapiedi dorati, (Da La capanna indiana, Garzanti, Milano, 1973.)
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da "Sirio" (1929) Come un lupo è il vento che cala dai monti al piano, conca nei campi il grano ovunque passa è sgomento. Fischia nei mattini chiari illuminando case e orizzonti, sconvolge l’acqua nelle fonti caccia gli uomini ai ripari. Poi, stanco s’addormenta e uno stupore prende le cose, come dopo l’amore. |
da "Viaggio d'Inverno" (1955 - 1970)
UN’ESORTAZIONE AI POETI DELLA MIA CITTA' Oggi che il tempo è di nuovo bello, caldo come d’estate il sole di settembre, voi vi accingete a ricevere dall’erba cresciuta sui campanili scrostati il saluto di un altro giorno da covare dentro il brusìo di una vita attiva, cittadina o appena suburbana, che v’incanta e vi strazia umanamente di colpe. Non cercate altro, fate che il passo alacre delle dieci vi porti nel vero cuore del mattino: sul celeste striature lunghe di bianco assicurano il durare della stagione... Mai come ora la morte appare amara a chi ne legge gli avvisi sui muri intiepiditi dal volgere calmo ma inevitabile delle ore verso un meriggio ardente e la sosta del pasto che il vino fa fervida e tanto più loquace se era, il nome abbrunato, familiare. A voi, usciti presto di casa e sul punto, le gambe stanche, di tornarvi, un carico ingombra la mente che l’inebriò. Lasciate che si perda, un giorno qualsiasi vi renda uguali a questi che si fanno coraggio e riprendono ad animare le vie che nella loro assenza l’ombra ha imboccato e percorrerà sino in fondo.
1961
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da "Viaggio d'inverno" (1955 - 1970) Questo che vedete qui dipinto in sanguigna e nero e che occupa intero il quadro spazioso sono io all’età di quarantanove anni, ravvolto in un’ampia vestaglia che mozza a metà le mani come fossero fiori, non lascia vedere se il corpo sia coricato o seduto: così è degli infermi posti davanti a finestre che incorniciano il giorno, un altro giorno concesso agli occhi stancantisi presto. Ma se chiedo al pittore, mio figlio quattordicenne o chi ha voluto ritrarre, egli subito dice «uno di quei poeti cinesi che mi hai fatto leggere, mentre guarda fuori, una delle sue ultime ore.» È sincero, ora ricordo d’avergli donato quel libro che rallegra il cuore di riviere celesti e brune foglie autunnali; in esso saggi, o finti saggi, poeti graziosamente lasciano la vita alzando il bicchiere. Sono io appartenente a un secolo che crede di non mentire, a ravvisarmi in quell’uomo malato mentendo a me stesso: e ne scrivo per esorcizzare un male in cui credo e non credo.
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da "Lettera da casa" (1951) I Oh, nessun giorno senza il doloroso privilegio d’un fuggitivo incontro. Al tuo occhio smarrito d’ogni parte la città si moveva, delirando le vie note, i marciapiedi cari al tuo piede fanciullo ora dorati dall’amore, l’estate era nell’aria. Il tempo era venuto del distacco senza che mai la selvatica donna quetato avesse il suo timido sguardo. II Quanti giorni ormai senza il doloroso momento che la città t’esprimeva ventilata dal suo materno grembo, la strada popolosa di sete e tele estive che l’azzurro commoveva di riflessi e di lampi...
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da "Lettera da casa" (1951) Le mattine dei nostri anni perduti, i tavolini nell’ombra soleggiata dell’autunno, i compagni che andavano e tornavano, i compagni che non tornarono più, ho pensato ad essi lietamente. Perché questo giorno di settembre splende così incantevole nelle vetrine in ore simili a quelle d’allora, quelle d’allora scorrono ormai in un pacifico tempo, la folla è uguale sui marciapiedi dorati, solo il grigio e il lilla si mutano in verde e rosso per la moda, il passo è quello lento e gaio della provincia.
1947
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da "Lettera da casa" (1951) Non chiedere altro, la felicità è in questo corso paziente, mentre gli anni fuggono e i giorni così lenti scorrono, il sole indugia su palpebre e muri, tu, io, i cari figli l’accogliamo diversa beatitudine, persone separate. E quando il tempo vinca l’incanto cui ridiamo trepidi questo lungo mattino d’ozio avvolto (le rondini tornate attendono a nidi nell’ombra d’un portico, fresco approdo), oh, che nel lume incerto dei crepuscoli onde la stagione s’esalta consumandosi di nuovo oggi fra noi, la bella primavera, neri voli e stridi su ponente annunzino una stessa notte di pioggia, una stessa pace alla nostra riunione terrena.
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