È un cielo enigmatico, questo:
ondate di rosa che il nero drappeggia
la nube aggrappata alla vetta
il monte imbrunito. La sera
che suona campane al convento.
Risposte nascoste
tra i fiori incollati allo specchio
da mano di bimba.
Se chiedi alle foglie
raccoglierai i dubbi
di un uomo sul ciglio
che aspetta la notte
guardando stupito
il cielo a novembre.
a disegnare gli occhi
di una follia imperfetta
annuso l’aria intrisa
del nostro odore avvolto
dal suono della notte
e libero farfalle
dal libro delle fiabe
che dorme sul cuscino
Se l’inferno ha un paradiso
è laggiù, tra la quinta e Madison
a un passo da Central park e due da Broadway
Paradiso dell’inferno
mascherato di certezze
di avventure e libertà
nella vita del Village
Qui in basso, anche le vecchie ringhiano
tassisti portoricani t’investono al primo rosso utile
devi correre per sopravvivere
Sbagli block e sei perduto
sguardi neri trasversali
accompagnano il sudore
che ti cola dalla schiena
Lassù, qualcuno pulisce
la cattiva coscienza dei vetri d’un palazzo di finestre
chiuse bene sul mondo
Manhattan ha le tue cosce
inguainate in calze a rete:
un addio di contrabbando
lungo i docks al chiar di luna.
Ogni tanto ritorno
alle strade bagnate di Pondicherry
e ti tengo per mano
ti accarezzo la testa.
Sento l’India
che si asciuga le vesti
e cosparge di petali rosa
una strada, un tramonto, una vita.
C’è l’ onda che fa il verso alla montagna
s’infrange nello specchio degli occhiali
sotto la pelle il mare ci nasconde
scrigni di gioia ormai dimenticata
paguri sopra dune d’emozioni
ci trasciniamo dietro i rifugi
per rintanarci al prossimo sussulto
senza il coraggio di sperimentare
sul grande palco dell’ All Inclusive
andiamo in scena alla stessa ora
gli occhi più neri ci sfogliano avidi
siamo riviste per la curiosità
ma
ho visto il sole
sbucare dalla nebbia del calore
gabbiani
seguire il primo raggio lungo costa
delfini
giocare dentro gli occhi di mia figlia
allora ho preso il cielo
l’ho chiuso nella mano
e quando non ho sonno
sorrido
e torno vento
Il cielo aveva un suono appiccicoso
e la muraglia di algidi diamanti
non era sufficiente a trattenere
il vento che scorreva sui miei baffi
l’abbraccio forte nelle mani strette
per far calare rapido il sipario
girai le spalle al tuo sorriso stanco
e mi rincamminai lungo il binario
il mondo alle caviglie
e nelle scarpe il cielo
No
non siamo noi a morire
ma voi a svegliarvi.
Vi dileguate da noi
col vostro passo veloce
fatto di sensi e motivi
di cognizioni e richiami.
Vi allontanate da noi
come cammina nella nebbia
un uomo pensando al sole
prima di entrare
nel solito bar
a domandare
ad una tazzina smorta
una spinta ancora
un dovere ancora
un cadere ancora
nel buio della luce del giorno
Il soffio
prima
della voce
la luce
prima
dello sguardo
il balzo
prima
d'esser volo
il sole
riflesso
di un'auto
che passa
la lama
lucente
la stanza
trafitta
L’hanno data in arrivo
più di sempre pimpante
spintonar Primavera
come ad un gioco in Tv.
L’hanno vista a Bagdad
travestita autobomba
dispensare calorie a
fil di militi ignoti.
L’hanno scorta in Somalia
lanciarazzi abbagliante
donar lampi sbiancanti
alle bocche sdentate.
Pare che a Tel Aviv
abbronzasse bambini
non è giorno di scuola
oggi brucia il mercato.
Mia moglie si lamenta
chiudendo nervosa
l’ombrellone da spiaggia:
ha cosparso invano
la sua pelle di crema.
Non è solo la luce
a confondere il sonno
C’è un senso
che non ti appartiene
Un vuoto dell’anima
Una triste consapevolezza
Affiora così
come un legno dall’acqua
a ricordare cosa
è stato quel che sarà
Siamo stelle cadute
con il fuoco alle spalle
e la cenere avanti
La notte farà forse la brava
o saprà rendersi aguzza.
Certo sarà l’anima tua
a farle da guida
La mia
intanto è dispersa
in una malinconica commedia
dalla trama lenta e banale.
Eppure è vita
e fredda
l’aria si compiace
della sua aspra bellezza.
Giubbotti camicie calzini
svenuti per terra
Il tempo
si è fatto gentile
e dorme, cent’anni lontano
dal batter del cuore
dal volo dell’anima
dal teso calore del corpo
Ti guardo
regina allo specchio
sensuale, avvolgente.
Sovrani
di un mondo latente
ci abbandoniamo perduti.
…del pensiero, più nulla.
(le porte aperte)
Avevamo un vestito solo
Forse era per non perdersi di vista
Sotto, ognuno era solo
Non aprivamo mai tutte le porte.
Faceva freddo per le strade
Così era più caldo abbracciarsi.
O forse era più facile correre
inseguiti dai latrati fatti sirene
e dagli spruzzi di un idrante gigantesco.
E quando scappavamo, scappavamo
forse più da noi stessi che da quei mostri.
Ma se lo facevamo, era per tenere le porte aperte,
per non lasciare che dentro ciascuna di quelle case
forse pulite, forse scivolose di cera,
qualcuno si sentisse prigioniero
delle pallide pareti della sua cameretta
All’aria aperta per le strade luccicanti
Urlavamo aprite, aprite le porte!
Ma troppo spesso
dall’altra parte dell’uscio
soltanto silenzio.
Se un dio c’è (i bambini di beslan)
se un dio c'è,
e di questo non sarò mai certo,
spero che sappia piangere
come facciamo noi,
al solo ricordo
di quel che è successo.
se un dio c'è,
e avrei tanta voglia ci fosse davvero,
vorrei fosse stato lontano,
così lontano
da non aver sentito
quelle urla straziate
se un dio c'è,
e spero per lui che così non sia,
gli chiederei il perché
senza aspettare risposta,
vorrei solo ascoltare
un vento di piccole voci festose
giocare ancora con le foglie
dell’albero in cortile
intanto quaggiù
la nebbia cambia colore
e diventa più rossa.
Forse l'abbiamo davvero creato,
per non doverci guardare allo specchio.
Prima che il tuo silenzio diventi terapia
e il mio cercarti rabbia
voglia inesplosa
purificata da canti e salmi
che altro non celano
se non l'impossibilità d'essere vivi
Prima che la sabbia abbia ricoperto la tua fotografia
e le mie mani abbiano smesso di tremare
per ritornare a stringersi
e a stringere pezzi di carne appesi alle braccia
vuoti lamenti di circostanza
sfuggiti alla nebbia della mattina
Vorrei fotografare un’alba
e un tramonto
due foglie appese all’albero prima di cadere
un fiume che scorre placido e un torrente che si fa impetuoso
un passero sul ramo
un fiore che sboccia
una strada deserta e quindi viva
piena di ombre e di promesse
di ricordi e di arrivederci
Come la faccia di un uomo
alla fermata di un bus
di una mattina grigiastra
con una borsa in una mano
e la sua vita nell'altra
La mia mano
Ultimo avamposto del corpo
Prima finestra dell’ anima
Si muove
Incerta
Sorvola oceani
Paure
Dubbi
Si libera nell’aria
Rimane sospesa
Poi leggera
Come una foglia
Che sa dove poggiare
Ti sfiora
Disegna il tuo naso
Circonda i tuoi occhi
Si perde sulla fronte
Percorre dolce le guance rotonde
E scende giù
Come goccia sul vetro
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