Raffaele Ferraresso

poesie

La cipolla

Il povero ricco

Destini incrociati

 

 

Destini incrociati

 

Era già il tramonto quando sull’arenile del porto un uomo di circa quaranta anni fumava, con grande piacere, un sigaro cubano assaporandolo e pensando alla giornata ed allo splendido carico di pesce racimolato lungo la costa cubana. Vinicius, questo era il suo nome, passava intere giornate con la sua barca passando da un porto all’altro per vendere il pesce ed effettuare scambi commerciali con tutti i pescatori di Porto Rico, Santo Domingo e del America Centrale. Nonostante fosse vicino ai quaranta anni, aveva un fisico asciutto capelli neri ed una barba lunga che incuteva rispetto. Non era molto alto ma aveva una forza incredibile, riusciva a sollevare intere ceste di pesce da 40 KG come fossero cuscini di piume d’oca.

Non aveva tempo per annoiarsi, conosceva gente di ogni nazionalità che transitava nei mercati del pesce avendo per tutti la battuta pronta per portare l’allegria. Se nasceva una lite Vinicius si intrometteva risolvendo ogni questione con una sana risata, tutti l’adoravano per questa sua capacità connaturata in ogni persona proveniente da Rio de Janeiro. Si, lui aveva lasciato il suo Brasile per insediarsi con la sua attività a Cuba. I ricordi legati alla sua madre patria riemergevano quando, come ogni comune mortale, alzava un po’ il gomito e si lasciava andare allentando gli ormeggi della sua proverbiale saggezza e autocontrollo.

Vinicius aveva molti amici in ogni porto e pochi nemici che si riducevano ad una ristretta cerchia di pescatori che invidiavano la sua abilità come pescatore e dispensatore di consigli.

In molti si domandavano se mai avesse avuto una donna, se si fosse mai innamorato. Da venti anni aveva lasciato il Brasile ma non aveva mai voluto dare una motivazione chiara alla sua scelta. A chi gli domandava se credeva nell’amore, lui rispondeva con un quesito: “E tu, invece, mi sai dire cosa ci può far credere nell’amore? Ne esiste solo uno o sono molti?” nessuno a queste parole aveva argomentazioni da fornire. Vinicius amava la natura e tutto ciò che in essa si manifestava come pura e genuina fonte di intimo piacere per gli occhi e la mente. Per questo motivo, si ritrovava spesso al tramonto ad osservare i colori del cielo e del mare.

Un giorno, mentre come ogni mattina alle 5 si recava al porto, fu incuriosito dalla sagoma di una persona seduta sul molo dove solitamente si metteva al tramonto. Era ancora buoi quindi non poteva sapere chi fosse l’intruso che aveva “occupato” la sua poltrona di fronte al paradiso, perciò con passo risoluto si avvicinò e ancora distante chiese ad alta voce: “Ehì laggiù chi ha occupato il mio posto davanti alle porte del mondo?!”.. Nessuna risposta, solo un impercettibile movimento del braccio destro disteso con la mano aperta in segno di saluto.

Vinicius, sempre calmo e con la battuta pronta, ripeté la domanda ma questa volta con tono molto seccato. In fondo, l’intruso si era messo davanti alla sua barca ed osservava ogni minimo particolare.

Senza perdere tempo si parò davanti all’insolente che non rispondeva.. ma la sua sorpresa fu grande quando scoprì che era una donna. Aveva un rapporto un po’ conflittuale con le donne, le ammirava per certi versi e non le comprendeva per altri. Era solito ripetere che spesso molte donne preferiscono pescare quando il mare è in tempesta e non quando c’è calma piatta e la visuale è migliore. Tutti gli rispondevano che l’amore non ha regole precise, segue molto spesso l’istinto e le necessità del momento. Adesso Vinicius per la prima volta non sapeva cosa dire.. Davanti a lui si era materializzata una donna dalla carnagione chiara come le spiagge dei carabi, con capelli castani lunghi fino alla vita e due occhi neri grandi e luminosi come due fari nel buio della notte. Rimase per qualche secondo senza parole, voleva dare una lezione a quella invadente presenza .. ma si sentiva paralizzato. La ragazza, impaurita si presentò per cercare di allentare la tensione: “Mi chiamo Angela ho 30 anni e vengo da Siviglia, mi sono fermata qui perché ero stanca ho fatto un lungo viaggio nella stiva del peschereccio attraccato accanto alla sua barca”. Vinicius, di fronte alla sincerità della ragazza rispose con galanteria: “Io mi chiamo Vinicius, le chiedo scusa per i modi poco eleganti con cui mi sono rivolto a lei prima, ma è insolito trovare una ragazza così bella seduta da sola sul molo alle 5 di mattina. Tra l’altro questa non è una zona ben frequentata. Ha già fatto colazione?”. Angela, rinfrancata dai modi signorili di Vinicius, rispose che erano due giorni che non mangiava e che avrebbe accettato volentieri di fare colazione con lui, ma non aveva soldi. Angela, per arrivare all’Habana aveva dovuto pagare ben 6000 euro ad un’imbarcazione di contrabbandieri. Il viaggio era stato evidentemente difficile e rischioso, poiché spesso rimaneva con lo sguardo perso nel vuoto e terrorizzato.

Vinicius la accompagnò in un bar nei pressi del porto offrendole ogni ben di dio. Mentre mangiava il viso di Angela rifioriva e Vinicius avvertiva una strana sensazione mai provata prima d’ora. Quella ragazza lo aveva colpito con la sua semplicità e con la sua bellezza. Le chiese se aveva un posto dove andare ed il motivo della sua fuga da Siviglia. Angela, non ebbe esitazioni, rispose subito: “Ero fidanzata con un ragazzo di Madrid che mi aveva promesso amore eterno, giurandomi che mi avrebbe sposata. In realtà il giorno delle nozze mi sono trovata da sola in chiesa senza neanche i miei parenti perché avevano contestato sin dall’inizio la mia scelta. Ora sono qui per rifarmi una vita. Sono disposta a fare qualsiasi lavoro, pur di dimenticare il mio passato”. Di fronte ad una simile confidenza Vinicius sentì una scossa ed un brivido gelido lungo la sua schiena e senza pensarci due volte cominciò a parlare, noncurante della presenza di alcuni suoi conoscenti seduti nel tavolo dietro al suo: “Sembra la mia storia.. Io ho avuto un’intensa storia d’amore con una ragazza di Rio de Janeiro terminata in modo drammatico… Fino ad ora non è voluto parlare con nessuno, sei la prima persona che ha il privilegio di sentirla. Questa ragazza mi aveva fatto perdere la ragione avevo abbandonato il mio lavoro al Comune litigato con tutti i miei amici e parenti. Ero deciso a sposarla ed eventualmente a partire lasciando per sempre il Brasile. La sera in cui decidemmo di partire c’era il mare molto mosso ed un vento molto forte. L’aria era metallica, adesso non mi inoltrerei in mare perché so che è il preludio dell’uragano. Allora ci inoltrammo in due su una barca decisi ad arrivare fino a New York. Quello che successe fu una tremenda disgrazia. Venimmo inghiottiti da una tromba marina nei pressi delle coste di Cuba, l’unica cosa che mi ricordo è che mi ritrovai con la sua collana di perle in mano .. Di lei più nessuna traccia. Da quel giorno giurai a me stesso che non avrei mai voluto innamorarmi per non rischiare di soffrire.” Angela scoppiò in un pianto sincero udendo il racconto di Vinicius. Il proprietario del bar rimase attonito senza parole, non immaginava che il suo amico Vinicius avesse dovuto affrontare una simile esperienza. Lui che era sempre pronto a sdrammatizzare ogni situazione difficile, adesso era lì seduto con un bicchiere di rum in mano e gli occhi colmi di lacrime. Angela era riuscita a sbloccare quella parte più intima della sua mente che volutamente era rimasta nascosta, ma che non gli aveva ancora consentito di superare quel dolore.

Dopo quel giorno, Angela cominciò a viaggiare con Vinicius nella sua barca. Gli faceva da governante e lui in cambio le dava vitto ed alloggio in mare ed a terra.

I mesi passarono e l’iniziale simpatia nata tra i due cominciò a mutare. Una sera mentre rientravano dalla giornata di lavoro, Angela con un gesto molto natura abbracciò Vinicius poggiandogli la fronte sul viso. Vinicius sentì l’istinto irrefrenabile di baciarla. Il suo stupore fu grande quando Angela non si ritrasse. La notte c’era una luna piena meravigliosa che illuminò i loro volti scolpendoli sul muro della camera da letto.

Da quel giorno Vinicius ed Angela unirono i loro destini per sempre.

 

 

 

 

 

 

 

Il povero ricco

(el pobre rico)

 

In ogni paese c’è sempre un via vai di mendicanti davanti alle sagrestie delle chiese. Nella città Granada, esisteva un mendicante un po’ speciale. Veniva chiamato il povero ricco (el pobre rico), ma il suo vero nome era Ramon. La vita gli aveva riservato poche soddisfazioni. La moglie, una bella donna Andalusa di nome Alvira, lo abbandonò dopo soli due anni di matrimonio dilapidandogli tutti i suoi beni. Ramon aveva lasciato Cuba per seguirla subito dopo la rivoluzione, sperando in un avvenire migliore. E pensare che lui, Ramon Sanchez Da Gomena nobile aristocratico, aveva venduto tutti i suoi possedimenti nei Carabi per seguirla. A Cuba era rispettato e temuto come un uomo ricco e potente senza scrupoli, che detestava i mendicanti ed urlava sempre verso di loro esortandoli a lavorare e a non fare le donnicciole ai piedi delle chiese. Il destino a volte è spietato, mai come nel suo caso si ritrovò nel volger di pochi anni da ricco possidente a povero mendicante. I primi tempi cercò di trovare un lavoro come garzone in una bottega di un fabbro: il lavoro gli piaceva ma le sue origini gli impedivano di accettare comandi da persone non appartenenti al suo ceto. In tre anni cambiò 5 lavori, l’ultimo lo portò in un ristorante vicino alla cattedrale. Il mese di agosto del 1974 la temperatura era talmente elevata da far ribollire l’asfalto sotto ai piedi. Fu proprio in quell’anno che Ramon si ritrovò senza lavoro. Andò a vivere sotto i ponti, cercò di nascondersi per la vergogna: lui Ramon Sanchez Da Gomena ridotto a far l’elemosina, non poteva accettarlo.

Si persuase che doveva accettare la situazione e, pur non chiedendo l’elemosina, si cominciò a sedere ai piedi dell’ingresso della sagrestia della cattedrale. Non chiedeva nulla, anzi se qualcuno chiedeva informazioni sulla cattedrale si offriva di fare da guida per i turisti senza chiedere nulla in cambio. Gli anni passarono ed il giovane Ramon cominciò ad invecchiare.

Sono passati ben 20 anni e Ramon è sempre lì seduto ai piedi della sagrestia, non chiede elemosina

Ti osserva e ti saluta, non ha neanche un cappello dove raccogliere i pochi spicci che qualche saltuario parrocchiano getta malamente ai suoi piedi. Lui non bada a queste azioni sgarbate, ma al gesto di generosità nei suoi confronti. Se tu dai qualche spiccio ti pare il pesante portone della chiesa ed attende che tu entri per poi salutarti con un mezzo inchino. La sua ricchezza è nel suo cuore, nel suo animo puro che sconcerta. Non si offende mai, ne reagisce alle provocazioni.

La sua vita gliene ha riservati tanti di dolori che non vuole arrecarne agli altri. Se ti vede triste e solo si avvicina e si ferma a parlare con te per ore. È un povero ricco nell’animo e nella mente che dispensa ed elargisce il suo patrimonio ineusaribile. Si ciò che nasce dal cuore non può esaurirsi come il denaro semmai può aumentare ma mai dilapidarsi. Il patrimonio di Ramon venne dilapidato da sua moglie e da suoi investimenti azzardati, ma la ricchezza che aveva raggiunto adesso nessuno poteva dilapidarla.

Quel povero ricco ora non c’è più ma sulle gradinate della sagrestia c’è una lapide che uno dei parrocchiani più facoltosi ha fatto realizzare:

“qui è passato il signore sotto le sembianze di Ramon Sanchez Da Gomena un povero che ha offerto tutto il suo amore senza chiedere altro che un misero tozzo di pane”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La cipolla

 

Era lì tutta sola che sfogliava lo schedario delle ricette, acquistato pazientemente in due anni facendo “il pizzo” sulla spesa. Quelle ricette erano tutto per Rachele, la sua vita. Una giovane donna di 24 anni, vissuta sempre nell’oblio di uno sperduto paesino ai piedi dell’Etna. Era molto bella, una tipica bellezza normanna: alta con capelli biondo cenere, occhi verdi, vitino di vespa ed un seno prosperoso. Era la più bella ragazza del paese, ma anche la più timida ed introversa. Quell’aria così densa di fuliggine ne aveva permeato il carattere così incline alla meditazione, ma chiuso verso le sollecitazioni di un mondo per lei ancora sconosciuto. Passava le sue giornate sognando di diventare un grande cuoca e di approdare nel continente, dove avrebbe conosciuto tante persone e forse anche l’amore.

La vita in famiglia le stava stretta.

La madre, Rosalba, la vedeva ancora come la piccola Rachele di 6 anni, con dei fratelli maggiori, Rocco e Vito, talmente grandi da poterle fare da genitori; il padre, Salvatore, tornava a casa la sera tardi girando per i paesi come ambulante con un furgoncino americano barattato con dei soldati subito dopo la guerra in cambio di vino, pane e un vecchio casolare diroccato. La moglie non gli perdonò mai quel baratto, adesso la lurida spelonca era diventata un albergo a 5 stelle rimodernato e pieno di turisti tutto l’anno. Salvatore, uomo onesto e dedito alla famiglia, mal digeriva le critiche di Rosalba, figlia di un ricco proprietario terriero caduto in disgrazia a causa del gioco d’azzardo. I litigi, dopo il matrimonio di Vito e di Rocco, aumentavano sempre di giorno in giorno con l’incipienza di una demenza senile che fagocitava la fragile personalità di Rachele. Non vedeva sbocchi a quelle crisi di rabbia; vuoi per l’acredine della madre nei confronti del marito, vuoi per le reazioni violente dovute a quelle discussioni. Lei era sempre lì ad ascoltare in un cantuccio, senza mai farsi scoprire con il suo tesoro in mano: il ricettario della vita.

Il vero nome di quel libro a schede mobili era diverso ma per lei era una guida spirituale, la via di fuga verso nuovi mondi. Le pietanze orientali le consentivano di viaggiare con la mente in posti che non aveva mai visto neanche alla televisione, quelle italiane la facevano sentire italiana e non più isolana.

Tutto procedeva come sempre nel paese di Arci Etneo. Donna Rosalba la mattina alle 7.00 usciva di casa per recarsi al mercato con Rachele che di giorno in giorno si faceva più bella e suscitava sguardi di compiacimento in tutti gli uomini del paese. La madre se ne era accorta da molto tempo ma aveva progetti ben precisi per la sua unica figlia femmina: un matrimonio di interesse con il più ricco proprietario terriero di tutta la provincia di Catania. Era già stato tutto programmato quando Rachele aveva appena sei anni ed il futuro marito già 14 anni. Non avrebbe mai discusso ne con la figlia ne con il marito la stipulazione di un affare così importante: l’unico sistema per acquisire la dignità di cui il marito l’aveva spodestata con il baratto del Casolare.. Quel pover uomo le aveva consentito di vivere agiatamente senza dover rinunciare a nulla, con il duro lavoro di tutti giorni compresa la domenica quando, mentre lei si recava in chiesa a santificarsi, il marito passava a prenderla alla fine della messa con la macchina nuova acquistata con delle cambiali che i suoi nipoti avrebbero continuato a pagare fino all’età della pensione.

Il mercato già brulicava di persone e di mercanti pronti a vendere ogni ben di dio a pochi euro, pur di tornare a casa con qualcosa. Rosalba era così affaccendata nelle compere, da non avvedersi che Rachele si era soffermata su un manifesto che comunicava a tutta la popolazione l’arrivo della rai per un premio nazionale di arte culinaria. Rachele si scrisse diligentemente tutti i numeri di telefono e gli indirizzi degli addetti all’organizzazione: era decisa a partecipare anche a costo di dover scappare di casa. Sì, probabilmente avrebbe dovuto cercare una scusa perché la madre non avrebbe mai accettato che la sua unica figlia si cimentasse in pubblico “ai fornelli” davanti a tutto il paese, con il rischio che il futuro marito, Don Rodolfo, venisse a saperlo gettando discredito sulla sua onorata famiglia che mai avrebbe accolto una “fimmena” che cucina in piazza.

Rachele, tornata a casa, cercò subito una ricetta più adatta per una simile occasione. Sfogliò e rilesse tutte le ricette del “suo breviario” individuandone due o tre. Alla fine la scelta cadde sulla più semplice: le cipolle al forno. Erano i primi di ottobre ed il premio sarebbe stato consegnato durante la manifestazione che si sarebbe svolta l’8 dicembre: il giorno dell’immacolata. Da metà ottobre, Rachele frequentò sempre più assiduamente il mercato, informandosi su tutte le varietà di cipolle esistenti e sulla loro resistenza ad una cottura al forno con temperature oscillanti tra i 180 ed i 200 gradi. Aveva scelto anche il banco a cui si sarebbe rivolta per acquistarle ed ogni giorno passava, all’insaputa di Donna Rosalba, per vedere con il passare dei giorni quali varietà erano più indicate all’abbisogna.

I tentativi con le cipolle avvenivano in casa di una sua cara amica, Rosa, che gentilmente si era offerta per consentirle di provare a cucinare le “sue cipolle”, con gran felicità dei suoi quattro figli che benedivano la dolce Rachele per il buon pasto che ogni giorno si ritrovavano rincasando dalla scuola. Rosa, infatti, era rimasta vedova molto giovane con 4 figli da sfamare e Donna Rosalba era contenta quando Rachele si dava da fare per lei non sapendo che le due amiche tramavano a sua insaputa.

Passarono i mesi come il vento, la fatidica data si avvicinava sempre di più e Rachele non riusciva a nascondere l’emozione e l’ansia per l’esibizione in pubblico. Rosa, per non farla sentire a disagio, la invitò a stare da lei finché non si fosse conclusa la manifestazione. Grave errore, i sospetti di Donna Rosalba la portarono a recarsi di persona a casa dell’amica di Rachele. Il suo stupore fu maggiore quando i figli di Rosa rientrarono da scuola. Subito chiesero se erano pronte le cipolle di Rachele. Donna Rosalba, furba e astuta, capì subito cosa stava succedendo.

Le voci nei paesi circolano, aveva saputo che di lì a pochi giorni si sarebbe svolta la manifestazione e che, oltre al premio di 5000 euro, la vincitrice avrebbe avuto un contratto con la RAI di Milano per ben 4 anni come assistente durante la trasmissione "la prova del cuoco". Tornò come una furia in casa, aprì con violenza inaudita la porta della camera da letto di Rachele urlandole  a squarciagola che piuttosto l’avrebbe uccisa, ma non le avrebbe mai consentito di partecipare al concorso.

Rachele, si strinse nelle spalle impaurita dalle dure parole della madre incapace di reagire. Pensava che tutto fosse finito, quando inaspettato e provvidenziale arrivò la telefonata della Zia Concetta che chiedeva a Donna Rosalba di recarsi immediatamente a Catania per questioni ereditarie da risolvere con il notaio. L’incontro con il notaro doveva avvenire il 9 dicembre alle 8.30 quindi Donna Rosalba fu costretta a prenotare il biglietto del treno per l'otto dicembre nella tarda mattinata, non potendo lasciare da solo il marito, Rachele si ritrovò nella condizione ideale: la madre sarebbe partita alle 11.30 e la manifestazione si sarebbe svolta alle 12.30, il padre prima delle 13.30 non sarebbe rientrato a casa.

Era tutto pronto nella piazza centrale del paese: c’era la banda, il sindaco e tutte le personalità del mondo culturale di Catania. La troupè della Rai entrò in pompa magna nel paese, come se si fosse trattato di un condottiero romano al ritorno da una campagna vittoriosa. Per Rachele era decisamente questa la sensazione, quel piccolo gruppo di giornalisti e showgirls, rappresentavano per lei la libertà tanto agognata.

Sistemati altoparlanti, cucine e riflettori ecco il fatidico momento. L’elenco dei partecipanti.. Era stata la prima ad inviare la domanda, ma ahimè il suo cognome – Zaccaria – di fatto l’aveva fatta risultare tra le ultime. Pensò fra sé e sé che era stato meglio, in quel modo poteva vedere come si comportavano le altre concorrenti ed evitare – ove possibile – di commettere i medesimi errori.

La lista comprendeva ben 200 persone tra uomini e donne, lei era la quart’ultima. Un brivido gelido le percorse tutta la schiena al solo pensiero che il concorso potesse protrarsi oltre le 13.30, ma ogni timore venne fugato da una solerte ragazza in minigonna che al microfono avviso le concorrenti di non preoccuparsi per il numero di partecipanti poiché avevano in dotazione ben 50 cucine da campo in modo da consentire lo svolgimento delle operazioni nell’arco di un’ora. Comprensibile accorgimento per un gruppo di giornalisti e showgirls provenienti da Milano, prima si chiude prima si torna nella “c.d. civiltà”.

Rachele era diventata  impaziente, le ginocchia si muovevano da sole ed i suoi occhi avevano assunto la conformazione del quadrante del suo orologio: ogni 30 secondi controllava l’ora e sembrava che i minuti scorressero più rapidamente del solito.

Mentre aveva perso ogni speranza ecco che un giornalista dal fisico atletico con capelli nero corvino, occhi neri e spalle larghe pronunciò il suo nome: Rachele Zaccaria. Lei voltò il suo sguardo per individuare la fonte di quella voce così calda e suadente, rimanendo per alcuni secondi immobile a fissare quegli occhi neri. Come un automa salì sul palco e si avvicinò al giornalista che si presentò con molta eleganza: “Sono Davide Gandolfi, per quale motivo partecipi al concorso Rachele? Potresti farci partecipi dei tuoi desideri?”

Rachele era impietrita di fronte ad una simile domanda, rispondere sinceramente sarebbe equivalso ad un scomunica paesana, non rispondere scortesia nei confronti del suo possibile salvatore. Scelse, con molta diplomazia, la soluzione più ovvia: “Partecipo oggi, sperando di vincere, per mettere da parte una dote in denaro per il matrimonio con il mio futuro marito Don Rodolfo”. Un applauso scrosciante dalla piazza accolse le sue parole come provenissero da un nuovo messia.

Davide, visibilmente colpito dalla bellezza di Rachele, volle accompagnarla di persona alla cucina da campo a lei assegnata. Si intrattenne per spiegarle ogni minimo dettaglio sul come accenderla, ben sapendo che lei ne conosceva alla perfezione ogni minimo dettaglio. Lei lo guardava con un sorriso dolce ma conciliante al tempo stesso, a tal punto da metterlo in imbarazzo ed a farlo scivolare su ossa di formiche inesistenti.

Rachele cominciò a pulire le cipolle con mano svelta ma attenta, sotto gli occhi incuriositi di tutto il paese e di Davide che la continuava a seguire con lo sguardo mentre presentava le altre concorrenti.

Dopo aver lavato con cura le cipolle le distese su una casseruola, preunta con del burro, distendendo sopra le stesse un macinato di capperi, prezzemolo, acciughe e pangrattato. Regolò il timer del forno per 20 minuti e la temperatura intorno ai 190 °. Nella piazza il profumo di quelle cipolle stava risvegliando gli appetiti degli astanti, ma non lontano da lì un'altra persona sentì quel profumo a 20 chilometri di distanza: era Don Salvatore che con il suo furgoncino stava tornando in perfetto orario a casa. Quel profumo stava facendogli dimenticare anche la litigata avuta la sera prima con Donna Rosalba, che come al solito non perdeva occasione per ricordare le sue nobili origini. Per un attimo avrebbe voluto non essere più dentro quel furgone ma con la sua adorata figlia Rachele ad assaporare quella deliziosa pietanza. La realtà cruda si appalesò ai suoi occhi, l’indicazione per Arci Etneo che distava ormai solo 10 chilometri.

Nel frattempo, la giuria stava per assaggiare “le cipolle di Rachele”. Tra i giurati – non poteva essere altrimenti – vi era il sindaco Don Onorio Prestipò, padrino di cresima della bella Rachele. Terminata la degustazione tutti i giurati rimasero a confabulare per quasi 20 minuti. Rachele, tremava come una foglia e Davide – con molta circospezione sapendola impegnata ufficialmente – le si avvicinò cercando di tranquillizzarla. Rachele volse il suo sguardo verso Davide stringendogli la mano. Di lì a poco sarebbe stato emesso il verdetto, ma i due giovani si diressero dietro le quinte con la scusa di offrire un bicchiere d’acqua alla concorrente, particolarmente tesa. Usciti dal palco non servirono parole, le loro labbra si unirono indissolubilmente per vari minuti finché la giuria non pronunciò il nome della vincitrice.

Il sindaco, quale autorità di maggior rilievo, pronunciò con voce gutturale ..: “La vincitrice del concorso odierno per la prova del cuoco è la.. Signorina Rachele Zaccaria”.. Per quanto la sua posizione avrebbe richiesto un contegno maggiore, non riuscì a trattenere l’emozione quando consegnò il premio alla dolce Rachele che conosceva da quando era in fasce. Stava per consegnarle l’assegno di 5000 euro, quando apparve Don Salvatore.

Era molto adirato e, nonostante i tentativi di allontanamento da parte della polizia che transennava, con un cordone umano, il palco, riuscì a passare essendo il padre della vincitrice. Salito sul palco si diresse con passo fermo e deciso dalla figlia. Tutti ormai temevano il verificarsi di una tragedia. Così non fu, Salvatore abbracciò Rachele con tutte la forza che aveva in corpo pregandola di andare via e di non tornare più ad Arci Etneo. Davide, che ormai aveva saputo da Rachele la verità sul suo stato civile, irruppe sul palco e rivolto al padre di Rachele lo esortò: “Don Salvatore io amo sua figlia e vorrei portarla con me a Milano, ma non partirò se lei non verrà con noi”.

Salvatore scoppiò in un pianto liberatorio abbracciando il futuro figlio acquisito, ma declinò l’invito perché aveva ancora altri due figli e l’unica che voleva vedere felice era Rachele per troppo tempo succube delle manie di Donna Rosalba.

La sera venne offerto un rinfresco dal sindaco in onore di Rachele e del suo futuro marito e tutta la nobiltà di Catania era presente. Tra i vari invitati spiccava il nome di Don Rodolfo. La boriosità notoria della sua famiglia si intravedeva nel suo aspetto fisico: robusto, con gote rosse, barba curata, gelatina sui capelli, completo grigio a righe con giacca doppio petto, mocassini con copriscarpe bianchi, borsalino all’ultima moda, guanti di pelle neri e bastone di mogano di un suo trisavolo.

Diametralmente opposto lo stile di Davide: pantaloni di fustagno neri, maglione grigio fumo di Londra e scarpe da montagna. Tra tutti gli  invitati, l’unico che stonava era proprio il borioso Rodolfo che si presentava porgendo gli ossequi a tutte le signore. Non appena ebbe visto Rachele, si diresse con fare autoritario da lei quasi intimandole di seguirla perché doveva presentarle delle personalità presenti a cui aveva comunicato il loro futuro matrimonio. La ragazza quando vide Rodolfo rimase esterrefatta; possibile che la madre l’aveva “venduta” ad un individuo così laido, viscido ed opportunista senza neanche curarsi se a lei sarebbe piaciuto o meno? Di modo e di fatto rifiuto l’invito rivoltole da quel ripugnante individuo correndo dal padre. Don Salvatore, per nulla intimorito dal blasone che si portava dietro Don Rodolfo, lo affrontò a muso duro ed ad alta voce in modo che tutti potessero udirlo: “Don Rodolfo sono ben a conoscenza dei progetti di Donna Rosalba, ma non coincidono con i miei. Visto che i genitori sono due io come uomo e padre di Rachele non acconsento al matrimonio con lei di mia figlia, la prego pertanto di volgere le sue attenzioni verso qualche altra ragazza presente in questa sala!!”

La vergogna ed il disonore di una simile invettiva nei suoi confronti, spinsero Don Rodolfo a fuggire come un ladro colto sul fatto dalla sala del Consiglio Comunale adibita a sala di ricevimento. Appena rientrato a casa telefonò immediatamente a Donna Rosalba che trasecolò udendo quanto era accaduto al ricevimento e durante la giornata. Povera Donna Rosalba, un affare da un milione di euro andato in fumo per i capricci di una figlia ingrata. Lei che le aveva procurato un così bel marito, di sani principi morali e pieno di proprietà a tal punto da averle promesso una parte del patrimonio purché avesse acconsentito all’unione tra Rodolfo e Rachele.

Per l’ennesima volta il marito aveva operato alle sue spalle tramando al punto da impedirle di riconquistare i suoi possedimenti.

Di diversa opinione era Don Salvatore, ora si sentiva liberato da un peso che l’aveva tenuto rinchiuso per anni nell’abitacolo del suo furgone. La figlia le proponeva di trasferirsi con lei a Milano in modo da poterlo accudire nella vecchiaia e per farlo riposare dopo una vita piena di sacrifici. Scelta difficile per un marito, un padre ed un ambulante che vive di espedienti. Un cambiamento radicale lo aspettava e non sapeva se sarebbe stato in grado di reggere alla monotonia delle giornate senza avere un’occupazione che lo impegnava tutto il giorno. Fu allora che Davide intervenne nella discussione tra padre e figlia chiedendogli se voleva entrare a far parte della troupè della Rai come autotrasportatore stabile. In quel modo lui poteva stare sempre con la figlia e con il futuro genero, avendo uno stipendio sicuro. Di fronte ad una simile offerta Salvatore scoppiò in un pianto di gioia abbracciando entrambe i ragazzi.

Il mattino seguente, verso le 11, la carovana partì verso Messina per prendere il traghetto. A bordo c’erano anche Rachele e Salvatore. Il tragitto dalla loro casa fino all’uscita dal paese fu una via crucis con tappe obbligate: giornalaio, barbiere, panettiere, droghiere, fabbro, calzolaio, macelleria, erboristeria e l’intero consiglio comunale capitanato dal sindaco. Le strade erano piene di striscioni con i nomi dei due paesani che partivano per fare fortuna a Milano: “Rachele e Salvatore portateci nel cuore”, urlava la folla.

Usciti da Arci Etneo, sul volto di Salvatore scese una lacrima che fini dritta sulla camicia all’altezza del cuore. Rosalba non avrebbe mai compreso il motivo del suo allontanamento, ma se ne sarebbe fatta una ragione visto che in quel preciso istante diventava proprietaria di due terreni ed acquisiva un’eredità di 500.000 euro. Ora poteva essere felice, aveva soldi e terreni: ma aveva perso il marito e la sua unica figlia.

Il 10 dicembre Rosalba tornò a casa di corsa, il treno aveva portato 20 minuti di ritardo ed erano le 13.40 e non aveva ancora preparato niente. Pensò subito che quella svampita di Rachele non avrebbe mai preparato niente era incapace di farlo. Il suo stupore fu grande quando trovò la porta chiusa a chiave, maliziosamente pensò che la figlia per non dover cucinare era andata dalla sua fedele amica Rosa. Entrò in casa e trovò un ordine maniacale, mai visto prima di quel giorno. Ogni oggetto era al posto suo non c’era un granello di polvere. Arrivata in cucina, vide sul tavolo un tegame coperto con un biglietto sopra: “Cara madre ti ho lasciato delle cipolle fatte al forno come quelle del ricettario da te tanto odiato. Quando le avrai finite telefonami a questo numero – 02554679 – per farmi sapere se ti piacciono. Se ti dovessero essere piaciute, ti comunicherò la ricetta. Un primo ingrediente non c’è bisogno di comprarlo o di ereditarlo, o si ha o non si ha: è l’amore.”

Rosalba mise il tegame sul fuco ed aspettò il tempo necessario perché si insaporissero le cipolle. Le mise sul piatto e già quel profumo intenso le provocò una strana sensazione, le sembrò di essere tornata bambina quando la madre le preparava i manicaretti con tanto amore e con pochi ingredienti. Lo sconforto sopraggiunse dopo aver finito di mangiare, quelle cipolle erano una creazione divina sembravano fatte da mani fatate, non era mai riuscita a fare niente di simile in tutta la sua vita. L’unica sua ambizione era poter riavere i suoi terreni, all’età di 55 anni ora era nuovamente proprietaria terriera ad un caro prezzo: la figlia che adorava era fuggita con l’unico uomo che l’aveva amata veramente e che aveva sacrificato la sua giovinezza per farla vivere come una regina

 

 

 

 

 

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