Francesco Gentile

le sue poesie - pensieri

IL TRENO IN RITARDO C'EST BIZARRE LA MACCHINA ITALIANA LA CASA IL FINALE SCONTATO L’APERITIVO CON LA MACCHINA NUOVA IL RISVEGLIO IL BICCHIERE IN FRANTUMI

BUON ANNO……

             

 

 

IL RISVEGLIO

Un occhio aperto ed uno semichiuso, con il solito e puntuale sincronismo, al rintonare della sveglia, non ho una particolare voglia o desiderio di sollevare le chiappe dall’amico e fedele letto.
Guardo il soffitto impolverato e poi, ancora più giù, tutto il resto. La sveglia continua a strillare, sembra quasi lamentarsi dell’insonnia notte, passata ad ascoltare un rumore otorinolaringoiatrico fastidisioso, nauseante, da vomito.
Deposito prima sempre il mio piede destro e poi anche quello sinistro nel focolare delle pantofole, mi appoggio sul letto e ripenso a quella sera, al sapore della saliva candida che mi aveva lasciato, all’amaro in bocca di non essermela scopata subito, ai suoi apprezzamenti sulla qualità del bacio.
Poi abbasso lo sguardo verso l’estremità delle mutande, di un color strano, ma di profumo di sperma…altra sega vissuta con l’intensità di sempre, altro piacere sfumato egoisticamente, altre speranze in vista.
Il rumore della sveglia si tramuta in chiamata permanente, mi alzo di scatto, mi precipito al cellulare e leggo il nome AMORE, superfluo come nome ma utile per differenziarlo da altri come Giuseppina o URBINO. Era Alessandra, donna alla quale ho regalato paroloni di gioia e speranze di amore, con una testa ed un motore, fabbrica di sogni scaturito da Irene Urbino.
Proprio così, da non crederci, mi ritrovo a dover dire amore ad una persona quando la mia testa era altrove, quando ciè tutto il mio corpo protendeva verso le gambe, il culo ed i fianchi di Irene; quando la mia fantasia si conteneva nel suo abbraccio forte, quando avvertivo il suo profumo ed i suoi capelli, sempre diversi di colore , ma ugualmente profumati allo stesso modo, specchio della luce del sole, il cui riflesso mi faceva andare in fiamme.
Ho esitato nel rispondere, per calcolarne le parole, per non far trapelare nulla di quel bacio depositato in un agolo della città e regalato ad un sorriso, la sera prima.
Tiro giù la saliva, cambio tonalità alla voce e quando ero lì ad accingermi nell’apostroforla come tutte le mattine da trenta giorni a questa parte, lei m’interrompe e mi chiede se avessi deciso qualcosa….Un attimo di turbolenza psichica-mentale dai risvolti inquietanti….cosa dovevo decidere? Gli attimi non sono veloci, sono come le macchine in corsia lenta dell’autostrada, peccato però, che non ho ancora dato un’occhiata allo specchietto retrovisore, peccato che ero fisso nello scrutare il cielo azzurro di quella mattina, che mi porta lontano, mica poi tanto così lontano, ma solo alla sera prima.
Si, ne parliamo quesa sera tesorino….e mentre pronuncio queste parole vengo preso di soprassalto da un bicchiere che cade giù da una mensolina della cucina….i mille pezzi di vetri di quel bicchiere presagiscono qualcosa.
Mi precipito in cucina, osservo con aria indifferente i mille pezzi del bicchiere, afferro la moca del caffe’ ed eseguo l’arte di ogni mattina, la routine fiabesca del risveglio, per riprendermi da un sogno e dar vita al grigiore della giornata lavorativa. Non mi dispiace affatto, in realtà, quel grigiore, un po’ per le novelle del notiziario radio, un po’ per le sorprendenti e-mail che ricevo da uno studio legale associato sito nel pieno centro di Bologna, gradite, deliziose, sorprendenti, calorosamente godevoli.
Osservo attentamente il calendario, quell’austero notiziario che t’implora la festa di natale, raziocinio delle luci vivaci e delle luminarie allestite per le grandi cose. Quel desiderio di regalare sorrisi a tutti, e quando ti accorgi che sono tutti scontenti ed insoddisfatti metti mano al portafoglio per appesantire il bene che vuoi trasmettere.
Mi sento un burattino di cui i fili sono animati dal dovere di vestirmi per le feste, di vedere quegli amici ai quali ho promesso una festa di ritrovo, di accarezzare la mamma che non finisce di coccolarti, di pensare alle pretese della sorella, esigentissima nei regali, di soddisfare, in tutti i sensi quella donna, Alessandra, che si è presentata come una cambiale in bianco….ma l’unico diritto che ho, forse in quanto burattino, è quello di ritrovarmi a dar spettacolo davanti ad un palcoscenico, nuovo, pieno di incognite, la strada, dove a fare da spettatori erano i passanti all’uscita di un supermercato e a livello scenografico, un motorino legato ad un palo.
Il suo sorriso brillava nel buio, senza riflettori; i capelli bagnati e la sua smania di correre verso qualcosa, prima verso una vetrata piena di delizie, poi verso il mio corpo, verso quelle labbra, la postura di una protagonista che ho sempre visto accogliere i miei fiori dietro le quinte, ma che ora ho davanti ai miei occhi increduli.
Quel diritto devo esercitarlo bene, non posso permettermi di sprecarlo così, inutilmente.
Mi affretto ad andare a lavorare, il mio ultimo giorno prima di concedermi le ferie. Non concedo neanche uno sguardo alle grane della giornata, nessun dubbio sulle buone intenzioni di riuscire a piazzare qualche aspirante lavoratore, nessun ricordo di appuntamenti preconfezionati, ma solo la voglia matta, il desiderio forte, la spinta propulsiva di leggere la posta in arrivo.
Uno, dieci, mille messaggi in arrivo, tante poesie strappate dal mio ufficio, strarilette, e riversate sul mio comodo letto.
Tanti perché, tanta curiosità, tanto tempo sottratto al mio noiso lavoro, qualche accenno al desiderio ed al passato di noi, ma poi anche al mio presente, al suo futuro, e mentre passavo in rassegna la sfilata delle frasi ad effetto, volavo con il pensiero
Il ricordo va a quella innocentissima sera di qualche mese prima, dove lei timorosa, tenera, ma lucente nel desiderio di fare qualcosa che rompesse un po’ la monotonia dei soliti pensieri, si è concessa ad una improvvisazione teatrale e ad una danza fuori dal tempo.
Ricordo che tra i tanti ha scelto proprio me, tra i tanti corpi della sala ha preferito quello messo peggio, in un corollario di sguardi e di movimenti dove la fantasia l’ha fatta da padrona.
Fortissimo fu il desiderio di di seguire le linee tratteggiate dal suo movimento, di incoronarla con il miglior sorriso che si potesse pretendere da un bambino che gioca.
Eravamo due bambini che giocavano con la forza della fantasia, pertanto i miei incoraggiamenti , da saputello del mestiere di attore, apparivano spiacevoli e fuori tempo, in quell’atmosfera magica che ci avevano obbligato, e nel quale ci trovavamo a nostro completo agio.
Ricordo che dal suo sogno ad occhi aperti e dalla sua apparente follia del momento, ad una piccola battuta sull’uomo da cercare, sui tanti uomini che hanno sempre solazzato i suoi pensieri, come una ruota della fortuna ha ruotato la sua testa al punto di fermarsi in direzione del mio sguardo, sprigionando un sorriso, come quello quando si appresta a ritirare un premio, tipo prosciutto ad una festa dell’unità.














2 IL BICCHIERE IN FRANTUMI


“E' UN PERIODACCIO. NON VEDO L'ORA CHE ARRIVI QUEST'ALTRO ANNO. VOGLIO,
RIEMPIRE IL BICCHIERE DELLA MIA VITA.”
Un messaggio che mi ha rasserenato nella tempesta dei pensieri turbolenti passati in quel momento.Mi lancia un messaggio intimo, è un segnale di qualcosa, penso, o semplicemente un modo per augurarsi qualcosa di nuovo sotto le stelle di quest’altro anno che verrà. Non so, e sinceramente, non riesco a capire perché continuavo a farmi tante domande. Dovevo rispondere a modo, o meglio io , botte di vino d’annata, stagionato e raffinato, sarei stato pronto a colmare quel bicchiere, ma non era questo il punto….dovevo ancora vendemiare.
Il suo bicchiere era vuoto, quindi un tempo era colmo, ma di cosa il bicchiere della vita può essere colmo? Un bicchiere non può svuotarsi così semplicemente…a limite può frantumarsi. Ecco, proprio ciò che mi era accaduto quel giorno; il bicchiere in cucina frantumato e che mi ha lasciato nella totale indifferenza. Pensavo al mio di bicchiere, elegantissimo, quasi per le grandi occasioni. Uno di quelli che quando l’acquisti avresti voglia di usarlo subito, con l’intero patacchino del codice a barre sul culo.
Lo abbiamo riempito di speranze, vino a gran volontà, brindisi a non finire….le speranze che si pongono a tavola prima di una gran bella cena.

Quella mattina alla domanda di cosa avessi deciso, quel bicchiere, in bilico tra la mensola ed il lavello, ha preferito lanciarsi nel vuoto, nessuna risposta, solo un silenzio perverso, seguito da un frastuono impetuoso.
La sera, invece, un altro bicchiere mi attendeva, questo si, da riempire. Un aperitivo quasi inaspettato, un invito frettoloso, un appuntamento quasi casuale e segreto.
Quella sera ero atteso da Alessandra, ma con una scusa qualsiasi ho rimandato la farsa per riempire quel bicchiere, atteso ed intrigante.
Mi affretto per raggiungere lei, Irene, che guardandomi sconvolta, come se volesse chiedermi scusa di qualcosa, mi chiede di un locale dove pregustare un aperitivo colorato e brindare a qualcosa. Ci affrettiamo a raggiungere un locale dove era vietato fumare, in compenso, i due bicchieri s’incontrano e si scontrano, il contenuto trasparente riflette il nostro sorriso ed i nostri occhi, dopodichè mi vien voglia di far calare a picco quel bicchiere, di lanciarlo in aria, sospeso come i nostri spensierati desideri…non lo faccio per formalità, ma qualcosa doveva pur succedere; è così è stato.
Il bicchiere della sua vita, ed il mio bicchiere, della mia di vita…un passo lento, come quello di quella mattina, nello stritolarne i cocci riversati per terra e non raccolti.
Al suo desiderio di riempire il bicchiere della sua vita, io le faccio un invito….. i bicchieri sono vuoti, ma solo metaforicamente, perchè dentro contengono emozioni, sentimenti, lacrime...
Sono bicchieri che vanno rotti in mille piccoli pezzi per poter cosi distruggere sempre l'ombra del passato e tornare a vivere nel futuro con un sorriso e tanta speranza.
Mentre scrivevo questa frase, ovviamente la mia fantasia navigava in alto mare, con il rischio spesso di vomitare sul parquet appena lucidato.
Non ho ricevuto alcuna risposta, né mai la riceverò….ma non ha importanza;mi verrebbe da dire perché ognuno pensa ai propri bicchieri, ma è forse meglio pensare che di bicchieri la vita ne dispone tanti, occorre solo scegliere, è ciò che riempie quel bicchiere che, invece, va’ curato, preselezionato, pregustato, amato.
















BUON ANNO……

L’ avventura spagnola è stata entusiasmante…dal punto di vista sessuale intendo; el “ matator de la cama” ha seminato piacere. Abbiamo fatto sesso di continuo, collant, tanga, slip rossi, camera d’albergo, ci mancavano solo le mascherine, per ore e ore, in tutte le posizioni, anche quella nostra preferita, l’arredatrice da letto , che semplicemente consisteva nell’indivuduare la preda, posizionata sotto il letto, falsamente inorridita, e dopo aver rimosso il letto con forza, mentre lei era timorosamente piegata su se stessa, io la sollevavo con le braccia e lei mi teneva i fianchi con le cosce, stretta al suo fore, mentre restavo in piedi, dentro di lei.
Alessandra ci teneva a quel viaggio a Barcellona, per quanto mi riguarda, mentre sferravo lungo l’autostrada, il buio delle gallerie rispecchiava benissimo il mio stato d’animo, un tunnel senza uscita, una strada senza alcun senso di marcia….pensavo sempre di aver dimenticato qualcosa a casa, e sudavo, nonostante il clima gelido.
Era sicuramente quella telefonata piena di balle ad Irene. Le avevo espresso il desiderio di portarla a Barcellona, nessun menage a trois, per carità, ma solo per capire quale poteva essere la sua reazione ed il tipo di erezione che comprensibilmente potevo ottenere.
Era la mia voglia di starle accanto, senza possibilità di successo
M’inventai un servizio fotografico per un’amica, nello spettacolo della città catalana in realtà il servizio c’era, ma mancava l’amica…Alessandra, che nel frattempo diventava sempre più estranea.
Ripensavo ad Irene quasi segretamente, senza lasciare alcun sospetto ad Alessandra, ed anche quando il nostro sudore si riversava sul letto, e mi posava il capo sulla spalla urlando, scrutavo il soffitto della camera e ripensavo, in tutto quel casino, alla voce di Irene, malinconica per le odiate feste, passate lontano.
Il desiderio di rivederla era lungimirante, non aveva alcuna forma di ostacolo, e si tramutava in un apparente mio modo di fare, perso nei pensieri, alla vista dei bei quadri di Picasso e delle sculture surreali di D’Ali’.













L’APERITIVO CON LA MACCHINA NUOVA

Uno sbadiglio che sembra un uragano accarezza i fogli in disordine sulla mia scrivania; il telefono squilla e non rispondo.
Alle 19.15 in punto una lucidissima macchina rossa si sofferma davanti al mio ufficio, mi avvicino con aria incantata, i miei passi accellerano l’andamento, ed intravedo i suoi bianchi denti nell’oscurità della notte attraverso il finestrino dell’auto, è lei.
Mi fermo un attimo per ammirarne la bellezza, entro in macchina con delicatezza ed annuso l’atmosfera nuova, nuovi i sedili, pulito il posacenere, il cruscotto lucidissimo, mentre lei mi regala un abbraccio, sembra felice di rivedermi e di trasmettermi la sua gioia per il suo ultimo investimento.
Non accenno al suo nuovo look, resto in silenzio ed afferro la cintura della macchina nuova, un gesto interminabile, mentre lei è presa nella guida, sferra una sgommata e via verso un pedone che ignaro attraversava la strada, mancato ovviamente, come le occasioni che uno ha, che sento di avere, e che desidero non sciupare.
Presentarmi queste occasioni, è il motivo stimolante di questo, quasi improvviso, incontro. L’occasione di conoscerla in maniera diversa, di ascoltare le sue labbra, di avvertire lei “ghignare” per una mia psicosi da guida. Ormai è fatta, la mia mente è li’ a perseverare nel suo contrastante piacere che trasmette.
Davanti ad un ennesimo aperitivo, dopo qualche leggera distrazione, mi afferra le parole e le trasforma con le sue, mi parla di bicchieri riempiti, per la grande occasione dell’anno nuovo, e buttati giù tutti d’un sorso, di una festa monotona, tra un sospiro di sollievo ed uno di speranza.
Io li’, ad ascoltarla, come un condannato a morte, senza possibilità di prestare giuramento alla verità, dovevo gioco forza mentire.
Forse non avrebbe avuto senso, se non perché avevo voglia di accarezzare il suo seno, i suoi capezzoli.
Mi fa’ una serie di domande, che nascondono le insidie per un perfetto recluso come me, meritevole di una pena.pesante.
Le accarezzo la mano, memore di quei baci dispersi l’anno precedente, e non ricordavo neanche in quale anno fossimo.
Nella sua macchina nuova, sotto l’umidità di una pioggia fastidiosa, in prossimità della casa di Alessandra, spacciata per un amico, ci regaliamo carezze sulle labbra, il nostro fiato resta sospeso ed i vetri della sua macchina nuova si appannano.
E’ la nostra festa di buon anno, è l’occasione per vivere ciò che di speciale c’è in lei, e forse ciò che sono io per lei.
Proprio come la sua nuova macchina.


 

 

 

 


IL FINALE SCONTATO


Questo mio racconto non ha un seguito cronologico, e neanche logico. L’autore ha deciso di infilarci adesso il suo gran bel finale; tutto ciò che verrà dopo è un susseguirsi di eventi, irripetibili, fatali per il finale che sto’ per raccontarvi, proprio come gli antipasti che preparano la cena a base di cotolette.
E’ un giovedì, una di quelle giornate intense, vuote la mattina, ma carichissime di cose, di sensazioni forti che vanno a riempire la giornata, fino alla fine.
Sono bloccato dal traffico insopportabile, lungo la strada che si percorre per arrivare da lei. Gli automobilisti sembrano ingiusti con me, sembra che lo facciano apposta nel farmi tardare l’appuntamento con lei. Nel frattempo la rassicuro con una breve telefonata che ha tutta l’aria di essere un urlo di disperazione per ciò di cui ero vittima.
Arrivo sotto la sua dimora, l’attendo con sospetta tranquillità, e mentre sollevo lo sguardo dal marciapiede, la vedo avviarsi verso di me, con tutto il suo fragile corpo e con quell’andamento veloce, ma insicuro, che rispecchia benissimo la sua anima.
Mi aveva accennato che si sarebbe messa alla guida della sua auto, la sua tanto adorabile auto. Invece con aria generosamente dolce mi annuncia di essersi dimenticata le chiavi a casa. Mancano pochi minuti all’inizio del film, di cui saremmo stati spettatori. La mia mano stringe la sua, dopo un breve cenno di sorriso e cominciamo ad avviarci verso la mia auto frettolosamente. Lei ha sempre provato un senso di sottile disgusto…per la mia auto, sarà per il puzzo di fumo, per le sue ammaccature sui fianchi, perché è sempre sporca…non so’ è una questione di pelle, piace o non piace, non c’è altra scelta.
Musica che segue il ritmo del rombo del motore di quell’orribile macchina e via, verso il grande schermo.
Un film al quale lei ci teneva tanto, con un’impronta di indubbia qualità scenica. Gli effetti della psiche e la sua capacità di riscoprire colpe del passato, attraverso alcune vittime che restano presenti nella mente umana. La sua capacità di venire a capo dei misteri non mi stupisce più di tanto.
E tra una carezza ed un lieve urlo di terrore alla visione di un braccio mozzato, mi tende la sua mano, ogni qualvolta l’allontana dalla sua bocca, per lo stupore e la paura.
Alla fine del film mi sussurra di aver avuto paura, e che non avrebbe dormito per quattro anni di seguito.
Cerchiamo di fuggire a gambe elevate dalla sala, alla ricerca di una morale del film, così come si è alla ricerca della toilette.
Nel labirinto della multisala ci ritroviamo nell’androne di un altro ambiente dove proiettavano un altro film. Eravamo tentati di trasgredire se non fosse per la simpatia del bigliettaio, che ogni volta che ci scrutava ci regalava un sorriso, sicuramente dovuto alla sua divertente capacità di descrivere quelli come me, inconfondibile faccia bonacciona, ma palesemente pelato.
E poi con quei passi veloci, pronti a bruciare tutte le tappe che il tempo ci regala, scendiamo giù dalle scale mobili, dalla parte contraria, ovvero da quelle che salivano. Un significativo modo di andare controcorrente, un emblematico destino. E’ quello che succede in amore, ci s’imbatte verso qualcosa di impossibile, ci si lascia andare contronatura verso chi l’amore non sa’ cosa sia, o semplicemente ne ha paura oppure ci s’imbatte, consapevoli del fatto che porterà solo dolore, ma si va’ avanti senza porsi il problema della fine, forse credendo ad una immortalità dei sentimenti, che poi non esiste.
Ci ritroviamo con aspetto infantile a ridere, a sudare, a correre, e le nostre gioie rimbombavano in quel silenzioso parcheggio sotterraneo.
Quando la mia auto si ferma sotto la sua casa, avevo le gambe che mi tremavano, nell’atroce dubbio che si trattasse di un ennesimo bluf. Avevo già il presentimento che ci saremmo parlati, chiariti. L’ho invitata a passare una giornata insieme, ad assaporare il gusto di una serenità che avrei potuto trasmetterle in una giornata intensa, il dolce inizio, la piacevole lentezza del vivere una situazione di corpi intrecciati, una fine meno drammatica, perché ne resta l’idea, il ricordo.
Con la sua inconfondibile abilità riesce a colpirmi subito nel profondo, a tergiversare ed a capovolgerne il senso di quel nostro incontro.
Le sue labbra respingono con affabile gentilezza le mie, le sue mani diventano fredde di paura. Lei è perfettamente consapevole del mio desiderio di amore, di fare l’amore, di godere e di far godere. E mentre era intenta nella lettura dei miei occhi persi, provava un gran senso di colpa e di amarezza, per il fatto di non rappresentare quel maschio dalla pelle vellutata, dal profumo inconfondibile, e dalle poche parole e dai fatti indiscutibilmente più efficaci.
Sarebbe stato lo stesso….fare l’amore o fare sesso, il movimento è lo stesso, lei avrebbe scelto, purchè tu non sia un cesso. Nella sua camera, io riversato sul pavimento ed i suoi piedi congiunti ai miei, ci siamo detti tutto, in modo molto sintetico. Io che la amo, lei che non mi ama. Intervallati da brividi di paura che abbiamo provato, lei nel vedere in me le sembianze di un padre che ha giocato sporco con la sua adolescenza, io, che vedevo in lei, una donna che ha preso cognizione del tempo finito. Continuava a parlarmi del tempo che scandisce ogni cosa, così come è nella speranza mia e sua, di rimuovere qualcosa che il tempo non è riuscito a scandire, a superare; il suo passato, che non conosco.
Mi accenna a carezze, baci, si lascia accarezzare i suoi tenerissimi capezzoli, si lascia baciare il collo, e si complimenta per i miei notevoli progressi nel baciarla.
Apprezzo la sua sincerità, anche se mi fa’ rabbia apprezzare quelle sincerità.
Non ho la stoffa del maschio, crudo e crudele, non il sapore di un uomo libero, non i movimenti di chi sa’ come prendere una donna, ma da uno che scrive poesie e romanzi e che pretende di incantare solo con le parole, non ci si può aspettare altro.
In quel momento ho immaginato lei sul mio corpo, con i denti sfilarmi la camicia e con la lingua accarezzare la mia pelle, compiaciuta, con gli occhi semichiusi per il piacere e con il suo agile corpo che scivola sul mio.
Quella fantasia mi ha riportato subito alla realtà, con lei che nel sfogliare libri della sua biblioteca, mentre mi parlava di altre cose, in realtà m’invocava amicizia, e pensava al tempo che avrebbe potuto…..
Io, non riuscivo a liberarmi dai pensieri di quell’immagine crudele, rappresentato dalle sue parole, e mi celavo dietro un apparente mutismo.
Giusto il tempo di accarezzarla, di infilarmi la giacca, di far cadere un libro sulla soglia della sua porta di casa e di chiudermi nei miei sciocchi pensieri, lontano da lei.
Ripensavo, mentre la mia auto schizzava via a gran velocità e la musica era forte, nel silenzio della notte, al suo concetto dell’inizio e della fine di un qualsiasi avvenimento, come può essere la vita. L’intensità la si otterrebbe anche in un attimo, così avrei voluto trascorrere quegli attimi senza più sentirla e né vederla, con la cognizione già della fine, in attesa di una sua telefonata, di un suo pensiero, e di un sorriso che sarebbe stato l’inizio di un altro libro, quello incautamente fatto cadere sulla soglia della sua casa, non ancora scritto, e mai iniziato.
L’emblema di smetterla di pensare di dare qualcosa per farla felice e cominciare ad essere in attesa di ricevere qualcosa per essere ugualmente felici
Forse è questo l’amore!







IL WEK-END INSIEME


 

 

 

IL TRENO IN RITARDO

 

Arrivo alla stazione  verso le 13.30 dopo un boccone in un lurido bar delle vie del centro di Verona. Mi avvio verso il primo binario con il biglietto in mano, elegante, profumato,  altezzoso, narciso   come meglio mi piace quando sono tra la gente; e se mi osserva ci sarà un motivo? Allora tiro diritto verso il destino che sicuramente mi ha riservato una sorpresa; e si, è proprio  quello che penso nell'accomodarmi  in una  fredda panchina  e nello sfogliare il mio giornale preferito, l'Unità.

 

Ad un certo punto alzo lo sguardo verso un altro giornale mio preferito Liberation, mi  ricorda la Camargue, quelle distese di lavanda, latte fresco, les paisans a chiacchierare sulle piazze con in mano  Liberation ed  le Provenzal dopo una terribile corrida a morte.

 

Una chioma di capelli  castani si erge dal titolone del giornale, quando comincio a scrutare più da vicino, intravedo il profilo del lato destro, un enorme orecchino argentato, ed un fossetto ai lati del labbro che lascia presagire un sorriso che addolcirebbe le bestie feroci.

 

Così è, non c'è dubbio! Perché all'improvviso il suo sguardo .me lo ritrovo di fronte mentre pronuncia qualche parola che non riesco ad afferrare. E' un colpo micidiale. La sua amica che l'accompagna  continua a sorridere e volta lo sguardo  dall'altra parte. Io resto immobile, atterrito, incantato da quello sguardo. I suoi occhi mi fissano, e i miei fissano i suoi in un incrocio di sguardi naturale, solare, alla penombra di altri sguardi rivolti verso i tabelloni delle partenze.  Quegli occhi l'avrei riconosciuti anche nel cielo notturno colmo di stelle.

 

Non mi pare di avvertire  alcun profumo particolare, perché è tutta l'aria allestita a festa per l'occorrenza.

 

Gli altoparlanti annunciano qualcosa; avrebbero potuto annunciare il mio stato d'animo, le mie sensazioni, le mie sudorazioni,  che avrebbero fatto felici i pendolari e viandanti, ed invece  li rattrista  nell'annunciare un ritardo del treno per Padova.

 

 Rivedo l'amica alzarsi di scatto e le sento pronunciare il suo disappunto con un'espressione tipica francese. A lei  invece, allontanandomi dal suo sguardo,  si assopisce il fossetto; sembra preoccupata, si erge in piedi insieme alla sua amica e si avvicinano ad una signora intenta a guardare i tabelloni degli arrivi. Borbottano fra di loro, a qualcuno squilla un cellulare, le voci si aggrovigliano, nessuno è più disposto ad ammirare il mio look di area manager, tutti distolti da quell'allarmante annuncio.

 

Per la seconda volta rivedo il suo sguardo per intero, un altro incantesimo; due colpi nel raggio di cinque minuti! Roba da far star male anche ai sani di cuore come me.  Sembra preoccupata, gesticola qualcosa ed assume un'aria di broncio, sbadigliando farfaglia qualcosa rivolgendosi alla sua amica ed alla signora poco distante.

 

Finalmente la osservo tutta per intero mentre è intenta ad indossare una giacca di jeans sopra un lungo vestito nero. Mi sembra una di quelle cantanti degli anni 70, figlia dei fiori, che rallegravano i sogni di amore dei nostri genitori.

 

Non posso esimermi dall'avvicinarmi a loro, lo esige la mia area da saputello, da informato  di ciò che accade a quel povero treno in ritardo, in realtà non so nulla, e né m'importa della puntualità di un treno.

 

 

Sfoggio il mio maccheronico francese, mentre i miei occhi non si staccano dai suoi, osservo la sua collana stranissima di falsa perla, le sue labbra che sembrano due scogliere di un mare limpido, i suoi occhi: due perle ritrovate  nell'oceano, la sua amica, una gran simpatica chiacchierona.

 

Io: il y a quelque problème ?

L'amica :  mais oui! Je ne sais pas comment je dois arriveè à Paris!

 

Ho capito il problema. La signora che è con loro mi conferma la triste conseguenza di un ritardo inaspettato, lo dice con un marcatissimo accento del posto, mi fa capire che quel treno li avrebbero portati all'aeroporto di Padova per il volo di Parigi.

 

 Convengo con me stesso che è giunto il momento di farsi carico del problema, di trovare una soluzione, di imporsi. Borbotto qualcosa ,con me stesso, qualcosa di stizza per ciò che accade spesso in Italia, guardo l'orologio e riconfermo la rabbia; faccio capire che insomma quel treno è l'Italia dai suoi innumerevoli volti, un'uscita poco patriottica ma certamente efficace. Si perché nutro il loro interesse, anche se ridono di quello che dico, o forse meglio di come lo dico, ma sicuramente ne è valsa la pena dirlo.

 

Mi si apre il cuore rivedere il suo sorriso, la sua bocca ha un corollario di segreti, i suoi capelli si riaffacciano davanti agli occhi occultandone lo splendore, ed il suo fisico si modella da sola nella tenera consuetudine di una bellezza vera.

 

Anche se abbagliato, non può sfuggirmi lo sguardo, tutto ad un tratto, perplesso della sua amica. E' preoccupata per l'aereo destinazione Parigi. Non so se quell'aereo avrebbe riportato a Parigi anche lei, pertanto non mi resta che domandarlo, magari indirettamente chiedendo come mai si trovassero qui in Italia, o esplicitamente rivolgendomi alla signora veneta. Fatto sta che la domanda la faccio  in maniera più ingenua, commovente direi:

 

 Vi piace l'Italia?

 

Altra risata, altro spettacolo,  e la signora mi dice che loro sono qui in Italia in vacanza, che l'è piaciuta tantissimo, soprattutto Verona, la città degli innamorati, e volge lo sguardo verso chi l'amore ancora lo sta aspettando, ovvero verso di lei.

 

Accenno ad un sorriso tenero, melanconico verso l'amore ed i miei occhietti sono pieni della sua lucentezza.

 

Non ho ancora una risposta al mio atroce dubbio iniziale, ovvero se anche lei è in procinto di rivedere la tour eiffel.

 

Ma il senso di responsabilità mi assale, devo fare qualcosa per loro, devo inventarmi qualcosa che possa risolvere il problema del treno in ritardo.

 

Scartata l'ipotesi di mettermi io alla guida di un treno, mi viene in mente di dover parlare con un responsabile, un capostazione, un ufficiale, un caporale ( il senso civico delle istituzioni che è in me non ha limite in quei frangenti.)

 

Avanti tutta a parlare con il capo. Una carovana di persone affamate di giustizia mi segue. In prima fila lei con in mano  una guida, l'amica francese con in mano Liberation e la signora con il pugno chiuso. Ci avviamo verso il cattivo capostazione, e giunti gli spiego la situazione,  ma solo inizialmente tranquillo perché  poi la discussione diventa incandescente quando lui pretende di avere ragione. Mi affretto a tradurre a loro quelle ignobili giustificazioni, compiacendomi dell'ennesima dimostrazione di conoscere bene il francese.

 

Ne approfitto per rivolgermi  direttamente a lei e sussurrare qualcosa che non sia un qualcosa di superficiale, di banale, ma un qualcosa di eccezionale, un qualcosa che possa colpire la sua attenzione. Un ennesimo sorriso compare in aria nel manifesto del cielo, è una festa in piena regola.

 

Del capostazione in realtà non m'importa nulla, pertanto mi affretto a chiederle se si può aspettare il prossimo treno insieme sul binario che in francese si dice stranamente quai.

 

Quei maledetti 30 minuti di ritardo per l'amica francese, benedetti per me che conosco il senso del tempo tutte le volte che entro ed esco da un ufficio, ma che soprattutto aborro ogni tipo di situazione bella quando passa così velocemente.

 

Ci avviamo quasi sconfitti verso il binario, anche se devo dire la verità a me quella situazione non dispiaceva affatto, lei sempre più vicina a me,  a me  valoroso condottiero civico per la puntualità di tutti i treni del mondo, a me perso dal suo profumo di rose appena raccolte.

 

 L'amica francese è preoccupata e volge lo sguardo verso il cielo camminando in fretta verso il binario, la signora veneta ci osserva lasciando presagire qualcosa con un sorriso furbo.

 

Giunti al binario mi affretto a rompere il silenzio con domande scontate, come quelle che si fanno  solitamente agli stranieri parlando  della bella Italia spaghetti e mandolino.

 

Io: Quelles villes avez-vous visitè?

 

Scontate sono in questi casi   anche le risposte, Firenze, Venezia e Roma primeggiano sicuramente per il loro glorioso passato, ma penso che si siano dimenticati di citare Bologna. Mi chiedo se è solo una dimenticanza o effettivamente sono ignari della città dotta e grassa, se non hanno avuto tempo di visitarla, se mai ci potrà essere la possibilità di visitarla ovvero mi chiedo: ma lei non può tornare a Parigi senza visitare le torri della città più spassosa d'Italia e passeggiare sotto i chilometri di portici ?

 

Si parla anche della Francia, dei treni velocissimi e puntualissimi, dei miei ricordi, e tutto candidamente all'insegna del suo sguardo, da scoprire, da immaginare in un altro contesto come quello di una distesa di ulivi, sotto il sole intenso del sud, ed alle sue spalle un quadro gigantesco dove è disegnato un cielo azzurro.

 

Lei, con estrema sincerità ed innocente tenerezza mi esprime il desiderio di visitare Bologna, di respirare quell'aria, di nascondersi dietro una colonna e farsi scoprire, a cominciare dal suo volto.

 

La signora veneta ormai non ci sta più, è felicissima, sembra un cartellone pubblicitario di un dentifricio; tutto questo mentre il tempo passa velocemente - non ci sono più i ritardi di una volta, di ore insopportabili - i soli 30 minuti diventano giustificabili per l'opinione pubblica, non certamente per il mio cuore che si vede strappare alla mercé del suo piacere una presenza così serena, come quando la luna si affaccia dalla finestra per darti la buona notte.

 

Montiamo sul treno e concordi nella necessità di approfondire tante cose ancora, ci dirigiamo verso il vagone ristorante, ci accomodiamo in una tavolata per quattro persone ed ordiniamo del caffè, tipico italiano.

 

A quella tavola vengo a scoprire tante cose di loro, che prima potevo solo immaginare, a cominciare  dai loro nomi; l'amica francese è Francoise, una donna impegnata culturalmente preparata, di professione fa l'esperta di buste paghe, un noiosissimo lavoro come il mio. La signora veneta è un'arzilla massaia con il culto dei figlio,  uno laureato, fuori di casa, l'altro a Padova, Mauro, che è colui che ha l'onere di ospitare in casa lei e l'amica Francoise, di professione laureando, ed un marito fedele ai sacri principi della famiglia. E poi lei, che scopre il suo nome, Murielle, continua a sbirciare la mia cravatta ed affascinata da essa mi esorta con gli occhi a parlare di me. Comincio da molto vicino, da vicinissimo direi, ovvero dal motivo per cui mi trovavo lì, con loro, in quel preciso momento; senza essere particolarmente pedante parlo del mio lavoro, che è poi trovare lavoro agli altri, farli felici, lasciarli immaginare un futuro migliore, e mentre mi disserto sulla funzione sociale del mio lavoro, lei con una tenera vocina mi esprime il desiderio di poter trovare un lavoro in Italia.

 

Il mio lavoro da mera funzione sociale diventa una istituzione, un dovere morale mi assale, quello cioè di trovarle un lavoro, magari in un contesto nel quale il suo sorriso possa trasformare in oro i guai e possa disegnare un successo da prima pagina per la sua azienda… e tutto questo magari nella città rossa, fatale e papale.

 

Mi confessa che lei resterà ancora qualche giorno in Italia, ospite a Padova di Mauro, figlio della signora veneta e di altri studenti, in un appartamento che immagino affollatissimo prima di tornare a Parigi, e che pertanto….L'ho bloccata sul nascere prima di pronunciare quella frase, come ho abortito il desiderio forte di rivederla quanto prima, altrimenti sarebbe venuto fuori senza ritegno ed in maniera plausibile, ed è meglio che un desiderio cresca in un giardino lontano dalle autostrade dove corrono le macchine veloci e  dalle ferrovie di treni in ritardo.

 

L'altoparlante annuncia l'arrivo alla stazione di Padova, si ha il tempo di scrivere i nostri indirizzi, numeri di telefono internazionali, andresse e-mail, una speranza di rivedersi e come capita spesso in quei momenti un velo di malinconia, il tutto sigillato nel retro di in menu del giorno di quell'8 maggio 2002, un pezzettino di carta custodito gelosamente nella tasca posteriore dei pantaloni.

 Saluti, saluti e baci, che  in Francia sono tre, e vi posso giurare che avvicinare la mia pelle alla sua per quei fatidici baci mi ha lanciato in orbita nel cielo, dove si trovano le nuvole, e qui mi sono ritrovato non solo con la testa , ma anche con anima e corpo.

 

Chi mi ha visto quel giorno ha un ricordo di me completamente perso, smarrito nella nebbia del suo profumo, solo il taxista padovano ha osato affrontarmi nel desiderio chiedendomi se dopo l'amore che avevo in testa avrei potuto pagargli la corsa, così per semplice formalità.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L'UOMO CHE RIDE

 

 

Capitano quei giorni in cui non ti va di fare nulla a lavoro, se non navigare su internet a vuoto o far finta di mettere un po’ d'ordine sulla scrivania.

 

 Mi accomodo sulla mia poltroncina da capo, accendo l'inferno strumento del computer, apro la posta elettronica, in attesa di una piacevole novità. Quel giorno si presentano diverse novità, ma una in particolare mi colpisce più di tutte, proviene da un indirizzo che solitamente non appare nella giostra delle e-mail per lavoro. La apro, è lei, e leggo in un favoloso e maccheronico italiano-spagnoleggiante che Bologna merita di essere visitata, come ultima ed indimenticabile visita della sua permanenza in Italia.

 

Ho cominciato avere voglia di un the freddo che ho subito ordinato, ho colloquiato con un candidato promosso a pieni voti per la realizzazione dei suoi desideri ed ho inviato al giornale degli annunci di lavoro  titoloni a festa per ciò che stava accadendo.

 

Le telefono a quel numero impresso nel retro del menù del vagone ristorante, ripreso con forza dalla tasca posteriore dei pantaloni,  un tantino stropicciato, la mia voce soave e calda diventa improvvisamente tribolante e rauca per l'emozione, parlo un  italiano e mi verso la cenere della sigaretta  consumata che ho tra le dita sulla camicia stirata a nuovo, quasi per l'occorrenza.

 

Faccio molta attenzione, per la prima volta, al suono del suo sorriso, è una sensazione che solo il telefono riesce a darti, nei momenti di più grande tenerezza, e mi lascio coinvolgere dalla travolgente fantasia di poterla rivedere, una fantasia confezione regalo che le stelle mi hanno donato.

 

Altre sigarette   mi rendono  pronto all'incontro. Mi affretto a salutare le colleghe che se la ridono per la mia spensieratezza al punto di dimenticarmi che c'era un lavoratore che doveva essere accompagnato ad un colloquio di lavoro

.

Allora mi ricompongo, torno indietro, sempre fissando le lancette dell'orologio, lo chiamo per nome, come se fossimo vecchi amici, e gli dico di salire sulla sua macchina e di seguirmi, destinazione prima: la gare de Bologne, che ovviamente non c'entrava nulla con il suo futuro lavoro .

 

Lui mi aspetta poco più avanti, io scendo dalla macchina, dopo essermi per l'ennesima volta rispecchiato nel retrovisore, e mi accorgo  di avere le gambe tribolanti; non vorrei che l'emozione mi giocasse un brutto scherzo, pertanto penso bene di far finta di telefonare, mi scarica un tantino senza svuotarmi del tutto.

 

All'uscita dell'androne principale della stazione scruto un accumulo di persone che in fretta raggiungono, fidanzati, autobus, taxi e strisce pedonali. Un solo fiore resta sospeso, indossa una giacca a jeans, una candida maglietta bianca ed un pantalone fantasia di tendenza orientale. I suoi capelli diventano chiari al sole ed il suo volto rispecchia la luce che in quel momento si fa sempre più forte. Ha a tracollo una borsa scura dalla quale intravedo dei giornali ed un quadernino rosso.

 

 Mi riconosce, accenna ad un saluto e mi si avvicina, mi regala i classici tre baci francesi e con gli occhi ripresi dalla stanchezza del viaggio mi chiede dove siamo diretti.

 

Avrei voluto dirle tante cose, segnalarle tante strade, tanti posti, tante curiosità, ed invece mi limito a prendere atto della realtà lavorativa nel dover accompagnare un amico ad un colloquio di lavoro, e che pertanto prima di assaporare i piaceri della città, le sarebbe spettata di  subire questa strana  mia consuetudine.

 

Sale in macchina, al mio fianco, è bella.

 

Ci dirigiamo verso una zona squallida, quella industriale, che tutto ad un tratto riacquista fascino a causa della sua presenza.

 

Il tempo di sbrigare le mie cose con quel speranzoso candidato lavoratore e sono di nuovo da lei, questa volta per accompagnarla tra le strade zeppe di storia vissuta, i portici di memorabile storia ed i tetti rossi con le antenne sintonizzate.

 

Giunti nella piazza Maggiore, sull'androne della chiesa prima di ammirarne le bellezze che furono dei tempi passati, mi squilla il telefono, è il lavoro, devo andare, e dal suo volto traspare un filo di malinconia, come quando parte un treno anche se in ritardo.

 

Nel pomeriggio dalla postazione della mia scrivania intravedo la sua sagoma appoggiata ad una colonna del portico, intenta a farsi scoprire, il suo volto si appoggia ai raggi del sole ed in mano un quaderno  rosso socchiuso, appena inchiostrato da sensazioni, pensieri e sogni del momento.

 

Sono le 18 devo andare, oggi è festa per le ragazze dell'ufficio che vedono il proprio capo danzante dirigersi verso l'uscio e salutarle affettuosamente.

 

Con il mio capo, avvicinandomi a lei, le faccio ombra dal sole, le sussurro qualcosa, mentre la osservo attentamente e la trovo soddisfatta del tour bolognese, ma ancora non sazia di altre cose da scoprire.

 

Ci avviamo insieme per le vie della città, accennandole qualcosa di noioso del mio lavoro ed ascoltandola sulle sue sensazioni provate nel vedere i luoghi dove ho deciso di mettere dimora da anni.

 

Provo una fantastica sensazione nel camminare accanto a lei, mi soffermo a vedere luoghi, posti, cose che osserva anche lei;  le confermo con invidia la sua estrema disinvoltura nell'affrontare l'avventura di una scoperta, l'impresa grande del piacersi accanto a cose e persone vere e belle.

 

Entriamo in una elegante pizzeria-ristorante, scelta infelice per lei, che le ricorda un passato messo alla rogna, fatto di viaggi, valige frettolose di partire, persone meschine e superficiali, ambienti di plastica che mi ricordano, o meglio che immagino come les toilettes di Arcore, con telecamere a circuito chiuso.

 

Mentre il buio abbraccia la città, e come tutte le sere si appresta a donarle il bacio della buona notte, la porto in una via graziosissima della Bologna notturna, via del Pratello, e qui scopriamo un locale frequentato da ragazzi in procinto di cambiare il mondo con la bellezza delle parole e della fantasia.

 

Ci accomodiamo  ai bordi di un lungo tavolo, la scelta questa volta è stata felice perché cominciamo a parlare d'amore. Lei timidamente accenna alla paura affascinante di amare veramente, sin da bambini con i propri genitori, ed al bisogno di amore che c'è in giro. Io parlo delle mie insicurezze, della mia unica capacità di amare troppo e della mia sensazione di sentirmi un pesce fuor d'acqua in un modo dove i cessi di Arcore trionfano.

 

 Parlo come un libro aperto della mia recente delusione, nella quale mi ci sono ritrovato quasi per caso, senza volerlo veramente, di un orgoglio ferito e perplesso, senza aver avuto la capacità di misurare l'amore anche con queste cose.

 

Mentre la sua mano protegge la mia e la stringe forte, con l'altra mi asciuga una lacrima, un gesto questo che ha scolpito la mia memoria ed il mio cuore al punto di immaginare che il paradiso sia fatto di donne come lei che ti sanno ascoltare e capire, che sanno qual è il limite dell'apparire per immergersi nel mondo dell'essere.

 

L'incantesimo viene interrotto all'interno del locale da una risata improvvisa, forte, accesa, ingiustificata. E' un omone seduto al tavolo più avanti che chiacchiera con altre persone, lo fissiamo con stupore mentre si accinge ad eseguire un'altra perfomance di risata, ed anche questa volta senza alcun motivo e sempre più forte. Pensiamo che sia un folle, ma concordiamo che è il giusto incoronamento a momenti indimenticabili, all'aria che in quel locale si respira, alla ingenuità di un uomo che ha fatto felici due cuori.

 

All'uscita del locale, fra i tavolini con intorno ragazzi e ragazze con addosso simboli di pace, di giustizia e di libertà ascoltiamo fuoriuscire dal locale un'ennesima risata; è come se quell'uomo fosse il sacerdote che ha sancito qualcosa di importante fra di noi, senza il solito rituale di prendetevi per mano e siate felici, ma ridete, ridete sempre nella felicità del sorriso vero, così effettivamente è.

 

Girovaghiamo, in piena notte, nell'auto pulita per le grandi occasioni, passiamo sotto la mia casa, nelle vicinanze di un passaggio a livello dove i treni sono sempre puntuali; cerco di carpire un suo eventuale desiderio di scendere e visitare la mia casa, si rifiuta timidamente, si è fatto veramente tardi, e nonostante i treni in ritardo, non vi è più alcuno che possa riportarla a Padova, nella casa di Mauro, dove è ospite.

 

La mia auto è pulita, comoda e forte al punto giusto per assaporare il gusto della velocità ed è capace di schizzare tutta in fretta per Padova, anche se è l’ultima cosa che desidero realmente.

 

Infatti, tra le luci della notte attraversiamo l’autostrada che termina a Padova, una piccola sosta ad un distributore dove un poliziotto fa valere la sua autorità, dei biscotti da rosicchiare, un pacchetto di gulois vuoto ai suoi piedi e tantissima voglia di gustare fino in fondo quei momenti di musica, parole, sorrisi sempre più frequenti mentre la strada ci lascia indietro Bologna.

 

Arriviamo a Padova, città devota e austera, un sentimento di triste saluto mi assale, temo che i saluti in quel momento come anche in passato mi facciano un effetto a dir poco melanconico, quelle strette di mano sudate, quei baci tiepidi, quel rombo del motore di auto in attesa di ripartire, e quei treni, tutti in fila, così frettolosi di partire, ma per andare dove?

 

Dopo lunghi percorsi per i vicoli porticati della città veneta, ci mettiamo all’inseguimento di Mauro in bici che ci indica la strada di casa sua. Desidero vivamente che quella strada non la ritrovi mai più, che quel giro possa durare un’eternità, che Padova si trasformi in una metropoli dove chiunque possa perdersi.

 

Purtroppo giungiamo alla fine del giro sotto casa di Mauro, parcheggio poco distante dal portone, spengo il motore, mi volto a guardarla, ammirarla, ma c’è un silenzio che m’inquieta. E’ terribile pensare che dobbiamo salutarci perché lei, il mattino dopo, dovrà salpare su quell’aereo che la riporterà a Parigi. Non resisto neanche un attimo a dirle che c’è ancora tempo, che possiamo ancora raccontarci, scoprirci…e tutto questo mentre i fari delle luci delle macchine che ci incrociano riflettono le mie labbra appoggiarsi sulle sue, è amore.

 

Il tempo, questo strano essere, crudele quando prende le ali e dolce quando scandisce gli attimi che addolciscono le parole e gli sguardi.

 

Mentre la bacio lei sembra molto tesa, timorosa, socchiude gli occhi, si ritrae ma con le mani mi stringe forte, mi trasmette il desiderio forte di un senso di protezione, i nostri ventri rumoreggiano e le nostre lacrime di gioia si accoppiano; anche i baci sono un modo per conoscersi, perché riflettono l’anima, e la sua mi dice che quella notte è diventata nostra.

 

Le luci dell’alba ci vedono ancora insieme, con i nostri corpi attaccati, caldi e festosi, mentre fuori la gente si prepara ad un altro giorno di noiosa routine, gli operatori ecologici sembrano danzare; in realtà non è un giorno qualunque, è solo e semplicemente una giornata speciale, come lei.

 

 

 

 

 

C'EST BIZARRE

 

 

 

E' veramente strano come il caso abbia voluto farci incontrare, come è strana la distanza che adesso ci separa, non ho idea di quanti chilometri siano esattamente, ma continuo a seguire dibattiti sulla multimedialità, sull'essere cittadini del mondo con tutti quegli strumenti di informazione e di telecomunicazione che consentono di amare, fare l'amore, provare emozioni anche se così distanti.

 

 Metto in pratica tutte queste metodologie, ma continuo a non sentire il suo profumo, comincia a mancarmi tanto.

 

Le emozioni forti che sentiamo ogni giorno il bisogno di trasmetterci sono come le eruzioni di un vulcano appena risvegliatosi, ma i telegiornali non ne danno notizia, c’è in giro una censura pazzesca.

 

Il telefono è sempre a portata di mano, chiusi nelle nostre quattro mura domestiche, mentre il mondo fuori si scatena nell'odiarsi, noi conosciamo l'amore, fatto di sensazioni forti che non riusciamo a trattenere.

 

E-mail inviate e conservate in futura memoria, messaggi telefonici nei quali ci diamo la buonanotte e il buon mattino. Sfoggio la mia passione per le frasi ad effetto, ma che semplicemente costituiscono delle parole messe insieme dal cuore, il vero ed immancabile autore-protagonista.

 

Al telefono ascolto la sua voce, dolcissima piena di tenerezza , mi racconta dei suoi 25 metriquadrati dove è racchiusa la serenità dei suoi pensieri e dei suoi sogni. Vuole sincerarsi del mio amore, ed io la sfamo in continuazione con l'amore che ho dentro.

 

Bizarre è la nostra storia, un senso di liberazione dal nostro ordinario passato, una gratitudine al destino che ci ha fatto incontrare. Bizarre è lei con il suo sguardo che ho memorizzato, con la sua semplicità in compagnia della poesia, con la sua serenità capace di trasmettere a chiunque, è lei che come stella riesce a battere addirittura il sole.

 

Ogni giorno che passa avverto sempre più la sua presenza. Mi ritrovo come destinatario di un fiore inviatomi da Parigi, è il segno della sua esistenza.

Poi ancora una maglietta bianca dove è incisa la scritta "bizarre", l'ha cucita lei ma sotto dettatura del suo cuore. Stupire, sorprendere, immaginare, sono tutti componenti chimici che costituiscono l'energia sufficiente per affrontare la vita.

 

Al mio lavoro, infatti, le cose vanno bene, stupendomi quasi del successo e dei risultati raggiunti. Le mie colleghe continuano a sfottermi per la mia fase di cielo stellare favorevole.Il mio capo mi ricorda la realtà, ma con uno sguardo al suo passato altrettanto ricco di passioni. Gli amici mi sopportano sentendomi descrivere qualcosa che è dentro di me e che è fondamentalmente indescrivibile. Le mie conversazioni di politica si fanno dolci, anche i cessi di Arcore si rivelano delle suite con ascensore connesso.

 

Tutti si stupiscono della mia decisa volontà di andare a Parigi e di portarla via, con me.

 

Commenti perplessi intravedo negli sguardi di tutti, nel mettermi in guardia da possibili pericoli, forse anche razionali, ma decisamente lontani dalla mia portata.

 

In realtà penso di suscitare in loro una invidia accattivante, che sfocia nell’angoscia quotidiana del lavoro, delle bollette da pagare, dei viaggi da organizzare, dei modelli da imitare.

 

Per me, invece, esiste un solo pensiero, un solo biglietto da pagare, un solo viaggio da fare ed un solo ruolo da interpretare, quello mio, con la mia irresistibile passione, e quello suo, di dolcezza da assaporare.

 

Un altro treno diventa protagonista del palcoscenico “bizzarre”,  i riflettori lo riprendono dopo anni di gavetta. Prima non avevo dato mai tanta importanza a quel treno, con vagoni-letto eleganti. Non ho mai pensato, in passato, di poterci salire come quando si sale su una mongolfiera, non ho mai creduto che una notte sarebbe stata sufficiente per poi ritrovarsi ai piedi di Notre-Dame o nella città che si è vista adottare Ivo Montand.

Durante il viaggio faccio una breve telefonata ad una cara amica per esprimerle tutta la mia gioia di quella  piacevole “follia”, mi da tanta forza che riesco ad addormentarmi subito in quello scomodo letto con in mano un libro dal titolo “innamorati a Parigi”.

Arrivo in una piccola stazione alla periferia più estrema della città, è la stazione che si affaccia all’Italia. Scendo dal treno con in mano un piccolo zaino malmesso, scruto i passanti sul marciapiede del binario per godermi lo spettacolo, come è nei miei pensieri, della sua  bellezza, del suo sorriso.

Immagino il nostro incontro, ancora una volta sul marciapiede di un binario che questa volta si dice veramente “quai”.

Non c’è, o almeno non la vedo. Mi affretto a telefonarle, mi risponde con una vocina appena assonnata ma sorpresa, subito dopo si rende conto di essersi svegliata tardi per il nostro abbraccio, e la sua voce si fa sempre più forte al punto di lanciare un urlo di felicità, ma anche di dispiacere per non  essere stata  puntuale.

L’attesa nella hall della stazione è gradevole, musica sottofondo e di tanto in tanto qualche breve annuncio, un gruppetto di ragazzi e ragazze che chiacchierano della serata precedente trascorsa in discoteca, ed un ragazzo nero con in mano uno stereo che mi guarda e sorride, pronto ad divenire il dj di una  atmosfera di festa improvvisa, che tra qualche attimo avrebbe incoronato la mia “ premiere fois à Paris”.

Ad un tratto dalla rampa di scale che portano alla metropolitana appare lei, di corsa, si guarda intorno, sembrerebbe sconvolta, incredula, ha fatto un attimo a vestirsi per raggiungermi. E' vestita  con una lunga giacca di jeans, un borsa scura a tracollo, una vistosissima chioma di capelli che  la rendono come un girasole.

E' bella, felice, incantevole, e come una farfalla che mi vola incontro, sorridente, sorprendendosi del desiderio vivo e vero, mi abbraccia, il più forte possibile ed un lungo bacio resta immortalato all'uscita di quella piccola stazione, agli occhi teneri e sorpresi di un ragazzo che sembra voler dire " avanti così, sempre!".

Durante il bacio mi vengono in mente tutte le frasi che avevamo dedicato al tempo per la nostra distanza; il conto alla rovescia delle nostre emozioni, la serena convinzione che tutto è possibile in questo mondo, anche un bacio così intenso e pieno di piacere quando c'è tanta gente intorno a noi.

Mi prende per mano, come fosse la migliore guida nel favoloso viaggio che stiamo per intraprendere e mi porta in un bar per gustarci due cappuccini, per cancellare qualsiasi residuo di nostalgia e per ammirarci reciprocamente, adesso che le nostre passioni hanno anche dei volti, privi di stanchezza per quella mattinata di periferia parigina

 

La metrò che ci porta nel suo mondo, è piena di gente triste, grigia, sembrerebbe stanca di vivere. Non avvertono le campane che suonano a festa, non fanno attenzione  ad alcun impulso esterno, sembrerebbero solo desiderosi di battere un martello pneumatico od origliare i tasti di un computer tra le squallide mura di un ufficio.

 

Lei mi osserva attentamente e mi da una spiegazione a tutto ciò che con stupore assisto, mi dice, infatti, che Parigi è anche questa, metrò, dodò, che sta per casa dove la gente si rifugia chiudendo in sé tutte le paure, e travaille, una ragione esistenziale, senza il quale non ci sarebbe neanche il sole; ed io, quasi ingenuamente, che in quei momenti ho pensato invece che la vera motivazione covasse nella eliminazione della gloriosa squadra nazionale francese dai quarti di finale dei mondiali.

 

Arriviamo nel suo quartiere popolare; volto lo sguardo verso il cielo ed intravedo la cima della mitica torre eiffel, mentre le vetrine scoperte delle botteghe, i profumi di dolci, frutta e formaggi si trasformano ai miei occhi ed al mio olfatto, come dei favolosi banchetti allestiti per l'occorrenza nella formalità di un cerimoniere tutto classicamente parigino.

 

Confesso di sentirmi in imbarazzo per tutta quell'accoglienza, mi sento una personalità, un tenore barbuto tanto atteso; è come se quelle strade siano state bandite a festa appositamente dalla gente del quartiere, che sarà pure fredda ma ha avuto il piacere di conoscere la semplicità vera di Murielle, pertanto non ha potuto esimersi dal concederle, almeno per quel straordinario giorno, un gesto di amore collettivo.

 

Arriviamo davanti alla sua casa, un portone blindato, una scalinata in legno resistente ed una porticina, che è come quella della sua anima, apparentemente piccola.

 Un piccolo corridoio illuminato  da una finestra che sembra un quadro, dal quale entrano i raggi del sole che a Parigi fa  spesso i capricci.

 

Un bagno piccolo ma funzionale in ogni suo spazio, e ricco di prodotti per l'estetica di ogni tipo, penso che per una donna sia motivo di orgoglio essere bella naturalmente sia dentro che fuori. Una sala piena di ricordi e di misteri del suo passato in giro per il mondo, tanti libri, dei cd musicali tirati fuori per l'occasione, un divano letto che la coccola  teneramente come fosse un frutto appoggiato alla sua foglia, ed una gran moca di caffè già pronta sulla piastra.

 

Vengo subito distolto dal suo sguardo e dalle sue braccia che mi  stringono il torace, mi guarda con un'estrema serenità  mentre mi accarezza e mi sussurra che ha tante cose da raccontarmi, cose che non so e che avrei dovuto sapere.

 

Ho un momento di irrazionale perplessità su ciò che mi doveva raccontare, ma allo stesso tempo il desiderio di conoscere, di scavare nel suo passato mi sembra affascinante come quando da bambino ci si nascondeva per vedere l'effetto sui propri genitori e sul mondo intero, di scoprire le loro reazioni, divertendomi e facendo divertire.

 

Tanti pensieri mi vengono in mente in quei momenti,  confesso anche quelli più inquietanti, terribili, di sofferenza vissuta senza la possibilità di difendersi o di essere protetta. Intravedo nei suoi occhi una solitudine pazzesca, che mi fa molta rabbia perché in quei momenti non le potevo stare vicino, non frequentavamo i treni, o non abbiamo mai incontrato un uomo dalla risata così bizzarra. 

 

Dura poco questa sensazione perché lascia spazio al desiderio che ci siamo raccontati, così distanti; al desiderio di ritrovarsi nudi sul suo divano, di accarezzarsi piano, di assaporare la nostra pelle, di fare l'amore e riempire la sua casa, il suo mondo dei nostri gemiti di piacere intenso, come quei raggi del sole che sembra abbia smesso definitivamente di fare i capricci.

 

Parigi è nostra, con le sue luci, le sue baguette, i suoi monumenti, i suoi artisti, le sue mostre fotografiche e le sue rassegne culturali, i suoi locali notturni. Anche alla sua vista la città assume altre sembianze: più colorata, più viva, più sorridente, più solare.

 

Il nostro stato d'animo si accomuna, come in una metamorfosi improvvisa, restiamo entrambi fedeli ai nostri sentimenti più profondi e sinceri, ed è proprio questa sincerità che le producono talvolta angoscia, paura, rabbia di raccontare e ricordare il suo passato. Un mio ingenuo gesto, un luogo, un pensiero possono rappresentare per lei dei pessimi ricordi, di cui il suo silenzio ne urla il dolore e le sue lacrime la consolano tenacemente.

 

Ho imparato da lei , specie in quei momenti, che piangere è un piacere immenso, non solo liberatorio, ma che contribuisce ad arricchire se stessi, perché è uno specchiarsi dentro,  un modo diverso di volersi bene.

 

Tra le sue timide confessioni c'è anche quella del comodo lettino di psicanalisi, che certamente non è un diversivo alla monotonia quotidiana, ma un prezzo da pagare per arrivare alla propria identità, che fa star bene solo quando non si subisce passivamente la sensazione altrui.

 

Sfogliando il suo album di famiglia mi parla dei suoi genitori, di sua madre che non segue i suoi consigli, e di suo padre che di consigli sembra che non ne abbia mai dato. Mentre lei  mi parla e rifletto sulla sua solitudine, penso con nostalgia ai consigli di mio padre, spezzati dalla crudeltà più estrema della vita e a quelli di mia madre teneramente insopportabili, ma sempre utili. Sono stato fortunato, nulla da eccepire.

 

Lei, in alcuni frangenti, si affretta a soccorrere gli altri, lo zio, il fratello, la sua amica, tutti bisognosi del suo aiuto e che, pertanto, la rendono instancabilmente forte, anche nei momenti più difficili, una piccola grande donna in attesa di momenti spensierati, infantili, veri.

 

Infatti camminando per le strade di Parigi, si appiglia con le braccia a tutto il mio corpo, sorridendo in continuazione alle mie battute, alle caricature di me stesso, al mio modo di essere con lei. Confesso che vederla felice è quanto di più straordinario mi poteva capitare in quel momento 

 

 La notte, la nostra prima notte insieme anche nel riposo, in un'atmosfera incantevole di luce soffusa che penetra dalle fessure della persiana, la osservo mentre dorme con il pollice in bocca. Un tenero quadro che completa la sua candida personalità.

 

La felicità aumenta, la nostra conoscenza si arricchisce, il tempo ci divora il piacere e scandisce le grandi discussioni sulle parole delle nostre canzoni preferite, sulle ricette e sulla migliore cucina, sul cinema impegnato e quello un po’ meno, sui monumenti di poco conto della grandeur di Parigi rispetto a quelli di Roma e sulla  straordinaria organizzazione dei mezzi di trasporto della sua città.

 

Ci ritroviamo in un locale tappezzato di dediche e date che ricordano l'amore di qualcuno, davanti ad un pianoforte ad intonare una canzone che non conosciamo bene; ci ritroviamo in un pranzo veloce in compagnia della sua più cara amica, serviti da un cameriere italiano, mentre lei mi prende in giro per la mia gag in un francese inventato.

 

Il suo sorriso sprigiona cellule di simpatia quando mi vede gustare una baguette intera di nascosto mentre è intenta a preparare la cena a base di spaghetti.

 

Un pomeriggio, invece, seduti su comode sedie davanti ad un laghetto artificiale, nel maestoso giardino dell’Hotel de ville, davanti lo spettacolo di fragili fiori di loto che galleggiano, mi confessa di non poterne più della gente snob che acquista profumi per far piacere agli altri, delle loro false abitudini, della loro ingannevole immagine di tranquillità. “ E’ un problema dilagante” ribatto io, con altrettanta convinzione ed in piena sintonia col suo pensiero. Poi con un’aria da bambina mi chiede di trovare un posto in Italia dove tutto questo letame non ci fosse; a tal proposito non riesco a garantirglielo nell’Italia dei cessi di Arcore, ma un piccolo spazio ritagliato a nostra misura che impareremo a chiamare Bizzarre, come il nostro amore,  può essere possibile.

 

Uno dei momenti più emozionanti è sicuramente quello della visita ad un Cafè di illustri scrittori e filosofi, bere in una tazza, che magari è stata quella di Sartre, o sfogliando attentamente una rivista con le movenze di Diderot, suscitano in me un’emozione commovente, ma riesco a trasmettere solo ilarità, per sua fortuna.

 

In alcuni momenti, specie al calare del sole che  in quei giorni non ha smesso di cessare, formando un’ombra gigantesca alla tour Eifel, ripercorriamo i passi del tempo, a quando cioè ci siamo conosciuti, alla gare di Verona. Una storia bizzarre, impossibile da crederci, ma è una storia tutta nostra, originale, da scriverci un libro quasi, o addirittura da farci un film con attori rigorosamente selezionati.

 

Ma mentre ricordiamo il passato, il presente si affretta a cessare per lasciare il passo al futuro. Nulla di buono questo futuro ci presenta nell’immediato. Devo lasciare la sua casa, Parigi, devo riprendere un altro treno, devo salutarla.

 

E’ un arrivederci, è decisamente un arrivederci, e ciò traspare dalle nostre parole che in quel momento pronunciamo in simbiosi come: --vengo a Bologna, vieni a Bologna; voglio vivere con te, vivremo insieme; saremo felici, saremo superfelici--.

 

Ho ancora la sua lacrima tra le mie dita quando mi sistemo in una comoda poltrona di seconda classe sul treno Parigi-Bologna. Due ragazzi cominciano a chiacchierare di mondiali di calcio, della loro Francia, della caduta delle grandi squadre e del trionfo delle piccole, in attesa di un mio professionale intervento; il mio sguardo è volto verso il finestrino, che riflette il suo volto con alle spalle la campagna e mucche che pascolano, un’altra lacrima bagna le mie dita.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

LA MACCHINA ITALIANA

 

  

E’ il mio terzo giorno nella mia stanza senza di lei. Al mio fianco ho un telefono rimasto occupato ad emettere la sua voce fino a notte fonda.La cornetta è fuori posto; devo essermi addormentato ascoltando le sue soavi parole. Chissà se anche lei ha chiuso gli occhi alla mia buona notte ed ha sognato lo stesso angolino nel mondo dove farci l’amore.

 

Prendo un caffè, ne verso un po’ sul tavolo, mi guardo intorno ed osservo come sia veramente orribile la cucina, sembra un accampamento di rifugiati, ricercati da molto tempo, anche la mia stanza, nonostante l’abbia pulita a nuovo, ha un aspetto sgradevole, insopportabile.

 

In realtà sto già pensando al suo arrivo, alla sua presenza al mio fianco in questa casa. Accendo lo stereo e mi riverso sul letto, pensando a lei, con il desiderio irrefrenabile di risentirla. Vengo subito bruscamente disturbato dalle urla di Alessandra, che dall’altra camera chiama Michela per gustarsi insieme un’altra puntata di beautifull in TV.

 

Alessandra e Michela sono le mie due coinquiline, sono spensierate, gioviali e stanno per affrontare la vita con una laurea in mano, un telefonino acceso ed un sogno da raccontare.

 

Lo confesso, c’è una parte in me che le invidia, e un’altra che invece comincia a non sopportare la loro gratitudine per la  estrema leggerezza momentanea che ancora la vita riserva loro.

 

Comincio ad immaginare il  groviglio di situazioni che mi si presenterà a breve: tutti e quattro appassionatamente di fronte alla realtà dei fatti, oltre che davanti alla tv; tutte e quattro a girovagare in casa all’insegna del rumore dei propri pensieri.

 

Guardo le cose in casa, le tocco e trasmetto questa sensazione a lei che dall’altro capo del telefono immagina il mio mondo, fatto di pochi misteri e di ferme convinzioni.

 

Il cinema, con i suoi sogni, diventa la mia vera dimora; un locale, davanti ad un bicchiere di birra, con un amico tirato per la giacca a parlare di noi, diventa il mio santuario, il mio momento spirituale; girovagare in piena notte in compagnia delle luci della città diventa il mio unico desiderio di liberazione da un senso di colpa, quello di non essermi garantito una vita diversa, migliore, e mentre fumo l’ultima sigaretta m’incoraggio nell’affrontare il mattino seguente come fosse un’altra di vita.

 

Ho desiderio di allontanarmi in fretta dalla monotonia del tempo che mi circonda, avverto il bisogno di un estenuante bagno di folla al traguardo di questo mio malessere.

 

Viaggiare, scappare via, fuggire, è sempre il movimento il fattore dominante della nostra instabilità. Ma questa volta avverto una sensazione diversa dalle altre; in realtà, infatti, non voglio fuggire da nulla, voglio solo che un movimento mi riporti lei qui, accanto a me, senza che il tempo me la sciupi, perché possa poi sorridermi e rendere vulnerabile questa mia esistenza.

 

Mai come in questi momenti penso alla mia esistenza, proprio adesso che c’è lei nella mia vita, proprio adesso che ho smesso di essere solo, in un movimento di parole.

 

Ed è questo viaggio  di fantasia, questo movimento che ripercorre le nostre parole , le rende ancora più belle, le addolcisce di una presenza immane, l’amore.

 

Una sera, tornato da lavoro stanco come al solito, le ragazze mi fanno ritrovare sulla mia scrivania una busta, ancora chiusa. Leggo con disinvoltura il mittente, ho il tempo necessario di immaginarne l’autore di così tanta straordinaria creatività.

 

E’ una pianta dettagliata di Parigi nella quale ritrovo i luoghi visitati con lei, e nel retro due righe, come una gara di caccia al tesoro, ma senza misteri..  

 

E’ la prova del suo amore nei miei confronti, è la sua voglia e determinazione di cambiare, di rischiare, di mettersi in gioco con il proprio destino, di cullarsi nell’altalena del proprio desiderio forte.

 

Decido la mia partenza, orfano stavolta del treno, metto a nuovo la mia macchina aziendale, e la immagino come una carrozza piena di colori, di cui le intemperie si dovranno rassegnare alla mia tenacia, alla mia forza dettata dalla disperazione del passato,  oramai riscattata.

 

La sera della partenza ho in testa un motivo di una delle canzoni mie preferite, la canticchio continuamente. Arrivo a casa prestissimo dal lavoro, mi affretto a preparare una borsa con le mie cose, mi rado, un bagno nella candida schiuma ed un saluto spensierato alle fanciulle della casa.

 

Saluto gli “artisti” dell’appartamento di sotto, dal mio volto traspare un qualcosa che loro definirebbero come “fuoco positivo”, senza il quale nulla si può costruire, al pari di un testo di canzone o di una poesia.

 

Il livello di spensieratezza è tale da dimenticarmi la piantina della città di Parigi a casa; comunque non riesco a dare a ciò tanta importanza, Parigi mi diviene un piccolo borgo, con chiesa e campanile connesso, e tutte le autorità pronte ad accogliermi, senza lacrime spero, ma un saluto rispettoso e tenero come conviene alla tradizione contadina.

 

Durante il viaggio, come capita spesso, ho il desiderio di comunicare a qualcuno questa mia lodevole tenacia, qualcuno che sappia capirmi e che magari avrei rincontrato più tardi, per tenerlo aggiornato.

 

Alle luci dell’alba nel frastuono delle auto e dei clacson mi ritrovo su una strada larga, senza perdere di vista quella che apparentemente sembra la torre, e quindi la sua casa.

 

Prendo una strada che sembrerebbe quella giusta, poi ancora un’altra, per finire poi tra  cassonetti e bancali di frutta in estrema periferia, tra i lavoratori operai, che hanno lasciato anche quella mattina malvolentieri le loro mogli nei rispettivi letti.

 

Le telefono con vergogna per l’accaduto, lei dall’altro capo del telefono ride, la mia fantasia le sembra che non abbia limiti, mi fissa l’incontro in una piazza lì vicino, Place d’Italie, è segno del destino.

 

Il sole, che ormai diventa una costante quando dobbiamo incontrarci e stare insieme, brilla in questa piazza, ricca di gente, appoggiata sugli scalini di un enorme cinema con in mano libri da divorare.

 

Sono appoggiato alla mia macchina a godermi lo spettacolo della piazza e della vita parigina, quando ad un tratto spunta lei, con un sorriso che gradatamente si fa sempre più grande, immenso, come la piazza.

 

Un enorme bacio fiocca tra la gente che sembra non accorgersi di nulla; --…sss…. c’è gente – mi sussurra, ed io – è vero, ma non m’importa--.

Ci lasciamo andare alla favolosa oscenità del piacere, come in un enorme cartellone pubblicitario con tette enormi, mentre davanti ci si pesta i piedi in continuazione.

 

Ci mettiamo in macchina e ci dirigiamo, tra il traffico, al suo nido, scanso un pedone elegante, mentre la osservo, più bella che mai.

 

Non si fa in tempo di aprire la porta di casa, che ci lasciamo prendere dal desiderio di fare l’amore, accarezzandoci, svestendoci, mentre le nostre lingue sono già intrecciate, i nostri sospiri di piacere ci accalorano la pelle, il sudore si riversa sulla fronte, ci riversiamo sul corridoio, il tempo solo di socchiudere la porta, rimaniamo dentro, come io con lei.

 

Rimaniamo per tutta la giornata, tra le valigie pronte per essere spedite in Italia, a fare l’amore, due corpi in uno, su un divano mentre i suoi occhi si socchiudono, i miei restano a guardarla, ad ammirarla e con la mia mano accenno ad una carezza sul suo volto; ritrovo con questo semplice gesto un pensiero al suo passato, forse veramente così poco sereno.

 

Il giorno dopo stringo la mano a suo padre, un uomo fantasioso, spensierato che di professione avrebbe voluto fare il giornalista, ma che invece è sommerso da carte e titoli di credito.  Osserva la mia macchina, mi accenna qualcosa dal punto di vista tecnico, che ovviamente non comprendo; timidamente mi fa qualche domanda sulla mia vita, il lavoro, e mi osserva le scarpe, un modo come un altro per fare conoscenza.   

 

C’è da portare il loro cane dal veterinario, ci avviamo tutti insieme appassionatamente, con il cane al guinzaglio e loro due a parlare in continuazione, in una cornice splendida nella quale padre e figlia si dilettano a comunicare . Nel laboratorio alla vista di gentili assistenti e dame nobili con i loro barboncini sofferenti io e lei, come due bambini scoppiamo a ridere; mi esercito in uscite divertenti perché divertenti sono le situazioni, con tutto il rispetto e l’amore per le bestiole, ma bisognosi di cure erano i padroni.

 

A pranzo un momento triste, il saluto all’amica Virginie, la sua amica del cuore, quella dei segreti e delle confessioni, donna solare e sorridente, matura, responsabile, con la testa piena di manuali su come diventare una buona mamma e saggia nel consigliarci su come volersi bene.

 

Murielle per la serata ha un’idea straordinaria, una full-immersion tra tutti i suoi amici più cari, compreso suo fratello, dall’accento incomprensibile. Una lunga tavolata, con coppie felici, ragazze sole e tristi, suo fratello che continua a versarmi da bere, ed una ragazza, di cui non ricordo il nome, elegantissima e profumatissima.

 

Tra un brindisi e l’altro, tutti insieme mi trasmettono le loro preoccupazioni, sanate dal mio sorriso, e senso di sicurezza che ho raccolto per riservarlo solo a lei, Murielle, come per un mazzo di rose appoggiato sul suo seno.

 

Gli arrivederci, i sorrisi, le lacrime, le strette di mano e gli abbracci di una vita trascorsa tutti insieme, è il suo mondo dal quale sta per allontanarsi, sono lo specchio dei suoi segreti nel quale si intravede ora una felice conseguenza della quale  sono depositario, per sempre; ed è come se quel mondo appartenesse anche a me, ed è come un girotondo che non ha voglia di cadere giù per terra.

 

Anche la sua cara amica Francoise, nella sua casa stile londinese, appassionata di “nuvelle cusine “ e di cinema italiano, sfoglia il suo album di foto, ce lo mostra con entusiasmo e ci descrive la sua vita fatta di gioia e di delusioni, è certamente un monito affinché si possa accettare la vita così come viene, purché si stia bene dentro di sé, e noi lo siamo tra quel riso nostrano e quella “viande” al sugo di erbe che sulla tavola profuma per noi.

 

E poi, sua madre, la sua tanto cara madre, di cui le sue parole sono gravide di rabbia e di amore. La immaginavo proprio così, anche se mi sono annotato nella mia memoria la sua rassegnazione per le sue innumerevoli carte sulla scrivania del suo ufficio, e le sue carezze, quelle che dà e quelle che riceve, mai sufficienti per colmare un vuoto, compensato dal suo grande cuore.

 

E’ un pomeriggio presto quando si decide di partire. Le ultime cose  da preparare in casa, i suggerimenti di suo padre e di suo fratello, ed il loro stupore positivo per il gusto di Murielle nel trasformare il suo nido, o quello che è stato fino a quel momento il suo nido.

 

Ci apprestiamo tutti insieme a preparare  valigie,  bagagli, cartoni, borse, a trascinarli su e giù per la piccola scalinata del suo palazzo, e caricarli nella mia macchina, mentre all’interno del  cortile  incrocio lo sguardo di un uomo che, fermandosi di colpo si gira indietro ad osservare meglio ciò che stava accadendo, mi sembra dispiaciuto o almeno stupito, sicuramente non innaffierà più quel sorriso che ha visto tutte le mattine mentre lei apriva la posta o mentre, con la finestra del corridoio spalancata, si specchiava nel provarsi un vestito a festa.

 

La mia macchina si riempie delle sue cose, io mi riempio di lei, dei suoi gesti e del suo dolce modo di fare, della sua vita. Sua madre e suo padre, con fazzoletto in mano, in fila per baciarla; gli occhi lucidi di sua madre non cessano di scrutarmi, poi mi prende la mano e mi sussurra qualcosa che capisco a volo. Immagino che la sua piccola Murielle sia stata sempre capace di badare a se stessa, ora sono anch’io responsabile di qualcosa che devo, l’amore prima di ogni altra cosa. Suo padre guarda stupito la macchina stracolma di cose belle, è lì ad accorgersi della straordinaria vita di sua figlia. Una coppia di amici vengono a salutarci, lei piange in continuazione, un pianto di gioia per lei; l’amicizia in questi casi ha un solo limite, si perde qualcosa a vantaggio di qualcuno che la guadagna, e lei Murielle ha guadagnato una speranza, ma resta un’amicizia profonda che la lontananza non disperde.

 

I sedili in avanti, le ginocchia piegate che fanno attrito al cruscotto, una bottiglia d’acqua tra le sue gambe, il tutto per fare più spazio al suo mondo. Accendiamo lo stereo, restiamo ad ascoltare in silenzio, ma il nostro pensiero comune è alla nostra vita futura, insieme, come in quella macchina.

 

Ad un certo punto lei scoppia a ridere e sfoggia  una definizione, di cui non avevo mai sentito parlare, quella di “macchina italiana”, segnalandomi lungo la strada tutte quelle macchine carichissime di roba, che si muovono per un futuro diverso, in un luogo diverso. La nostra, certamente non è da meno, è la più “italiana” di tutte, è una carovana di pensieri che emigrano nella certezza della felicità

 

Quel viaggio si tramuta in una voglia matta di orgasmo, ci tocchiamo in continuazione, non smettiamo un attimo di desiderare di fare l’amore; la strada ci appare come un manto di erba dove sdraiarsi con i propri corpi, i fari delle macchine come delle lanterne di uomini e donne in cerca di un altro posto migliore dove fare l’amore, i segnali stradali come degli inviti a farlo, senza alcun limite di velocità, le stazioni di servizio come dei momenti di pausa, di cui non ne avvertiamo il bisogno.

 

Ci ritroviamo, più tardi, dopo esserci smarriti volontariamente, in un campo di girasoli, con la macchina lì ferma, mentre i nostri corpi si muovono in continuazione, i finestrini appannati, ed uno di quei fiori rubato al suo legittimo proprietario, posizionato nel retro della macchina, pronto a sorridere agli altri, come un cartello che avverte gli automobilisti  “qui risiede l’amore”, fate attenzione!

 

Avvistiamo le luci di Bologna, pronta ad accoglierci come due piccoli cuccioli dispersi, tornati alla loro cuccia; nessun accalappiacani avrebbe potuto catturarci e sottrarci al nostro destino, il fiuto per l’amore è immenso, e non siamo neanche particolarmente stanchi per il viaggio, che è appena cominciato.      

 

 

 

 

 

LA CASA

 

 

 

 

Una prima notte insieme, questa volta nel mio mondo, che comincia ad essere anche il suo.

 

Apro la porta piano, senza rumoreggiare, evito di ridere e di schiamazzare. Le ragazze dormono, lei si sofferma sulla porta, guardandosi intorno, quelle mura fatiscenti, quei poster al muro innocui, il telefono fuori posto, con accanto un portacenere strapieno di cicche, e quella fastidiosa luce di una semplice lampadina appesa per caso.

 

La mia camera è in ordine, proprio come l’avevo lasciata prima di partire, un lettone singolo barattato ad un mercatino dell’usato, dei mobili semplici, anch’essi raccattati da qualche parte, un armadio che restava l’unico fiore all’occhiello,  libri da spolverare, ed una scrivania con un vecchio computer, compagno di tante battaglie, specie quelle letterarie.

 

Sistemiamo tutta la sua roba in un angolo della camera, un accumulo di cose, una sistemazione provvisoria, orribile da vedere e pensare, in attesa di un qualcosa che è già realtà.

 

Il tempo di farci una doccia insieme, in un bagno vuoto, misero con l’acqua che sgorga piano; noi due nudi che ridiamo di noi stessi e di come saremo, all’oscuro di occhi indiscreti.

 

Per curiosità visita anche la cucina, altra triste desolazione, anch’essa vissuta per intero, un intero tavolone con briciole connesse, due bottiglie di birra al bordo di esso, pentole accumulate nel lavello e macchie di sugo che danno un tocco di colore alla cucina, altrimenti insignificante.

 

Quella notte, il sonno concede spazio all’amore, su di un letto che cigola, come un classico pezzo di musica soft per far sognare qualcuno che origlia o che ascolta con entusiasmo.

 

La mattina seguente, primo a metter piede in cucina, mi ritrovo a praticare un insieme di gesti che mi faranno compagnia per tanto tempo, per tutte le mattine seguenti: una moca sul fuoco, il caffè che bolle, quel pò si versa in una tazzina, quest’ultima servita su di un vassoio, appoggiata sul letto, accanto a lei,  e poi un bacio, soluzione migliore per una splendida sveglia, mentre mi sistemo la cravatta ed assumo l’aria da manager.

 

Quei gesti resteranno da quel momento dei momenti fermi nel tempo, inchiodati al mutare delle situazioni di contorno, una formalità gestuale impressionante, una consuetudine come quella della luce del sole.

 

Murielle nel frattempo fa conoscenza delle ragazze della casa, Michela ed Alessandra, formando un trittico eterogeneo di colori di vita che rendono la casa più accogliente, anche troppo accogliente.

 

In quelle prime sere avverto aria di festa in casa, con le persiane spalancate per il caldo del mese di luglio; le serate a parlare tutti insieme davanti a fontane di vino versate nei bicchieri; e poi giù, nella casa degli artisti, a fare conoscenza anche di loro, in feste di laurea, ritrovi vari, nel chiacchiericcio quotidiano e nel filosofeggiare sulle cose, fino a notte fonda davanti a candele e torce che illuminano vagamente i nostri sorrisi.

 

Una sera torniamo nel locale dell’uomo che ride, quello che ha sigillato il tenero ed infinito abbraccio fra di noi. Tutto completamente immutato, come prima, gli stessi volti, lo stesso clima, e noi due, uguali, il tempo non ci ha ancora consumato.

    

L’incontro con gli amici, con quel che resta dei miei più cari amici, mentre borbottano fra di loro, in una cena, o davanti al profumo di carne, di fronte a Bologna, ed io che cerco invano di attirare la loro attenzione per quella donna sulla quale avevo speso fiumi di parole, e come se gesticolassi per farmi notare, per farci notare, con le poche parole da dire, da raccontare, davanti a quella realtà sorda.

 

Non nego che sono rimasto molto legato a loro, per quei rapporti consolidati nel tempo che mi hanno visto felice e deluso accanto ad un’altra persona, ma sempre con estrema sincerità,  sempre come un libro aperto, nel quale si sbircia fino all’ultima parola.

 

Penso, con rabbia, che loro possono anche stancarsi delle mie paranoie o delle mie gioie, ed allora è meglio tornare a tavola e parlare dell’ultimo contratto da formalizzare, e dell’ultimo acquisto da regolare.

 

Murielle, in quei frangenti, si cela dietro un mutismo, naturale. Nei suoi occhi rivedo il sorriso dei suoi più cari amici. Avrebbe tanta voglia di parlare, di raccontare i suoi sogni, ma non riesce a farlo, è bloccata dal senso piccolo delle cose di cui si dà importanza e dal senso grande di bisogno di profondità.

 

Fugge, piange, e resta in silenzio con se stessa. Rabbia e dolore per lei sono le mie sensazioni in quei momenti, anche quando cerca di farmi capire che quell’atteggiamento per lei è liberatorio di qualcosa; il non riuscire  a comunicare avrebbe un significato profondo quanto il sentimento d’amore nei miei confronti.

 

Cerco di parlarle, di accogliere tutte le sue parole, chiuse nella sua anima, mi nutro dei suoi pensieri. L’ascolto fino all’ultima frase compiuta. Col tempo imparo l’arte della pazienza, che è poi il carburante della vita insieme alla persona che si ama, mai addentrarsi in riserva.

 

Lei con i suoi occhi dolci mi chiede scusa per il suo modo di essere introversa, stringendomi forte; avverto sempre più il bisogno di conoscerla bene, di scoprirla, solo in questo modo potrei appagarmi del suo sorriso.

 

Spesso mi capita di essere incapace di affrontare ogni situazione che la riguarda psicologicamente; non riesco a comprendere le sue difficoltà, di un paese nuovo, di gente nuova, di una lingua che non conosce profondamente, ed egoisticamente non riesco a mettermi nei suoi panni. Mi sento impotente di fronte alla sua silenziosa disperazione, e ciò mi fa star male.

 

Quando restiamo soli sfodera le sue armi nei miei confronti, per un mio  sguardo ambiguo verso quella ragazza che in passato ho amato e che ho odiato, forse per il male che ho subito. Nei confronti di una persona che si ama veramente è normale che non si tolleri alcuna forma di violenza, anche del passato, nei suoi confronti. Così come  aborra ogni situazione di violenza per se stessi, per il proprio corpo, solo per il semplice gusto di una tradizione a suo parere banale, come quella di aspirare della marijuana. 

 

Lei adora volersi bene, adora il proprio corpo, il benessere per lei è un punto di incontro tra il piacere del corpo e quello dell’anima, questa combinazione le sprigiona energia positiva sufficiente per trasmetterla anche all’esterno.

 

Resto a guardarla mentre l’acqua della doccia le accarezza la pelle, mentre le spalmo le sue creme preferite, dall’odore spesso nauseante, sui fianchi e sul seno, e quel senso di pulito della sua pelle si espande nell’aria facendomi star bene, meglio di qualsiasi altro momento della giornata.

 

Mi fa riscoprire il mio corpo, e lo rende innocente come quello di un bambino, rifletto un aspetto di una novità assoluta, grazie ai suoi metodi depilatori, e che vanto in giro con orgoglio; certamente il mio dolore è compensato dalla sua ironia, e il mio poco mascolino lamento la fa sorridere.

 

Il tempo passa, ed il mio lavoro mi consuma sempre di più, passo intere giornate a parlare con tanta gente, ma con lei solo qualche messaggio telefonico o  brevi telefonate. Mi rallegra solo l’idea di finire presto il mio lavoro per essere quanto prima a casa con lei. Tutte le volte che apro quella porta è una festa, le ragazze si mobilitano per cosa inventarsi per la serata, e lei in procinto a mutare aspetto al nostro ambiente di casa.

 

Quella fatiscente casa che ho vissuto in passato sporadicamente si arricchisce dei suoi oggetti tirati fuori dalle sue valigie, che finiscono per completare un puzzle difficile, con pezzi che non trovavo più da tempo.

 

Battezza la nostra camera “cantina”, grazie a quegli arredi abbandonati da tempo ai quali lei riesce a ridare vita, come un demiurgo delle cose; modella i suoi gusti, li raffina li plasma secondo tutta una sua logica, mette a frutto la sua fantasia istintivamente, riesce a stupirmi per i suoi tempi e la sua passione, riesce ad accontentare entrambi e a farmi riscoprire il piacere della casa.

 

Avverto, ogni giorno che passa, che lei senta la necessità di star bene, di sentirsi tra gli affetti di sempre; come spesso mi accade in questi momenti mi assale un senso di colpa, per non essere sufficientemente colmo e ricco di cose da poterle offrire, ma è solo una brutale paranoia, di cui avrei dovuto  sbarazzarmene già da tempo, ed utilizzo l’amore ancora una volta come attenuante per questa mia pigrizia.

 

Nello splendore della convivenza ciascuno di noi, come in un qualsiasi rapporto di coppia, mette in mostra le proprie qualità, le proprie capacità, privandosi della essenziale naturalezza a favore di un senso di amore rispettoso dei bisogni dell’altro.

 

  Lei adora l’ordine, l’organizzazione, la sistematicità delle cose, per poi tornare ad essere bambina nell’animo e non smettere di giocare. Io, invece, non ho mai avuto una vera concezione di organizzazione, né mai l’avrò;  ho conosciuto  l’ordine solo in rari momenti della mia vita, ma certamente ne sento il bisogno. In compenso ho altre qualità, come quello stupido di essere particolarmente scrupoloso nell’amare, o nel dedicare all’amore le frasi giuste o quello adorabile di saper odiare quando ne sono capace, e né ho voglia.

 

Come uno specchio lei mette a nudo i miei difetti, la mia superficialità su alcune cose, la mia passività nei rapporti, il mio orgoglio minimo, ma mai come un giudice autore di una sentenza inappellabile.

 

Con lei ho sempre le conferma di un qualcosa; anche un ricordo lontano, apparentemente insignificante, è una riprova di un aspetto caratteriale, una giustificazione razionale ad azioni che si ripetono nel tempo.

 

Comincio a capirla, a volte anche a non sopportarla per quella sua apparente superiorità, che cela tutta la sua fragilità. Si nasconde dietro una parvenza di determinazione, ma resto io la sua ancora di salvezza, il suo drappello di sicurezza.

 

Il mio estratto conto è un campo di battaglia con morti e feriti, l’impiegato della mia banca mi storce il naso e rivedo la sua faccia nei miei incubi notturni; la facilità con la quale spendo denaro per lei è quella di un giocatore d’azzardo alla roulette, ma non m’importa, il denaro è un optional che servirà a qualcosa, l’importante è mantenere quel velo di ottimismo sufficiente per non attanagliarci in paranoie varie.

 

Le serve un lavoro, per lei, per integrarsi meglio nella nostra “buona società”, per fare ottime conoscenze, per togliersi qualche soddisfazione, per venirmi incontro prima che mi sequestrino quel po’ che possiedo.

 

Ho la soluzione al problema; come il classico boss della zona, della città, quello che ha un sacco di legami e sempre rispettato da tutti, parlo con il titolare di un locale, che bizzarramente si chiama Cafè de Bordaux. Lo convinco ad assumere in nero la tenera Murielle, esalto il suo sorriso, la sua puntualità, il suo ordine, ma mentre parlo di queste sue qualità, lui mi osserva attentamente negli occhi  e mi fa capire ciò che desiderava sentirsi dire; sarà figa?

 

Gliela presento, con un certo imbarazzo, ed anche  con un senso di schifosa vergogna, perché certo delle qualità che sarebbero state esaltate dagli occhi di un uomo, che l’avrebbero vista subito orizzontalmente, o con un grembiulino all’altezza del seno, e nuda di sotto tra un cuba libre ed una birra.

 

La mia stupida sensazione di gelosia si allarga sempre di più, come un blob mi travolge fino al soffocamento, un senso di fastidio m’invade. Scruto con rabbia i volti di quegli uomini dietro al banco o alla consol del bar, con la musica ad altissimo volume, per capire fino a che punto qualcuno poteva  essere oggetto di desiderio di Murielle

Non mi rendo conto che ciò significa sminuire la mia personalità o il mio carisma, e considerare lei poco attenta ai sentimenti; ma certamente no, non l’avrebbe mai fatto.

 

Tutte le sere mi apposto all’uscita del locale per attenderla, e liberarla di quel senso di stanchezza, più morale che fisico, per lavorare in un localaccio come quello, con una retribuzione da fame, ed un capo autoritario, un ambiente di merda, snob e fighetti di bella presenza.

 

Una sera arrivo in anticipo e la vedo trattenersi con il barista più affascinante, testa rasata, fisico da ballerino di operetta, sguardo ammagliante, ma brutto, o meglio scavato nella sua magrezza.

 

Quando è in macchina introduco l’argomento della serata: la gelosia. Lei sorride, sembra che da una parte le faccia piacere questo mio viscerale senso, ma dall’altra non è interessata a parlarne, perché le rievocano vecchi ricordi, ovviamente poco felici.

 

Mi adatto alla sua situazione; sono certamente poco felici le mie uscite con questa storia della gelosia, mi dimostro subito poco interessato all’argomento, mentre lei continua a stuzzicarmi e mi da un grosso bacio. Quella chiacchierata con lui, comunque è certamente sintomo del suo grande desiderio, del tutto legittimo, di allacciare relazioni sociali, vedere gente, comunicare; non posso essere così deficiente!

 

Mi addentro nei diversi annunci che possono interessarle, riviste, quotidiani, inserzioni, un accumulo di belle promesse, uno scintillio di dollari negli occhi, e-mail inviate con possibilità di ritorno, telefonate speranzose, ed un gran desiderio di rifarsi una vita.

 

Un giorno, tra i tanti annunci ne pesco uno interessante, una società da un nome strano che cercava figure eleganti, magari amanti dell’estetica per un centro Hammam che verrà inaugurato. Immagino

 

 

Continua…………

 

 

 

 

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