F. Doni

 

Dov’è ora la tua voce,Vescovo? 

Mia cara piccola Ruth 

Per Antonio. 

Quando il gallo lontano cantava Se avessi saputo Ad una sconosciuta

 

 

 

Dov’è ora la tua voce,Vescovo?

  
Dov’è ora la tua voce,Vescovo?
  La tua voce era una fiaccola,
  una fiaccola con le ali d’aquila.
  Ha lasciato l’impasto di terra
  per un orizzonte di flauti .
  Hanno pianto quel giorno Signore
  gli operai della terra,
  e Pietro e Paolo, custodi di cedri,
  un nuovo ne hanno visto nascere.
  Vescovo,il silenzio che ci resta non ci spaventa.
  Come da un’altura non perderai questi fratelli.
  Le finestre umane sulla riva
  corrono tutte,particole serene,
  alla brezza dell’Eterno.
  Tutto ciò che avanza e sanguina
  preme su noi,poveri passanti.
  Chi ci ferì, chi ci umiliò,
  ma soprattutto chi come spina, inserto alla mia luce,
  calcinato alla memoria,
  a dirmi che amore brucia e chiama a una seconda nascita,
  con me, complice,uscirà dall’ombra:
  per correre,fratello,all’unico pilota.
  Ma Tu che tutto vedi,compreso il mio dolore,
  cos’è una mitria,un trono senza la parola?
  Un suono d’organo, Signore,
  come la fatica di ogni giorno:
  il rischio di sapere,la paura di soffrire.

Pasqua 1968 f.doni

 

 

 

 

 

 

 

Mia cara piccola Ruth

 Mia cara piccola Ruth,
l’alano è vecchio e stanco.
Non ha la forza di alzarsi sulle zampe
e sembra di maiolica .
Dal solaio ho riesumato la scacchiera:
gli alfieri e le regine.:
anche le rose son fiorite nel giardino
e il vecchio gatto sporca ancor sul davanzale.
Tutto è tornato come prima.:
anche le preghiere rimormoro ogni sera.
Ed ogni sera col ditino in su’
e gli occhietti luccicanti
come madreperle
torni a rimirar le cento stelle.
Ah! Sapessi quante volte
durante la giornata,
 la voce mi si spezza nella gola
 e tutti i sogni dell’alba
scolorano al rosso chiaro del tramonto.
Domani, mia cara piccola Ruth,
verremo al cimitero,io, il cane,
il gatto e la scacchiera.

 Aprile 1953

 

 

Per Antonio.

Perché mi chiedi se l’8 marzo è giorno infausto ?
Solo Tu lo sai ora che dormi
ad un palmo da tuo padre.
Mi dissero che quel mattino
pronto al tuo lavoro
il grido atroce della morte,
- dagli occhi spenti e dal silenzio eterno-
ti strappò alla sposa bella.
Cosa dirò sulla tua tomba?
Troverò parole adatte al tuo ricordo?
Se un fiore o il pianto o la lucerna accesa,
per un sussurro d’amore
danno la pura gioia del ricordo,
a me, tanto non vasta, è poca cosa.
All’orizzonte , semplici fiori di campo,
quelli che non hanno nome,
ma per questo belli,vedo;
e di flauti il suono sento,
il flauto di Morfeo:
smisurato otre di lacrime terrene!
Il posto, il luogo ora rivedo:
gli occhi accesi,maliziosi, attenti,
la gioia di vivere e sapere,
per salir in alto e senza aiuto
e dare al padre il meritato premio.
Il dolore che non ha un principio,
e del terreno ha l’aspro sapore della beffa,
sovrasta noi, poveri passanti.
Il credo che ci lasci,
verbo sapiente e dal sapore antico,
è difficile accettare:
correre alla meta senza mai fermarsi,
solo do fatica e di semplicità vestito.
Forse per questo e non altro
-semplicità di essere ed apparire
alla benigna luce del Signore oggi risorgi.
Dimmi allora, a voce alta , mio unico conforto
ora che sei là dove ti trovi.
che non è solo la vita ma di più la morte
a rendere amici in un abbraccio solo.

Pasqua di Resurrezione 1996
In memoria del dott. Antonio Salmena
deceduto a 40 anni l’8 marzo.

 

 

 

 

 

 

 

Quando il gallo lontano cantava


Quando il gallo lontano cantava
ed il sole era basso e l’aria fresca ;
e mi fermavo lungo i viottoli del monte
a bastonare il noce
ritto, senza una foglia,
una visione chiara era in me:
e un proposito alto e pressante
mi tormentava:
volevo essere almeno un dente
della ruota del mondo reale
imbiancato dalla vernice della fede.
L’Eiano, il rio del borgo, più non scorre
e rimane soltanto un letto di ciottoli.
Ora che il tempo è passato
rivedo quei luoghi , quei posti,
gli odori delle erbe selvatiche sento,
i voli rari d’allodole vedo,
il vento che accarezza le foglie
e tutto il silenzio d’intorno.
Una pace infinita m’accoglie:
una voce mi segue e risento :
 “Hai finito la via,
     è tempo che torni,
     qualcuno t’aspetta
     torna bambino”.

f.Doni 21/ febbraio
1996.  

Se avessi saputo

Se avessi saputo quando avevo vent'anni
che per premio mi toccavano due maschi
del tutto normali ed accesi alla via,
forse non l'avrei sposata.
Ora che il tempo è passato
ma di vita me ne resta abbastanza
ritornerei sui miei passi
per ripeterle t'amo.
Questo strano gioco di parole,
specchio fedele del mio io
non dice del tutto cos'è il mio amore per lei.
E' la gioia del giorno che viene
o la carezza del giorno che muore?
Se della conchiglia il murmure
conosci o la luce che al naufrago
accende la pupilla
sappi figlio che solo
questo è il bene più grande.
La luce, la fede, la pace:
tutto mi ha dato.
A questo amore così strano
fatto di grida e lamenti
un giorno non lontano
ripeterò il ritornello:<< t'amo >>.
Questa volta davanti all'Eterno.

f. doni 14 marzo 1996

Ad una sconosciuta


        Pioveva quel giorno su Brest
        ed io t’incontrai in via del Siam 
          Così cantava Prevert.

La pietà di novembre invitava a pregare
e la voce dei morti mi tornava più cara.
Al mercatino mensile vidi il tuo volto,
il collo, gli occhi , il sorriso intrigante:
ogni cosa era al suo posto,
e non fu facile disegnare l’ansia di vita
il grido e il volo della farfalla
cresciuta al buio della notte.
Solo una cosa volevo sapere:
quali ferite e spine e segreto soffrire
nascondesse il tuo corpo
per salire assieme il muro del pianto.
Ed io contadino selvaggio scavai:
al calar della sera una spina mi punse
e una prece rivolsi a chi la vita ti diede.


Quando sento la tua voce provo vergogna
e più intenso il peccato nascosto:
il mio peccato che impasta la bocca.
Voglio ricamarti un mantello di violacciocche
e ritornare il fanciullino che fui.
Bianca ape ,ebbra di miele,
ronzi nella mia anima.
Ed io, disperato,parola senza eco,
a te affido la mia ansietà ultima.
Chiudi gli occhi profondi.
Possiedi occhi ove aleggia la notte,
fresche braccia di fiore e grembo do rosa.
I tuoi seni rassomigliano alle conchiglie bianche.
Nei tuoi occhi aleggia una nobiltà ribelle.


Suo tuo ventre è venuta a dormire una farfalla d’ombra.
Il vento del mare caccia gabbiani stanchi
e dall’albero si lamentano le foglie,come infermi.
Ecco la mia solitudine da dove sei assente.
Abbiamo perso ancora questo crepuscolo.
Nessuno ci vide con le mani unite
mentre la notte azzurra cadeva sopra il mondo.
Io ti ricordavo con quella tristezza che sai:
ma a volte,come una moneta,
s’accendeva un pezzo di sole tra le mie mani.
Per la tua libertà bastano le mie ali.
Per il mio cuore basta il tuo petto.
Sei la delirante gioventù dell’ape,
l’ebbrezza dell’onda,la forza della spiga.
Solo a te darò il mio vestito di baci.

 
Sono andando segnando con croci di fuoco
l’atlante bianco del tuo corpo:
la mia bocca era un ragno sul tuo seno di rugiada:
voglio fare con te ciò che la primavera
fa con i ciliegi :
voglio fare con te
ciò che l’estate fa con la spiga.
Solo a te darò il mio vestito di baci.
Sono andato segnando con croci di fuoco
L’atlante bianco del tuo corpo.
Ma la mia bocca era un ragno
sul tuo corpo di rugiada.
Voglio fare con te ciò che la primavera fa con i ciliegi,
voglio fare con te ciò che il sole fa con la spiga.
Mi piaci quando taci perché sei come assente
e da lontano mi ascolti e la mia voce non ti tocca.
Lascia che ti parli pure con il tuo silenzio,
chiaro come una lampada,semplice come un anello.
Sei come la notte,silenziosa e costellata.
Il tuo silenzio è di stella,così lontano e semplice.
E son felice,felice che sia così.
Ah! Donna, non so come hai potuto contenermi
nella terra delle tue anima,
nella croce delle tue braccia.



Dal sole cade un grappolo
sul tuo vestito scuro:
il grappolo d’uva che non spegne la sete,
la sete che mai si confessa.
Voglio bere con te sino a notte
per segnarmi la strada nel tuo arco di speranza,
lanciare muto e in delirio il mio stormo di baci.
Voglio fare con te
ciò che il sole fa con la spiga,
voglio fare con te
ciò che la primavera fa con i ciliegi.
Come amica, come amica,
come amata, come amata:
solo a te darò il mio vestito di baci.



Ora torno a gioire di nuovo
Ma tu ,forse, ridi di me.
Mi basta il tuo volto e i tuoi sogni
Per rubare ancora la vita.
La tua voce- sirena di canti-
per gridare,cantare, gioire.
Berrò alla tua conchiglia di miele
Per sapere cos’è questo segreto di morte.
Per sapere cos’è questa gioia di vivere.
    Dammi la mano,
    soltanto la mano,
    saremo compagni:
    colomba d’amore
    conchiglia di sogni,

      
novembre 1958 cicciodoni
 

 

 

 

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