"Giovanna Modesto"

AL LETTORE NON UN ILLUSTRE INCHINO… NIENTE-NULLA-NESSUNO-DIO MIO SOGNO NEL TUO SONNO LA DIMORA OSCURA MIO IMMUTATO ECO
IMMACOLATO INNO AD UN AMORE… IL FOLLE DARDO IL FIATO DI DIO CIO’ CHE PER SENNO NON VA’ D’ASSENNO IL CALVARIO DEGLI INNOCENTI

 

 

CIO’ CHE PER SENNO NON VA’ D’ASSENNO

 

 

 

 

 

Ogni più recondito pensiero

 

è l’eterno illudersi

 

d’un nuovo sogno.

 

Giaco o spento sole,

 

che per più disillusi attimi

 

vedesti il perdono,

 

che per più vaganti sentieri

 

patisti l’addio.

 

 

 

 

 

Perché rincorri

 

il tuo sogno inesorabile,

 

perché non taci

 

all’ombra del silenzio,

 

perché bisbigli

 

l’allodola del tempo,

 

perché tramonti

 

com’a l’alto bisbigliar

 

di luci.

 

 

 

Fine, verrai al giorno

 

del tuo triste nascere

 

assente, divorando

 

del passato l’alto colle

 

ove più increduli ruscelli

 

dissetano il loro cammino,

 

raccontando al silenzio

 

la voce d’un proprio sogno.

 

Al dunque, o fuoco,

 

che l’eterna cenere bruci

 

di mio sol sospiro,

 

dominerai la sete d’un anelito

 

ch’a cuor di suo ghiaccio

 

non riscalda né animo,

 

né il suo abbraccio?

 

 

 

 

 

All’anima, all’anima, all’anima,

 

pietà per l’anima, per l’anima, per l’anima,

 

pietà della mia anima ancora.

 

Non un silenzio tace,

 

né più sospir ne giace

 

di ciò ch’occulto andar per sonno

 

avrà mirato altrove,

 

lungo un mirante dove.

 

 

 

 

 

IL FIATO DI DIO

 

 

 

 

 

Afosa l’estate,

 

piango la preghiera

 

della notte.. Sorridi o cielo,

 

fiato del mio perduto oceano,

 

sorridi tra lacrime spente

 

d’accesi sentieri,

 

ove nebbia mia

 

strinse la pace,

 

ove vista tua

 

dichiarò il perdono.

 

Sperai per un attimo

 

che il tempo fosse un gregge

 

e noi il proprio pastore,

 

che la vita fosse una bugia

 

e noi il proprio ricordo,

 

che il vento fosse un’anima

 

e noi il proprio respiro.

 

Erano gli attimi

 

d’un vago ricordo

 

per più scordato pensiero,

 

che d’animo perdon la luce

 

e di cuore ciò che dice;

 

erano gli attim’andanti

 

per buio in notte;

 

eran cespugli

 

per scure selve fitte.

 

Or m’imploran sì gli angeli

 

amanti del mio nessuno,

 

chiedon de l’angosce

 

l’errante buio alcuno,

 

ch’a bisbigliar l’amare liti

 

renda fortezza,

 

ch’addormentar l’orrendi fiati

 

giovi stanchezza.

 

 

 

Quanto l’umana carne

 

tace il suo abbandono,

 

tanto il morir di spiro

 

chiede perdono.

 

 

 

INNO AD UN AMORE…

 

 

Di sguardi sublimi

 

e silenziose voci

 

che possano il ciel toccare,

 

il mare espandere,

 

la pioggia asciugar

 

con sete,

 

l’anima mia si riveste:

 

 

 

di te, amor che mi nutri,

 

l’anima si riveste.

 

 

 

Dai forti, talvolta

 

fragili, nascosti piedi

 

al sommo tuo

 

onnipotente capo,

 

ove d’oro più elegante

 

dolci, incantevoli tue parol,

 

si fondono al loro

 

verdetto di lode,

 

amanti del pallido specchio

 

rivolto a meridione:

 

 

 

in te, amor che mi nutri,

 

l’anima si specchia.

 

 

 

E ancor velluto, velluto

 

e infinito, supremo riguardo

 

a quelle fragili, angeliche

 

mani ingenue di speranza

 

mai arresa, più d’ogni

 

lampada accesa,

 

calor, clemenza e fuoco

 

aimè, al mio illusore volto,

 

donan conforto:

 

con te, amor che mi nutri,

 

l’anima si conforta.

 

 

 

E sicché tuo potente, lieve,

 

gelido vento atroce

 

mi dona tremante andar

 

a giovani membra,

 

ansimanti mi s’occultan

 

fiato e sospiro,

 

mio declinare incerto:

 

 

 

per te, amor che mi nutri,

 

l’anima sospira.

 

 

 

E infine luce, potente luce

 

e abbagliante sole,

 

soltanto di sol

 

mi s’affanna or più vista,

 

che spifferi di ombra

 

desideroso il mio pensier

 

smarrito cerca:

 

 

 

su di te, amor che mi sostieni,

 

l’anima si disperde.

 

 

 

Disumana avventura:

 

calore di un’indegna preghiera

 

che scendi a imprigionar

 

mio pensamento nascosto

 

che temo:

 

ogni fuoco si spegne,

 

ogni ghiaccio vien meno,

 

creato e infinito intero

 

meraviglioso, ancor s’inchina

 

a gran sete di parole,

 

tu, capolavoro d’amore,

 

solente nascendo vai

 

per lugubri, effimeri giorni.

 

 

 

Nulla potè del mio sguardo

 

celar con che di umano

 

in cuor non appaia.

 

 

 

Osar non nuoce,

 

in amor più nulla tace.

 

 

 

D’incanto il ciel dipinto,

 

mio animale istinto,

 

Dio nemmeno a tentazion non cede

 

a firmar con brigo

 

mio eterno castigo,

 

mia sentenza d’orrore,

 

mia condanna d’amore.

 

 

 

 

 

 

 

MIO IMMUTATO ECO

 

 

 

 

 

Quale natura mi privò

 

del mio più sublime

 

destino d’amore?

 

 

 

La fuga del tempo nostro

 

più sperduto, o cari mortali,

 

in tal, codesto istante ci rammenta

 

la voce di chi, per mio nascosto

 

viver, nutre la propria lode

 

col fardello della giustizia

 

più ingrata.

 

Ne ombra, miracolo o castigo,

 

ne più dolente incanto v’è

 

tra miei sperduti versi d’annego.

 

Miti, le piogge più sottili

 

del mio immutato eco,

 

ciban d’apparenza

 

chi ama del regno suo

 

il proprio nascere.

 

 

 

Inesorabilmente ingenuo

 

è tale il sentimento mio,

 

ché più vani canti d’effimere

 

voci, possan continuare

 

a donar proprio nascere

 

per questo o l’altro foglio

 

del mio dolente vivere incerto.

 

E non vi sarà tempo

 

che con sua di maschera

 

ne rovinerà la propria bellezza,

 

ma ogni raggio di luce

 

più incantevole, sarà

 

di giovani regnanti l’alto sommo,

 

che porta a più tacere

 

Suo volere.

 

 

 

Silenzio del tuo silenzio

 

in mio più spietato

 

silenzioso essere,

 

oggi tremi delle parole

 

più celesti, diman,

 

per tua divina terra,

 

imparerai a leggere.

 

 

 

 

 

Quale natura mi privò

 

del mio più sublime

 

destino d’amore?

 

… che più silenziosi passi

 

del tempo, possano celare

 

del sentimento mio

 

anima e corpo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

MIO SOGNO NEL TUO SONNO

 

 

 

 

 

Quando sonno ha già

 

catturato la tua dolcezza

 

e di velato, ingenuo sorriso

 

il tuo ripetuto volto

 

invoca la quiete,

 

allor mio fiato

 

cessa l’affanno.

 

Per ogni mio danno

 

di dubbi, d’error,

 

di silenzi in fragili

 

parole al vento,

 

ora la mia anima

 

vinta di attesa

 

diviene pura.

 

E se per istanti dovessi

 

mutar tuo fisso volto

 

per questo o l’altro

 

fianco del tuo guanciale,

 

reliquia in me

 

d’incantevole profumo,

 

balza d’un tratto

 

mio assorto sguardo

 

in timor di tuo destare

 

presente sospiro allo sconforto.

 

Ma tutto ritorna addietro,

 

tutto riprende forma,

 

tutto ridipinge

 

la tua immagine,

 

quella fragile, forte immagine

 

in mio trovato cuor,

 

che mi vela

 

degli anni tuoi gli orgogli,

 

d’ansie mie gli sbagli.

 

Attimo assoluto

 

è questo o dunque,

 

in cui totalmente possa

 

desiderio mio, concedere

 

grazia di sol

 

timidamente sfiorare,

 

col freddor di mie

 

dolenti mani,

 

l’argenteo luccicar

 

di tuoi adorabili capelli,

 

ch’ad angelico esser tuo

 

donan incessante lode.

 

 

 

Questo ed altro contemplar

 

ed altro viver di tua vita

 

donasser premio

 

al mio patir di cammino

 

giovane e assorto,

 

che in se osò d’amore:

 

mia gioia nel dolore.

 

Ma real di tuo più inganno

 

in mio nascere s’addentra,

 

lento, profondo fiato

 

d’ardente tremolar si spiega,

 

ché mio destin non tace,

 

ché mio soffocar non giace,

 

ché mio più lento sognar

 

non trova pace.

 

 

 

 

AL LETTORE

 

 

 

 

 

Siamo solo io e te,

 

soli, in questo nascosto

 

paradiso fuggente,

 

ucciso e tartassato

 

dal pensiero e la speranza

 

senza polvere di saper

 

ciò che si spera

 

se in verità lo è.

 

Siamo soli io e te,

 

tu ed io,

 

necessariamente noi

 

a pianger solitudine

 

con lacrime di falsa gioia

 

e fragili convinzioni vane.

 

 

 

 

 

In vita nulla è errore,

 

tutto è lecito,

 

tutto è scontato.

 

Siamo solo il frutto

 

del nostro vivere,

 

figli di esperienze

 

che buone o cattive

 

portan le menti

 

a ragionare.

 

 

 

 

 

Amiamoci dunque

 

gentili uman persone,

 

stacchiamoci dal cielo,

 

dal respirar di gente.

 

Amiamoci dunque

 

oppure odiamoci,

 

sappiamo ora unire

 

vita con vita,

 

bene con male,

 

mano con mano,

 

bacio con bacio.

 

Poiché lontani,

 

dal nostro quieto vivere

 

dimoriamo e di relazioni

 

in senno cultura nostra

 

più dolente portiamo a nascere.

 

Leggi sopra leggi,

 

montagne di fogli

 

e versi, di capitolo

 

in capitolo leggendo

 

solo vista rendiamo meno

 

al nostro ben di vivere.

 

 

 

Siamo soli io e te

 

in quest’adorabile

 

terra gioiosa.

 

Siamo soli io e te;

 

nessuno ci guarda;

 

nessuno ci osserva;

 

nessuno ci giudica.

 

Poiché:

 

 

 

 

 

In vita nulla è errore,

 

tutto è lecito,

 

tutto è scontato.

 

Siamo solo il frutto

 

del nostro vivere,

 

figli di esperienze

 

che buone o cattive

 

portan le menti

 

a ragionare.

 

 

 

 

 

Amiamoci dunque

 

oppure odiamoci,

 

viviamo con tutti noi stessi,

 

anche se miei di lamenti

 

e vostre più forti sofferenze

 

sono solo i muri più pesanti

 

della voce di tutti quanti.

 

Ma noi sappiamo ora

 

distinguere vita da vita,

 

morte da morte,

 

voce da sorte.

 

Siamo padroni con noi stessi,

 

siamo solo noi stessi.

 

Sappiamo ora vivere

 

senza rimorsi e senza

 

pensamenti, senza chiedere

 

risposta da richiesta

 

mai provata,

 

senza troppi pregiudizi

 

di forzata, ma vivendo solo

 

i nostri più nascosti

 

piacimenti, senza animo nel buio

 

ma solo quiete, poiché:

 

 

 

 

 

in vita nulla è errore,

 

tutto è lecito,

 

tutto è scontato.

 

Siamo solo il frutto

 

del nostro vivere,

 

figli di esperienze

 

che buone o cattive

 

portan le menti

 

a ragionare.

 

 

 

 

 

Cantate e annunciate

 

quest’inno, soprattutto voi

 

o donne in tempo

 

di vostra doppia vita

 

prossima nascente,

 

affinché creature

 

senz’ancor parola

 

non avessero degli altri

 

il fiato in gola.

 

Poiché anche per costoro:

 

 

 

 

 

In vita nulla è errore,

 

tutto è lecito,

 

tutto è scontato.

 

Siamo solo il frutto

 

del nostro vivere,

 

figli di esperienze

 

che buone o cattive

 

portan le menti

 

a ragionare.

 

 

 

 

 

Siamo soli io e te,

 

tu ed io,

 

necessariamente noi

 

che offriamo a questa terra

 

una falsa-vera

 

concezione del male

 

e del bene, del presente

 

e del futuro, del concreto

 

e dell’ignoto;

 

che strappiamo anime

 

da anime e non proviamo

 

se nostri desideri sentimentalmente

 

umani, avessero un valore

 

per noi e per chi

 

provati li abbiamo.

 

 

 

Impariamo ora

 

l’arte del difenderci

 

col parlare

 

e col bastonare

 

cosicché nessuno

 

possa fermarci,

 

poiché saremo il nascere

 

di noi stessi, ciò che

 

CHI vita ci donò

 

ha sempre voluto da noi

 

e noi, cercando

 

il suo volere,

 

abbiamo tralasciato

 

donandoci solo sofferenza.

 

 

 

 

 

In vita nulla è errore,

 

tutto è lecito,

 

tutto è scontato.

 

Siamo solo il frutto

 

del nostro vivere,

 

figli di esperienze

 

che buone o cattive

 

portan le menti

 

a ragionare.

 

 

 

 

 

Non è possibile

 

che un abito ci renda potenti,

 

che dei fogli

 

ci rendano sapienti,

 

che delle poltrone

 

ci rendano importanti,

 

ma solo qualcuno

 

grande o piccolo,

 

forte o debole

 

ma di nostra

 

stessa razza,

 

può d’ora in poi

 

donarci l’arte

 

del conoscere il nostro

 

stesso vivere.

 

 

 

 

 

In vita nulla è errore,

 

tutto è lecito,

 

tutto è scontato.

 

Siamo solo il frutto

 

del nostro vivere,

 

figli di esperienze

 

che buone o cattive

 

portan le menti

 

a ragionare.

 

 

 

 

 

IL CALVARIO DEGLI INNOCENTI

 

 

 

 

 

Mai guarderai sì a fronte

 

o per petalo nascosto

 

li vermigli oltraggi di speranza,

 

che docili per fior

 

de la fragranza,

 

godranno, un dì di arresa,

 

la luce, la sorpresa.

 

 

 

In man di chi non tarda

 

a rimembrar dolente morte,

 

si posi un tal soave sogno

 

per il qual sì verde

 

mi ritrovo cogli anni

 

e a seguitar, su di me,

 

piangano braccia d’assedio

 

ch’a genio, umilmente,

 

siano trapassar

 

d’amor fiorente.

 

Codest’è selva o ignavi,

 

è noia, scongiuro, tortura

 

più adorabile in riflesso,

 

è l’espandersi d’un cupo

 

verso stesso,

 

che Dio me ne convien

 

di rado col pensiero,

 

ciò che diman sarò,

 

ciò ch’al mio lutto n’ero.

 

 

 

Tremano al freddo gennaio

 

fragili rose a lor vento

 

ch’al bischero mirar

 

di proprio appassito dolore,

 

rendono delizia all’alto core

 

di chi l’osserva andante

 

muto di pioggia calante.

 

Per Cristo, che croce trafisse

 

in cuore, nel petto e nell’ombre

 

in pensiero, sia nostro ricordar

 

per que’ futuri anni

 

di quanti tremanti passi

 

avanzeran l’un l’altro

 

in sommo patibol d’onore.

 

Mio vanto, mio culto, mio sdegno,

 

mio umile cuor di pensamento

 

indegno, vaghi per venti

 

o per sperduti cieli,

 

ma mai giunga ad orecchie

 

di chi m’intende ben li averi;

 

or che dilemma compare,

 

or che mio animo muore,

 

or che mia vita non tace nell’ore.

 

 

 

Mai godrai sì a fronte

 

o per petalo nascosto

 

li vermigli oltraggi di speranza,

 

che docili per fior

 

de la fragranza,

 

godranno, un dì di arresa,

 

la luce la sorpresa.

 

 

 

 

 

 

IL FOLLE DARDO

 

 

 

 

 

Per sol di vaga luce, o folle dardo,

 

fu fier mio trapassarmi lento e

 

assorto, che suon d’uman devoto,

 

mio riserbo noto, ad alitar

 

più incanto nostro mai sia ignoto.

 

A chi più ne convien venga d’assedio

 

in proprio ardito genio senza

 

l’itelletto, a soffocare ancor

 

mio amaro detto, per chi,

 

a talor gradito, n’abbia l’udito.

 

E tu, ch’ancor m’avanzi

 

in ferrea punta, per più corrotte

 

menti de’ volti miei, concedimi

 

per quel fiorent’oltraggio

 

d’un misero soffio tuo:

 

l’abbraccio.

 

 

 

Di qual soave inganno

 

l’anima ora s’avvede,

 

per cosa mesta, in festa

 

che fragile, dunque, riposa?

 

Triste ‘l nobil tempo

 

di suo vagar sì amabile

 

sospiro, non tace;

 

chè soffio di vita più illusa

 

per oblio d’incanto, il sorriso

 

dipinto, ogni cuor velerà

 

di grandezza: lenti i flagelli miei

 

in loro anderar sì quieto.

 

 

 

O folle, che mio gelato cuor

 

m’induci folle. Più intense,

 

l’armi tue, sfioreran

 

qual luce all’ombra?

 

Ferir più infermo corpo

 

in esser mio, spirane, arreso,

 

per gioia e per dolor dell’armi

 

affrante sia speranza

 

e per ch’illude ancor:

 

gioviale danza.

 

 

 

 

 

 

 

IMMACOLATO

 

 

 

 

 

Immacolato.

 

 

 

Celeste incanto del mio

 

segreto pensare,

 

a te, giungano le corrotte

 

ossa del mio tempo,

 

che miti avanzano in onor

 

di tuo pellegrinaggio,

 

al santuario dell’amore

 

più sublime.

 

Ardente devozione codesta

 

è tale ad eterna bellezza,

 

che per ogni verso d’incantata

 

preghiera (angelico riflesso

 

di tua divina persona)

 

immensa, la mia mortale

 

anima, si disperde.

 

 

 

Immacolato.

 

 

 

Immacolata la tua

 

presenza,

 

or dunque in terra

 

santa dimoriamo:

 

che li volgari indegni

 

piedi di nostr’andare,

 

cedano il posto

 

all’umili ginocchia

 

di lor seguitare mite.

 

 

 

Quattro son di vita le stagioni

 

ed io: nacqui all’ultima;

 

chi fosti tu, dio

 

del più immortale sguardo,

 

ad ereditarne la prima?

 

 

 

V’era, tra più sperduti passi

 

di mio dolente essere,

 

anelito di luce effimera.

 

V’era, infinita di pace

 

c’era.

 

C’era, la dipingesti ancor.

 

 

 

Se mai giovinezza abbracciasse

 

le lunghe ore del suo tempo,

 

come spiegar dovrei mia

 

illusion di pensamento?

 

Non di suo tremolare arreso,

 

ne’ di più soave carezza

 

velata al proprio rancore,

 

udii voce alcuna in tuo

 

rimembrare assente;

 

ma gelida la linfa tua

 

vermiglia d’assedio,

 

che con agile destrezza

 

del lento mio vivermi ignoto

 

si ciba, sia il ritornar

 

per fragili terre, in mio

 

tormentoso nascere assente,

 

che banal, di propria speranza,

 

rivive la sconfitta degli anni più cari.

 

 

 

Amor, che lento induci

 

il cuore mio verso

 

la propria morte, narrami

 

di tuo germogliar per valli,

 

lacrimar per volti,

 

ulular per gelide lune

 

fragili del loro imbrunire

 

incerto, ciò ch’a lungo andar

 

divide calor da proprio vento.

 

Dolce, ti ritrovo per amari

 

ricordi; di vani pensieri,

 

oscuri del proprio ripetersi,

 

sei la gloria più assoluta;

 

ecco, padre del mio velato

 

oceano ad esservi t’appresti,

 

dove un tempo annegai

 

ed ora voglio tornare.

 

 

 

Immacolato.

 

 

 

 

LA DIMORA OSCURA

 

 

 

 

 

…possa il sentimento mio

 

gelar la voce

 

al grido dell’alba.

 

 

 

         Entrai…

 

per una dimora oscura entrai.

 

Entrai,

 

incisi il mio posto.

 

 

 

Tutti fecero parte

 

di quella dimora,

 

tutti dimorarono,

 

tutti dimoreranno

 

quella dimora.

 

 

 

 

 

Vana di ricordi,

 

muta di doveri,

 

arsa di battaglie:

 

codest’è la terra

 

d’astuti danni, la quale

 

sotto al mio peso,

 

oggi giace del lento

 

nostro calpestare incerto,

 

che fragile in sua fortezza,

 

tenero in sua potenza,

 

gioioso in suo sconforto

 

mi rammenta

 

un venerabile manto,

 

ove miei più tremanti piedi

 

stesero il loro cammino.

 

E se avanti, per quel risuonar

 

d’avanzare mite, il gentil

 

volere mio timido s’appresta,

 

non si sollevi volto che degno

 

d’amabile vista al bianco

 

d’un pargolo candore,

 

possa germogliar in prossimi

 

istanti del suo tempo

 

mio incantevole ricordo.

 

Ma ecco, tutto tace,

 

tutto bisbiglia,

 

tutto al cuor mio illuso

 

ora somiglia.

 

E sicch’io perdono

 

vagamente chiedo

 

a fragili, ingenue parol

 

che d’umano istinto

 

rimembrate al nostro dunque

 

coloreranno d’esitante luce

 

un prossimo domani,

 

voce di chi la causa fu

 

di tant’adunar di genti

 

mente il proprio ascolto,

 

ché miser’anche sol velato

 

abbaglio d’asciugar mie

 

più profonde ferite

 

mai non si conosca.

 

 

 

 

 

Colpa, senza alcun voler:

 

mia colpa,

 

del mio narrante amor

 

fatto di vuoto e ipocrisia,

 

d’agghiacciante calore

 

alla sprovvista, in mio

 

nascosto tremolar

 

timido e incerto.

 

 

 

 

 

Quale onore a tanto

 

angelico andar di sue membra?

 

Qual più fortunata vista

 

di prescelta, nobil sorte

 

ad accoglier in suo divino sguardo

 

meritevole v’è d’apprestarvi riguardo?

 

Quale mente più degna

 

d’ospitar suo incantevole pensiero

 

fra comuni mortali, in terra

 

oggi a viver s’adempie?

 

O triste sole, ingenuo

 

di mio lucente inessere,

 

donami di sol rimpianto

 

in questa dimora,

 

l’inutile speranza

 

di nascer fra giovani sorrisi,

 

ché mio apparente infinito

 

obbedisce a sua presenza

 

colma di più sublime

 

gioia in sua purezza.

 

 

 

Col freddor dei tuoi anni

 

piango l’assenza

 

d’uno smarrito sogno.

 

 

 

 

 

…possa il sentimento mio

 

gelar la voce

 

al grido dell’alba.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NIENTE-NULLA-NESSUNO-DIO

 

 

 

 

 

Creato del ciel creato

 

in mio creato capo.

 

 

 

Eterno ed infinito

 

in mio finito a dire.

 

 

 

Vita vivente prossima

 

in mio più vano credere.

 

 

 

Natura, di natural pensare,

 

castigo o premio divino

 

ci dai da mangiare.

 

 

 

Viviamo per un istante,

 

immaginiamo intensamente.

 

 

 

 

NON UN ILLUSTRE INCHINO…

 

 

 

 

 

Non un illustre inchino,

 

ne più nobile saluto

 

degno mai sia d’anche

 

un sol tuo misero riguardo

 

sfiorare nemmeno.

 

O splendor di più soave

 

immacolat’abbaglio,

 

che per tuo prestigioso

 

essere: doni grazia di vedere

 

a ciechi, gioia d’ascoltare

 

a sordi, pace di sognare

 

a chi sperpera le proprie notti,

 

ecco, per te, s’apron le porte

 

celesti e melodiosi cori di angeli

 

intonano il proprio inno,

 

in onor di tua adorabile

 

creatura:

 

tu sei l’angelica dimora

 

in cui l’amore più sublime

 

vi ha preso affitto.

 

Indegni gli occhi miei

 

a tanto divino splendore,

 

oggi ridon della sorte

 

più leggiadra, ciò ch’ogni

 

uman persona aspira

 

come carezza:

 

il saper di tua dolcezza.

 

 

 

Le mani tue godono

 

della bellezza più suprema.

 

O padre dei miei dunque,

 

madre dei miei averi,

 

che in grembo portasti

 

la luce di chi non erra

 

la propria salvezza,

 

non merita, mi dico,

 

tua divina persona

 

d’esser trascritta

 

per volgari fogli, indegni

 

del loro stesso bianco,

 

ma ogni più minuto

 

lineamento tuo, possa

 

risplendere, soave come stella,

 

nell’oro più prezioso.

 

 

 

Così narrano di te

 

i più nascosti versi

 

nei silenziosi giorni

 

del mio tempo, ove voce,

 

di mio prestigioso passato,

 

rimembra al suo dolente

 

nascere, l’ombra

 

d’un incerto cammino.

 

O lacrima, dunque,

 

del mio più mesto piangere,

 

angelo del mio

 

più vano credere,

 

frase dei miei

 

ripetuti versi:

 

abbandona le giovani terre

 

infeconde della loro bellezza,

 

e vita rendi a coloro

 

che stravolti, dalle rovine

 

d’un lento appassire mite,

 

oggi dormon dell’eterno

 

spegnersi.

 

 

 

L’età che più cara mi fu

 

d’accostar mio perduto inganno

 

a fragili pensieri, che mente

 

che mente offuscano e respiro

 

annegano, col proprio lento andare,

 

oggi rivivono il prodigio

 

del loro triste adempimento,

 

quand’ad adunar non nuoce

 

in suo ricordo.

 

 

 

 

 

Non voglio che domani

 

sia domani,

 

che un’altra volta

 

i raggi del sole

 

donino respiro

 

a più disillusi giorni,

 

restino invece le tenebre

 

del mio silenzio; e il buio,

 

del lento suo trapassarmi

 

forte, venga a liberarmi

 

da questo corpo

 

perduto di speranza.

 

 

 

 

 

Cercami in un sogno

 

quello che mai conoscesti,

 

quello che i più bugiardi

 

passi del mio vivere,

 

scolpirono nel silenzio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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