Dal
Regno Animauto |
LA FATA DELLA LUNA E LA POESIA
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La stella di Edel*
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C’era una volta un garzone che si trovava al servizio di una ricca famiglia. Samuele, così si chiamava, aveva sempre servito il padrone con amore ma, in tanti anni non era mai riuscito a conquistarne la gratitudine. Il vecchio era sempre arrogante con lui e, per mettere alla prova la sua pazienza, spesso gli riservava i lavori più faticosi, ma il giovane, ubbidiente, continuava a svolgere i suoi umili compiti senza mai opporsi. A volte, quando rimaneva da solo nella sua stanza, pregava Dio affinché facesse entrare un po’ d’amore nel cuore di quel povero insolente. Passarono gli anni ma le cose non cambiarono, anzi divennero ancora più difficili perché una grave carestia si abbatté su tutti i villaggi della regione. Il raccolto di quegli anni fu molto scarso, molte bestie morirono e la famiglia entrò in miseria. Samuele però, non si perdette d’animo: lavorando con più impegno riuscì a garantire un piatto di minestra e qualche sacco di farina alla povera famiglia che, così, fu in grado di sopravvivere. Il vecchio, allora, rinsavito, chiamò la giovane figlia di nome Speranza e il suo benefattore e disse loro: “Vorrei che tu, figlia mia, fossi sempre felice come lo sei oggi, perciò ho pensato di darti in sposa a questo bravo e saggio giovane, il quale avrà cura di te come ha fatto finora e ti amerà per il resto della vita!”. Così Samuele, che già aveva mostrato un debole per la ragazza, sposò la figlia dell’uomo che per anni era stato cattivo e ingiusto con lui. La giovane non era mai triste ed il sorriso risplendeva sempre sulle sue belle labbra. Passarono gli anni, la casa dei due sposi conobbe la felicità però non fu allietata dalla nascita di alcun bambino. Speranza vedeva passare i giorni ma il desiderio di diventare madre restava sempre vivo in lei. Così, una notte d’estate, in preda ad una profonda malinconia, pianse. Era la prima volta che le capitava nella sua vita. Pianse tanto da rivolgersi a Dio: “Buon Dio!” Disse, “tu che puoi tutto, dammi la gioia di un figlio!”. Dio, che è tanto misericordioso, ascoltò la donna. Fu così che la vita dei due giovani fu allietata dal calore di una meravigliosa bambina. La gioia ritornò a fiorire in quella casa così come ritornò il sorriso di sempre sulle labbra di Speranza. Passarono gli anni, la bambina crebbe sana e forte e incominciò ad aiutare la madre nei lavori di casa. Era proprio un miracolo per i due giovani vedere la figlia crescere senza un malanno nonostante si fosse abbattuta sul villaggio una nuova epidemia. Le cose però erano destinate a peggiorare e ben presto anche Samuele si ammalò e dopo pochi giorni toccò la stessa sorte alla sua piccola bambina. Per Speranza furono i giorni più tristi della sua vita. Una sera d’inverno, la morte sotto le sembianze di un vecchio, si presentò in quella casa là dove la donna vegliava i suoi cari; prese la piccola tra le braccia e se la portò via. La mamma che si era appisolata per un attimo stanca delle lunghe veglie notturne, riaprendo gli occhi e non vedendo più la bambina, si precipitò fuori disperata, gridando a squarciagola nella fredda notte: “Edel, mia dolce bambina dove sei?” Allora Dio, così come aveva fatto con Samuele, volle mettere alla prova anche la moglie di costui. Si trasformò in un soffio di vento, poi disse alla giovane madre afflitta: “Non disperare donna , se vuoi ritrovare tua figlia ti mostrerò la strada ma in cambio devi darmi qualcosa che ti lega a lei!”. Speranza ebbe un attimo di esitazione poi, a malincuore, tirò fuori un fazzoletto su cui aveva pianto quella sera d’estate e glielo affidò dicendo: “Ecco, questo è ciò che mi rimane della mia piccola figlia adorata!”. In un attimo le lacrime custodite nel sottile lembo di stoffa, si tramutarono come per magia, in mille fiocchi di neve, la cui scia, al chiarore della luna, le indicò il sentiero da seguire. Camminò a lungo, fin quando arrivò nei pressi di un monte altissimo la cui vetta sembrava irraggiungibile. Stremata dalla lunga marcia la povera donna crollò a terra; solo allora udì nuovamente la voce del Signore e il vento parlò per Lui: “Se vuoi rivedere tua figlia ti condurrò fin sulla vetta ma in cambio devi darmi ciò che ancora ti lega a lei!”. La giovane, sfinita, alzò lo sguardo al cielo, poi disse all’insolita voce: “Questo è quello che mi rimane…” e gli mostrò l’ultimo sorriso della bambina impresso nei suoi occhi. A quelle parole, un turbine di vento si alzò impetuoso e la giovane si ritrovò in cima al monte, in mezzo alla neve gelida, ma non riuscì a vedere oltre perchè le nuvole le oscuravano la vista. A stento si trascinò dietro a un riparo e qui incominciò a piangere ma senza lacrime, ormai non le appartenevano più. Il vento, animato ancora una volta dal soffio divino, udendo quel debole lamento, tornò a farsi sentire con maggiore vigore: “Se vuoi ritrovare tua figlia spazzerò le nuvole dal cielo, ma questa volta, devi darmi la cosa che per te ha maggior valore!”: La donna allora, raccolte tutte le sue forze, senza esitare oltre, disse: “Ti rendo il calore del mio cuore, lo stesso che le ho dato stringendola al petto quando era malata, questo è ciò che ho di più caro, ora non ho più nulla da offrirti!”. Come per incanto a quelle parole, le nuvole svanirono, il vento placò la sua ira e apparve un meraviglioso giardino. In esso, molti bambini giocavano, ma nessuno di loro era felice come lei: la piccina dalle lunghe trecce d’oro. Dio, che è così misericordioso, a vedere tanto amore in quella povera donna sventurata, volle farle un dono che rimanesse scritto in eterno e che fosse un testamento d’amore per l’umanità intera: catturò un raggio di luna e le offrì il suo tepore per riscaldarla dal freddo della morte, poi, dopo aver risvegliato la bambina dal lungo sonno, la pose nelle braccia della madre. Il volto della donna si illuminò d’immenso vedendo la sua dolce creatura e due gocce luminose brillarono negli occhi della bambina. Allora Dio con un gesto che solo Lui può fare, afferrò quelle lacrime lucenti e le trasformò in due meravigliose stelle. Ancora oggi, nelle notti d’estate e nelle fredde sere d’inverno, c’è una stella che brilla nel cielo a illuminare la via per gli uomini di fede: è la stella della speranza e, un’altra che aspetta d’essere colta dal suo tiepido raggio di luce, lassù, sui monti innevati del nord.
*(La vera storia della stella alpina)
Autore: Antonio Presutti
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LA FATA DELLA LUNA E LA POESIA autrice: Astfelia "Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai, Le fate della Terra trovano le gemme preziose e le nascondono in uno scrigno, nel cuore di una foresta incantata. Talvolta una fata prende sotto la sua protezione una giovane sposa di famiglia povera, in attesa di un figlio. Perciò di notte visita la sua casa e lascia, nella culla preparata per il nascituro, uno dei diamanti caduti dalla Luna. Così la famiglia non sarà più povera e il bimbo che verrà al mondo non soffrirà mai la fame e la miseria. In questo modo io, Lunilia, la fata della Luna, ed il mio sposo nato da una poesia che alla Luna fu dedicata, tentiamo di alleviare un poco il peso dell’esistenza almeno ad alcuni fra gli umani. Forse, se il poeta Giacomo Leopardi avesse potuto sapere quale magia fosse scaturita dal suo canto, un briciolo di gioia avrebbe riscaldato anche il suo infelice cuore. (Astfelia)
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autore: Bruno Macchiusi
Non ci crederete, eppure. Ascoltate attentamente e ne rimarrete incantati. Ero fermo dinanzi le strisce pedonali. Aspettavo che il semaforo segnalasse il verde per attraversare una strada molto trafficata, quando . . .
“ … Ciao primitivo! Dura la vita del pedone eh !? Ah, scusa, non mi sono presentata, sono Zebrisce, ti proteggo, o almeno tento di farlo, nei tuoi repentini attraversamenti della ormai pericolosissima stravana. Hai visto come correva quel grosso Tirosauro? E’ pericoloso come tutti gli altri animauto sai? Qui ogni giorno, ne vedo di tutti i colori ormai. Nonostante comare Giraffemaforo stia instancabilmente di guardia e faccia il lavoro più grosso, l’eccessiva sovrappopolazione del regno animauto ha reso troppo difficile il nostro compito e rischia di mettere in crisi la vostra tranquilla sopravvivenza. Persino compare Ippopautobus, placido e benvoluto sornione della stravana, non riesce più da solo, ad arginare questo forte caos. Ebbene si, ho assistito a tragedie e disperazioni, purtroppo, ma la rabbia è che … potevano essere evitate. Non ti nascondo la mia collera anche per le sregolate pantemoto, sfreccianti in ogni angolo e percorso, persino nel vietato pedoliane. Ma la mia forte indignazione è per le fragili gazzeclette, ignare suicide, si addentrano nei più pericolosi percorsi, di giorno e di notte, noncuranti del pericolo che corrono e del grave destino cui vanno incontro. Tutte al buio, presenti sempre e ovunque, e immancabilmente senza l’ormai vitale fanalino sulla coda; praticamente invisibili. Le chiamiamo ormai: “le fantasmine della stravana”. Ecco, caro sconosciuto primitivo, ho voluto avvisarti, in questa breve sosta, così magari tu, che parli il normale linguaggio degli umani, puoi scrivere o ispirare una fiaba e raccontare loro del nostro incontro, per metterli in guardia dai tanti pericoli. Chissà, potrebbe servire a salvare la vita a molti umani, non pensi? Io sono certa che la fiaba piacerà molto ai cuccioli d’uomo. A loro sarà consegnato il destino e il futuro benessere di voi tutti, però ricorda, sta a voi cominciare a lavorarci seriamente e da subito. Ora ti lascio, mi scatta il verde. Buona fortuna! . . . “
Avete ascoltato amici? A me sembra ancora un sogno . . . davvero fantastico e incredibile. Eh gia’, proprio cosi’, incredibile ma . . . incredibilmente vero!!
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