"Ferdinando Giordano"

 

L’amor fugace è nell’osteria della memoria. La rincorsa dell’amor panico. Al seme della mia pianta.      

 

 

L’amor fugace è nell’osteria della memoria.
 
Mattinata di spiombature del cielo e boccali di vita.
Nelle botti fermenta un’altra premitura:
sono il vinaio e le scorte, giù nella cantina dei ricordi, non hanno nomi qualsiasi.
 
- Ehi!, che distilla questa memoria di barrique?
Donna o vigna che tu sia, rendi la mia sorpresa un’ebrezza!
 
- Sono la vaniglia che travasa il suo sapore…
Lascia che fermenti questa nuova fragranza
ribollendo d’aria a singhiozzi
e poi accoppiami ad un brindisi d’addio:
ti restituirò al vago frantoio dei sensi!
 
Leggila così: per calarmi sul fondo degli occhi
avrei usato qualsiasi corda… anche un filo di pianto.
I tuoi occhi!
Binari autarchici su cui andare fruendo delle traverse, straniere al loro moto di guizzi.
Paralleli in trame per cui il senso dell’uno fu ragione dell’altro.
E in questo improvviso, vai e torni come un incrocio di campane.

Sei adesso la cabala della mente
padrona del sogno aritmetico del coppiere
sconvolto dall’ansia degli avventori molesti: le paure si versano al rientro dall’ordine.
Non mi interessa aprire la porta per vedere se sei sull’uscio.
Basterà  attendere un gesto di accoglienza.
Non ho rimedi per la leggerezza e… attaccami!,
non ho rimedi per il tuo sorriso.
Non mi oppongo alla tua supponenza:
come posso prevedere la mia schiavitù?
Ti guarderò dritta anche se non dovessi esserci e
avrò il tuo sorriso proprio perché non ci sarai.
 
Dissetati calma, seduta al banco del cuore:
all’oste tocca ora imbottigliare il fondo ch’è rimasto.
 
 

 

 

 

La rincorsa dell’amor panico.
 
Ti ho appena ascoltata.
Mi sono ancora una volta perso trovandoti:
- Dove sono è dove ero? E tu, sei dove starò?
Cosa sarà mai una distanza se ad incontrarsi sono solo le emozioni,
le stesse pulsioni e non il rimpianto del non vissuto? Nulla!
Siamo integri. Vergini di fragilità adulta: voglio concedertela.
Nè il tempo nè la distanza sono riusciti a modificare questo "adesso" perpetuo.
Come se riallocato l'ultimo incontro di allora fosse solo trascorso da un attimo
per quello successivo di “tra poco, meglio… subito.”
Sei bella di più, nel tragitto da com’eri a ciò che sei.
Come se i passi non fatti verso fuori dal mondo e da tutti,
di primo mattino per rientrare in una notte
che non sarebbe ritornata,
siano stati compressi nello sguardo vago a cercarti
e con uniche testimoni due mani e un intrigo di dita e un universo di sedie così ampio
che le distanze non si sono mai accorciate
e straordinariamente angusto da rendere timido qualsiasi approccio.
 
Ora finalmente posso viverti.
A bocconi, a strappi, a rammendi... ma anche ad eccezioni e regole,
ora che la marea dell'inversa vita
ti restituisce alle mie spiagge nel giusto verso,
non avrò versi che per te
e mi allieto per le attese tra il prossimo sentirti e il precedente.
 
Credimi, sono sulla vetta della mia tensione
e la scalata è stata un balzo di sangue.
 

 
 

Al seme della mia pianta.
 
Sai figlio, tu porti negli occhi un frantoio curioso:
l’innocenza delle prime volte di tutto.
Nella macina ogni cosa è farina
per il pane che verrà. Con fatica,
ridurrai le maglie al tuo setaccio e bada
che un po’ del gusto per l’azzardo resti nello scarto.
Senza piedi in scarpe già vissute,
inconsapevole delle orme dei caduti,
affronta la salita come lo scirocco fa sull’onda alta:
increspa la terra ma non produrre fossi!
Porta pure il tuo seme in quanti solchi vuoi,
ma non smettere di rinforzare la pianta che vacilla.
Tieni sempre un orecchio in terra e l’altro al cielo:
col primo sentirai il passo dell'amico o il galoppo che t'uccide
e il secondo ti darà i segni della tempesta che cammina
o il soffio consolante dell’universo divino.
Quando la sorte ti sarà buon vento
non negarle riconoscenza e, pur non potendo,
dalle in cambio un vitalizio di ceri accesi ai Santi.
Supera ogni salto ed ogni crepaccio
con una vera furia per le novità:
non cadere, non cadere mai nel vecchio!
E se cadi, aggrappati ai tuoi sogni oltre il ciglio.
 
Da lontano voglio guardarti.
Ti osserverò dall’altra parte della vita
nella discesa che percorrerò frenato
sempre più lento, ma non potrò fermare.
Starò lontano perché da specchio curvo
riavresti la tua immagine falsata.
 
E già che ci siamo, parlarti in corsa
è solo uno scampolo di prova da non considerare:
fermiamoci al prossimo bar per discutere dello zucchero che non posso darti.
 
 

 

 

 

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