Charles Baudelaire

Biografia

Charles Baudelaire nasce a Parigi, nel Quartiere Latino, il 9 aprile del 1821. A circa sei anni, perde il padre, François. La madre, Caroline Dufaÿs, si sposa con Jacques Aupick, futuro generale. Nel rapporto, profondo e costante, del poeta con la madre sarà presente l’ombra di questo "tradimento". Adolescente, Charles frequenta il Collège Royal di Lione, poi il Collège Louis-le-Grand di Parigi. Abbandona presto gli studi universitari e partecipa con grande curiosità e passione alla vita artistica e letteraria parigina. Nel 1841, su invito del consiglio di famiglia, intraprende un lungo viaggio per mare: la meta è Calcutta, ma dopo nove mesi di navigazione il poeta rientra in Francia. Conosce Jeanne Duval, che sarà, con vicende alterne, compagna e amica. Nel 1848 prende parte ai moti insurrezionali, ma presto vede vanificarsi, sul piano politico, ogni speranza di cambiamento. Segue assiduamente gli eventi artistici e le esposizioni: da qui il Salon del 1845, seguito da quello del 1846 e del 1859, gli studi sull’amato Delacroix e lo scritto, dedicato a Constantin Guys, Il pittore della vita moderna, straordinaria riflessione sulla modernità, sulle sue figure. Personaggio della vita letteraria parigina, Baudelaire interviene, con saggi sempre illuminanti, sui propri contemporanei: con alcuni di essi entra in rapporto di amicizia (Gautier, Flaubert, Sainte-Beuve, Victor Hugo, Banville, tra gli altri). Nel campo dell’arte frequenta amici come Courbet, Champfleury, e soprattutto, fino agli ultimi giorni, Manet. Nel 1857 esce la prima edizione dei Fiori del male (seguirà nel 1861 una nuova arricchita edizione). L’opera è sottoposta a un processo per immoralità (sei poesie sono condannate ed espunte dal libro). Pubblica nel 1860 i Paradisi artificiali e intraprende la scrittura dei poemi in prosa destinati allo Spleen di Parigi, opera che uscirà postuma nel 1869. Ma l’attività più intensa è la traduzione di quasi tutta l’opera di Edgar Allan Poe, figura con la quale Baudelaire intrattiene una profonda, interiore, corrispondenza. Nel 1864 si reca a Bruxelles per una serie di conferenze e avvia la scrittura dei Diari intimi. Colpito da un ictus, che gli procura uno stato di afasia, il poeta muore a Parigi a quarantasei anni, il 31 agosto 1867. È sepolto al cimitero di Montparnasse. La giovane generazione di poeti – da Mallarmé a Verlaine – lo ha già eletto a proprio maestro.

L’arte di Baudelaire

Questo critico intransigente è un poeta delicato scorticato dalla vita, ulcerato dal dolore, invaso da sensazioni sublimi, pervaso da sentimenti indicibili del vivere e da tensioni estreme verso l’Ideale e l’Assoluto. I fiori del male, quest’opera poetica (l'Inferno del XIX° secolo) senza confini , dove l’estetica incrocia la mistica è ancora un punto d’urto e di collisone della cultura occidentale, il punto di intersezione dell’intera simbologia e iconologia dell’Occidente, dell’Antichità greco-latino-giudaica e della Modernità industriale-metropolitana come la conosciamo noi (Ovidio cacciato dal paradiso latino e l’Uomo contemporaneo sorpreso all’addiaccio della vita moderna, il figlio della razza di Caino che in cielo sale e sulla terra getta Dio e il dandy chic, poseur, stordito dal lusso, dalla calma e dalla voluttà). Nello stampo classico di una poesia castigatissima nella forma (alessandrini, endecasillabi, sonetti: Baudelaire evitò i metri liberi) il poeta riversa il fuoco di un sentire inusitato e i temi evitati dalla poesia corriva. Sono quelli di cui tutta la letteratura moderna sarà nutrita e intrisa: il piacere, soprattutto quando è torbido ed amaro, la perversione, l’ odio di sé e degli altri, lo spleen che scava nell’intimità dell’essere, la coscienza sempre più penosa di se stessi (l’angoscia che pianta sul cranio inclinato il suo vessillo nero) e infine la sfida suprema verso una società che si pretende cristiana – e contro cui il poeta peraltro adotta la stessa simbologia ed iconologia: inferni, paradisi, limbi, angeli e demoni -: quella di dubitare dell’esistenza stessa di Dio

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Alcune poesie

 

 

Tristezze della luna A colei che è troppo gaia L'albatro I Gatti Armonia della Sera Spleen Il serpente che danza
La Musica Il Sole L'UOMO E IL MARE La vita anteriore La Beatrice Il lete Donne dannate

 

 

 

 

 

 

 

Tristezze della luna
 

Con maggiore indolenza questa sera

La Luna sogna; al pari d'una bella

Sopra molti cuscini, che con una mano

distratta e lieve accarezza i contorni

Del proprio seno prima di dormire,

Sul dorso vellutato delle molli

Valanghe ella smorendo s'abbandona

Ai suoi lunghi deliqui, e volge gli occhi

Alle bianche visioni che nel cielo

Salgono come fioriture. Quando

Nel suo pigro languore a volte lascia

Cadere sulla terra una furtiva

Lacrima, un pio poeta, ch'è nemico

Del sonno, dentro il cavo della mano

Prende la pallida stilla iridata

Come scheggia d'opale, e, via dagli occhi

Del sole, la ripone nel suo cuore

 

 

Bello il tuo capo, il gestire, l'aspetto,

Come un bel paesaggio; sul tuo volto

Il riso giuoca come fresco vento

In un limpido cielo. Il malinconico

Passante che tu sfiori è abbacinato

Dalla salute che, come luce,

Ti sprizza dalle braccia e dalle spalle.

I sonanti colori di cui spargi

Le tue tolette, ispirano ai poeti

L'immagine di un balletto di fiori.

Sono l'emblema, queste pazze vesti,

Del variopinto tuo spirito: folle

Di cui son folle, t'odio quanto t'amo!

Qualche volta, in un bel giardino, dove

Trascinavo la mia atonia, ho sentito

Il sole lacerarmi il pe="line-height: 150%">Sulla tolda, questi re dell'azzurro

Ora maldestri e vergognosi lasciano

Penosamente trascinarsi ai fianchi

Le grandi ali bianche come remi.

L'alato viaggiatore, com'è goffo

E fiacco! Lui, poc'anzi così bello,

Com'è comico e insulso! Uno gli stuzzica

Il becco con la pipa, un altro mima

zoppicando l'infermo che volava!

Il Poeta assomiglia a questo principe

Dei nembi, che frequenta la tempesta

E ride dell'arciere; a lui, esiliato

Sulla terra, fra gli schiamazzi, le ali

Da gigante impediscono il cammino.

 

1

I Gatti
 
 

 Gli innamorati ardenti e i sapienti austeri,

 tutti, nella loro età matura, amano

 i gatti forti e dolci, orgoglio della casa,

 freddolosi come i primi e sedentari come gli altri.

 

 Amici della scienza e della voluttà,

 cercano il silenzio e l'orrore delle tenebre;

 l'Erebo li avrebbe presi come corrieri funebri

 se potessero piegare l'orgoglio alla schiavitù.

 

 Pensando, assumono nobili pose

 da grandi sfingi accosciate in fondo a solitudini

 e sembrano addormentati in un sogno senza fine

 

 quei fecondi reni sono pieni di magiche scintille,

 e atomi d'oro, come sabbia fine,

 costellano vaghi quelle mistiche pupille.

Spleen
 
 

Quando basso e pesante il cielo grava

Come un coperchio al gemebondo spirito

Preda di lunghe accidie, e a noi, abbracciando

Tutto il cerchio dell'orizzonte, versa

Un buio lume, più triste che notte;

Quando la terra si trasforma in umido

Carcere dove la Speranza, come

Un pipistrello, se ne va sbattendo

Contro i muri la sua timida ala,

Urtando il capo a putridi soffitti;

Quando la pioggia, stendendo le sue

Immense strisce, imita le sbarre

D'una vasta prigione, e un muto popolo

Di ragni infami al fondo del cervello

Viene a tenderci le sue reti, - a un tratto

Campane erompono furiose e lanciano

Verso il cielo uno spaventoso urlo,

Come spiriti erranti e senza patria

Che diano in gemiti, ostinatamente.

E dei lunghi, funerei cortei

Vanno sfilando nell'anima mia

Senza tamburi né musica, lenti.

È in lacrime, ormai vinta, la Speranza;

L'atroce Angoscia mi pianta, dispotica,

Sul cranio chino il suo vessillo nero.

 

Armonia della Sera


Ecco venire il tempo che vibrando sullo stelo ogni fiore
svapora come un incensiere; i suoni e i profumi volteggiano
nell'aria della sera; valzer malinconico e languida vertigine.

Ogni fiore svapora come un incensiere; il violino freme
come un cuore straziato; valzer malinconico, languida
vertigine! Il cielo è triste e bello come un grande altare.

Il violino freme come un cuore straziato, un cuore tenero
che odia il nulla vasto e nero! Il cielo è triste e bello come
un grande altare; il sole annega nel suo sangue che si raggruma.

Un cuore tenero che odia il nulla vasto e nero raccoglie
ogni vestigio del luminoso passato! Il sole s'è annegato
nel suo sangue che si raggruma, il tuo ricordo in me riluce
come un ostensorio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La Musica



Spesso la musica mi porta via come fa il mare. Sotto una
volta di bruma o in un vasto etere metto vela verso
la mia pallida stella.

Petto in avanti e polmoni gonfi come vela scalo la cresta
dei flutti accavallati che la notte mi nasconde;

sento vibrare in me tutte le passioni d'un vascello che dolora,
il vento gagliardo, la tempesta e i suoi moti convulsi

sull'immenso abisso mi cullano. Altre volte, piatta bonaccia,
grande specchio della mia disperazione!

 

Il Sole
 


Lungo il vecchio sobborgo, ove le persiane pendono dalle
catapecchie rifugio di segrete lussurie, quando il sole
crudele batte a raggi raddoppiati sulla città e i campi, sui
tetti e le messi, io mi esercito tutto solo alla mia fantastica scherma, annusando dovunque gli imprevisti della rima,
inciampando nelle parole come nel selciato, urtando
qualche volta in versi a lungo sognati.

Questo padre fecondo, nemico di clorosi, sveglia nei campi
i vermi e le rose, fa svaporare gli affanni verso il cielo,
immagazzina miele nei cervelli e negli alveari. E' lui a
ringiovanire coloro che vanno con le grucce e a renderli
allegri, dolci come fanciulli, lui a ordinare alle messi di
crescere e maturare entro il cuore immortale che vuol
sempre fiorire.

Quando, simile a un poeta, scende nelle città, nobilita le
cose più vili e s'introduce da re senza rumore, senza paggi,
entro tutti gli ospedali e tutti i palazzi.

 

 

 

 

 L'UOMO E IL MARE

Uomo libero, sempre tu amerai il mare! Il mare è il tuo specchio; tu miri, nello svolgersi infinito delle sue onde, la tua anima. Il tuo spirito non è abisso meno amaro.

Ti compiaci a tuffarti entro la tua propria immagine; tu l'abbracci con gli occhi e con le braccia, e il tuo cuore si distrae alle volte dal suo battito al rumore di questo lamento indomabile e selvaggio.

Siete entrambi a un tempo tenebrosi e discreti: uomo, nessuno ha mai misurato la profondità dei tuoi abissi; mare, nessuno conosce le tue ricchezze segrete, tanto siete gelosi di conservare il vostro mistero.

E tuttavia sono innumerevoli secoli che vi combattete senza pietà né rimorsi, talmente amate la carneficina e la morte, eterni lottatori, fratelli

 


da Speen Ideale

 

La vita anteriore

 

 

Ho a lungo abitato sotto ampi portici che i soli marini tingevano di mille fuochi e che grandi, dritti e maestosi pilastri rendevano simili a grotte di basalto.

I marosi rotolando le immagini dei cieli, mischiavano in maniera solenne e mistica i possenti accordi della loro ricca musica ai colori del tramonto riflessi dai miei occhi.

È là che ho vissuto in calma voluttà, nell'azzurro, fra onde, splendori e schiavi nudi che, impregnati di profumi, mi rinfrescavano la fronte agitando palme. Loro unico scopo, rendere più profondo il segreto doloroso in cui languivo.

 

 

da Speen Ideale

 

 

 

 

Il lete


Qui sul mio cuore, anima crudele
e sorda, vieni, tigre amata, mostro
dalle pose indolenti; le mie dita
tremanti voglio immergere nel fondo
della tua spessa chioma, lungamente;
e seppellir la testa indolenzita
nella tua gonna piena del tuo odore;
come un fiore appassito respirare
dell'amore defunto il tanfo dolce.

Voglio dormire! meglio della vita
è certo il sonno, un sonno dolce come
la morte: e sopra il tuo bel corpo lucido,
come di rame, deporrò i miei baci,
senza rimorso. Nulla può l'abisso
del letto tuo per mandar giù i placati
singhiozzi: l'oblio abita potente
sulla tua bocca; e dentro i baci tuoi
scorre l'acqua del Lete. Al mio destino,
che m'è delizia ormai, voglio obbedire
come un predestinato; e, mite martire,
condannato innocente, il cui fervore
arroventa il supplizio, sulle punte
incantate di questo eretto seno
che non ha mai imprigionato un cuore,
io succhierò il nepente e la cicuta
per annegare tutto il mio rancore.
 

 

La Beatrice

 

 

In terreni di cenere, calcinati, brulli, un giorno, mentre mi lagnavo con la natura, e, vagando senza meta, aguzzavo lentamente sul cuore la lama del pensiero, vidi, in pieno mezzodì, discendermi sulla testa una nube funebre, gravida di tempesta e d'un branco di demòni viziosi, in tutto simili a nani curiosi e crudeli. Si misero a guardarmi freddamente, e li udii - come fanno i passanti con i pazzi - ridere e bisbigliare fra di sé, scambiandosi cenni e ammicchi.

"Guardiamola a nostro piacere questa caricatura, quest'ombra di Amleto che ad Amleto si atteggia, lo sguardo vago e i capelli al vento. Non fa pena vedere questo bel tomo, questo pezzente, quest'attorucolo disoccupato, questo buffone che, perché sa sostenere il suo ruolo d'artista, pretende interessare al canto dei suoi dolori le aquile e i grilli, i ruscelli e i fiori, e vuole anche a noi, inventori di queste vecchie storie, declamare urlando le sue tirate pubbliche?"

Avrei potuto (la mia superbia, alta come le montagne, domina i nembi e il grido dei demòni) volgere semplicemente altrove il mio sguardo sovrano, se non avessi veduto in quella turba oscena - delitto che non ha fatto vacillare il sole - la regina del mio cuore dallo sguardo impareggiabile, che con essi rideva della mia cupa angoscia, a tratti gratificandoli di qualche sporca carezza.

 

da "I fiori del male"

 

 

 

Donne dannate

( Delfina e Ippolita)

 

Al fioco lume di lucerne languide,

Sopra cuscini profondi impregnati

D'odori, Ippolita fantasticava

Delle potenti carezze che il velo

Toglievano al suo giovane candore

Ella cercava, con L'occhio turbato

Dalla bufera, il cielo già Lontano

Della sua ingenuità; come il viandante

Che volge il capo agli azzurri orizzonti

Superati al mattino. Le accidiose

Lagrime dei suoi occhi spenti, l' aria

Affranta, la meraviglia, la cupa

Voluttà, le sue braccia vinte, sparse

Come armi inutili, tutto serviva,

Tutto ornava la sua bellezza fragile.

 

Stesa ai suoi piedi, tranquilla e ricolma

Di esultanza, Delfina la covava

Con occhi ardenti, simile ad un forte

Animale che sorvegli la preda

Dopo averla marchiata con i denti.

Forte bellezza inginocchiata innanzi

Alla bellezza fragile, superba

Con voluttà il vino del suo trionfo

 

Fiutava, e a lei si protendeva, come

Per coglierne un ringraziamento dolce.

Nell,occhio della sua pallida vittima

Cercava il muto inno del piacere,

L'infinita e sublime gratitudine

Che come un lungo sospiro esala

Dalle palpebre. - « Ippolita, cuor mio,

Che dici di queste cose? Comprendi

Ora che non si deve offrire il sacro

Olocausto delle tue prime rose

Ad aliti violenti che potrebbero

Farle appassire? 1 miei baci son lievi

Al pari delle effimere che a sera

Vanno sui grandi laghi trasparenti

Come carezze; quelli del tuo amante

Invece scaveranno i loro solchi

Come dei carri o vomeri squarcianti;

Passeranno su te come un pesante

Tiro di buoi e cavalli, dagli zoccoli

Senza pietà... Ippolita, sorella!

Rivolgi dunque il viso, tu, mia anima

E cuore mio, mio tutto e mia metà,

V olgi a me gli occhi tuoi pieni d, azzurro

E stelle! Per uno solo di questi

Sguardi incantevoli, divino balsamo,

Solleverò i veli dei più oscuri

Piaceri, e ti addormenterò in un sogno

Senza fine! »

 

Ma Ippolita, levando

La sua giovane testa: « Non ingrata

Sono, o pentita, mia Delfina; soffro

E sono inquieta come dopo un pasto

Notturno e spaventevole Io sento

Piombare su di me grevi terrori,

E neri battaglioni di fantasmi

Dispersi, i quali vogliono condurmi

 

Su strade instabili, che da ogni parte

Un orizzonte insanguinato sbarra.

Abbiamo dunque fatto un atto strano?

Spiega il mio turbamento e il mio terrore

Se puoi; rabbrividisco di paura

Quando mi dici « Angelo mio,,, ma sento

Che la mia bocca va verso di te.

E non guardarmi così, mio pensiero!

Tu che pet sempre amo, o mia elettiva

Sorella, anche se fossi insidia tesa

E il principio della mia perdizione!

 

Scuotendo quella sua tragica chioma,

E come scalpicciando sopra il tripode

Ferreo, Delfina, con occhio fatidico

E con voce da despota rispose:

« Chi dunque osa parlare d'inferno

Di fronte all'amore? Sia maledetto

In eterno quel sognatore inutile

Che primo volle, nella sua sciocchezza,

Invischiato in un problema insolubile

E sterile, mischiate 1, onestà

Alle cose d'amore! Chi pretende

Di unire 1,ombra in un mistico accordo

Con il calore, la notte col giorno,

Mai scalderà il suo corpo paralitico

Al rosso solc che si chiama amore!

Se vuoi, vatti a cercare un fidanzato

Stupido; corri a offrire un cuorc vergine

Ai suoi baci crudeli; di rimorsi

Piena. d' orrore e di lividi, a me

Riporterai i seni stimmatizzati .

No, non si può accontentare, quaggiù.

Che un unico padrone ! ,

 

Ma la bimba

Dando sfogo a un dolore immenso, subito

Gridò: « Sento un abisso spalancato

Slargarsi in me; è il mio cuore! bruciante

Come un vulcano, fondo come il vuoto.

Nulla potrà saziare questo mostro

Gemebondo, o ristorare la sete

Dell,Erinni che con la torcia in mano

Lo brucia a sangue. Le nostre cortine

Ben chiuse ci separino dal mondo,

E la stanchezza porti quiete. V oglio

Annientarmi nel tuo profondo petto,

Trovarvi la freschezza delle tombe! »

 

Discendete, lamentevoli vittime,

Discendete la china dell'inferno

Eterno! Al più profondo dell, abisso

Precipitate, dove tutti i crimini

Flagellati da un vento che non è

Del cielo, bollono confusamente

Con un fragore d'uragano. Ombre

Folli, correte pure alla meta

Dei vostri desideri; mai potrete

Placare il vostro furore, e il castigo

Vi nascerà dagli stessi piaceri.

Mai un fresco raggio schiarì i vostri antri;

Attraverso le crepe di quei muri

Filtrano a voi dei miasmi di febbre,

S'accendono come lucerne, pènetrano

Con orrendi profumi L vostri corpi.

L,aspra sterilità del godimento

AttiZza ancor di più la vostra sete,

Vi rende rigida la pelle, e il vento

Furibondo della concupiscenza

Come vecchia bandiera fa schioccare

La vostra carne. Lontano dai popoli

Vivi, randage, dannate, correte

Attraverso i deserti come i lupi;

 

Portate a termine il vostro destino,

Anime dominate dal disordine,

Fuggite L'infinito che vi abita!

 

Il serpente che danza

 

 

O quant’amo vedere, cara indolente,

delle tue membra belle,

come tremula stella rilucente,

luccicare la pelle!

Sulla capigliatura tua profonda

dall’acri essenze asprine,

odorosa marea vagabonda

di onde turchine,

come un bastimento che si desta

al vento antelucano

l’anima mia al salpare s’appresta

per un cielo lontano.

I tuoi occhi in cui nulla si rivela

di dolce né d’amaro

son due freddi gioielli, una miscela

d’oro e di duro acciaro.

Quando cammini cadenzatamente

bella nell’espansione,

si direbbe, al vederti, che un serpente

danzi in cima a un bastone.

 

 

 

 

La proprietà letteraria è dell'autore. Ogni riproduzione è vietata.

 

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e="line-height: 150%">Del cielo, bollono confusamente

Con un fragore d'uragano. Ombre

Folli, correte pure alla meta

Dei vostri desideri; mai potrete

Placare il vostro furore, e il castigo

Vi nascerà dagli stessi piaceri.

Mai un fresco raggio schiarì i vostri antri;

Attraverso le crepe di quei muri

Filtrano a voi dei miasmi di febbre,

S'accendono come lucerne, pènetrano

Con orrendi profumi L vostri corpi.

L,aspra sterilità del godimento

AttiZza ancor di più la vostra sete,

Vi rende rigida la pelle, e il vento

Furibondo della concupiscenza

Come vecchia bandiera fa schioccare

La vostra carne. Lontano dai popoli

Vivi, randage, dannate, correte

Attraverso i deserti come i lupi;

 

Portate a termine il vostro destino,

Anime dominate dal disordine,

Fuggite L'infinito che vi abita!

  Il serpente che danza

 

 

O quant’amo vedere, cara indolente,

delle tue membra belle,

come tremula stella rilucente,

luccicare la pelle!

Sulla capigliatura tua profonda

dall’acri essenze asprine,

odorosa marea vagabonda

di onde turchine,

come un bastimento che si desta

al vento antelucano

l’anima mia al salpare s’appresta

per un cielo lontano.

I tuoi occhi in cui nulla si rivela

di dolce né d’amaro

son due freddi gioielli, una miscela

d’oro e di duro acciaro.

Quando cammini cadenzatamente

bella nell’espansione,

si direbbe, al vederti, che un serpente

danzi in cima a un bastone.

 

 

 

 

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