Historia de un hombre en el desierto
Eppure dev’esserci una fine.
Un limite, anche solo un muro,
che circondi questo deserto. Finora il mio sguardo ha conosciuto solo dune,
magari qualche roccia, ma per il resto solo sabbia su sabbia, riscaldata dai
raggi del sole. Mai una persona, una palma, un animale. Ed io, immerso in questa
solitudine, cosa posso fare se non camminare, camminare tutto il giorno, senza
fermarmi? Certo, potrei lasciarmi cadere su una di queste piccole montagne di
sabbia, chiudere lentamente gli occhi e lasciare che il caldo e il tempo portino
via il mio respiro, ma io so che non è questo il mio destino. Non può essere
solo questo.
Sono immerso in questo
paesaggio, ma la mia mente vola altrove. Fuori.
Da alcuni anni, la notte,
diversi sogni affollano la mia mente.
Sogno il mondo all’esterno di
questo deserto, e ogni notte lo sogno in modo diverso. Credo sia il non
conoscerlo che mi spinge ad immaginarlo diverso. Tutti quando non conosciamo
qualcosa, tendiamo ad immaginarlo nelle forme più disparate e varie. Forse è
il bisogno di dare un aspetto familiare alle cose estranee che ci circondano. Ma
può essere solo questo? Forse è semplicemente la voglia di uscire da questo
ripetitivo ed infinito deserto a crearmi queste immagini nel sonno. Finora sono
state solo immagini confuse, incomplete e sbiadite dal risveglio. Fino a
stanotte.
Ho sognato una città. Non so che nome avesse, né dove si trovasse. Ci si arrivava dal deserto, lo stesso che io conosco da sempre, ma arrivato nelle vicinanze della città, mi sono accorto che non era più lo stesso compagno delle mie interminabili e solitarie camminate. Il deserto non era più inospitale, ma, come se si fosse riempito di vita, sembrava pulsare sotto i miei piedi. Su di esso cresceva dell’erba fresca, e un tappeto di fiori coloratissimi e profumatissimi. Quell’arido manto di sabbia si trasformava in un maestoso giardino fiorito, nel quale alcune persone camminavano pensierose, altre leggevano, altre ancora conversavano. Qua e là fontane e laghetti in cui i bambini si facevano il bagno. Anche l’aria era più fresca, nonostante il sole fosse alto nel cielo e tutto il giardino era immerso in un’atmosfera di benessere e di felicità. Ho attraversato lentamente il giardino, addentrandomi sempre più nella sua vegetazione lussureggiante e, giunto alla fine, mi sono ritrovato ad osservare il centro abitato dalla cima di una duna. Le mura erano alte e massicce, con un unico ingresso in pietra sui cui lati erano scolpiti due leoni alati giganteschi. Gli edifici erano alti e squadrati, costruiti con pietra giallastra. Sembravano molto vicini fra loro, ed erano tutti simili fra loro. Non c’erano edifici che con la loro grandezza imponessero la propria importanza sugli altri, come se l’incredibile benessere di cui godeva quella città fosse distribuito in modo totalmente uniforme. Di là degli edifici, in lontananza, si distinguevano alte le montagne, che si alzavano verso il cielo, come dita di una mano tese ad acchiappare l’infinito.
Ho superato la porta della città,
e mi sono ritrovato in una piazza grande e affollatissima. Tutta la città era
piena di persone, ma sembrava che il muoversi della folla fosse in qualche modo
ordinato, preciso e pulito. Mi sono addentrato nelle strade della città,
affascinato dai colori, dai suoni, dagli odori.
Nel deserto l’unico suono che
si sente è quello del vento che accarezza le dune, intervallato dal fruscio dei
miei passi e dal mio respiro affannato dal caldo e dal tanto camminare. Nella
città invece c’erano tante voci, tanti suoni, suoni di passi, di commercio.
Suoni di vita.
All’improvviso, in mezzo alla
folla ho visto la ragazza. Era una ragazza come tante, ma io ero sicuro di
averla già vista. Mi sono detto che non era possibile, non ero mai stato lì
prima d’allora. Ma più guardavo il suo viso, i suoi capelli castano scuro
leggermente striati di rosso, come se il sole al tramonto avesse cercato di
aggrapparsi a quelle dolci ciocche e avesse lasciato morbide impronte delle
proprie dita, più guardavo il modo in cui essi le scendevano sul suo vestito
verde, i suoi occhi castano chiaro che sembrava si fossero tinti del colore
della sabbia a furia di guardare il deserto, più mi convincevo; era come se la
conoscessi da sempre. Mentre la osservavo, lei si è girata verso di me e,
guardandomi negli occhi, mi ha detto: “E’ da tanto che ti aspetto, da sempre
sapevo che tu un giorno saresti arrivato.” Detto questo, è sparita in mezzo
alla folla. Ho iniziato a seguirla, ma se davanti a lei la folla si apriva,
davanti a me trovavo un’impenetrabile muraglia di persone che ostacolavano il
mio cammino. Ho visto la ragazza allontanarsi, farsi sempre più piccola e
sparire, lasciandomi in bocca il sapore amaro delle occasioni perdute. Mentre
camminavo lentamente, guidato dall’andare lento e inesorabile della folla,
l’unico pensiero che affollava la mia mente era l’immagine della ragazza.
Chi era? Come faceva a conoscermi? L’avrei rivista? E se l’avessi rivista,
cosa le avrei detto? Ero certo che se l’avessi rivista, non l’avrei fatta
andare via senza averle rivolto la parola. Ma come avrei fatto? Cosa le avrei
detto? Sarei stato capace di esprimerle tutto quello che provavo? Dalla strada
cominciò a levarsi la nebbia, che diventava più fitta quanto più intrecciati
erano i miei pensieri, finché tutti gli edifici ne furono coperti, le persone
sparirono, e io mi ritrovai di nuovo solo.
Non c’erano più i rumori
della folla, non c’erano più gli odori della città. C’era solo il
silenzio. Cominciai a camminare, come faccio sempre, tenendo le mani avanti per
non finire contro qualche persona o contro qualche muro, ma più camminavo, e
meno fresca si faceva l’aria. La nebbia cominciò a perdere consistenza, e
alla fine si diradò completamente scoprendo il paesaggio che nascondeva. Ma al
posto degli edifici della città ho trovato i familiari contorni delle dune, e
al posto della folla di persone ho trovato la solitudine aspra e arida del
deserto. Mi sono seduto sulla sabbia e, deciso a mettere ordine nei miei
pensieri, ho iniziato a scrivere queste righe.
Non so se questo momento
appartenga ancora al mio sogno, o no. Non so se la vita che sto vivendo sia solo
un’illusione, o solo ora io abbia cominciato a vivere veramente. Mi guardo
intorno e vedo solo il deserto, compagno amorfo e silenzioso della mia vita, e
ripenso al mio sogno. Devo tornare in quella città, devo rincontrare quella
ragazza, devo chiederle chi è, che città è quella ma soprattutto devo
chiederle chi sono io. Adesso chiuderò gli occhi, e pensando al colore dei
capelli della mia ragazza, mi lascerò portare dal vento dolcemente, in alto,
lontano da questo deserto, lontano da questo mio essere solo, verso l’unico
posto in cui posso dire di essere veramente vivo, fra le sue braccia…
-------------------------------------------------------------------------------------------------------
La
carovana avanzava da settimane in mezzo al deserto. Trasportavano il sale dalla
costa ai paesi dell’entroterra. Si snodava lentamente in mezzo alle dune,
apparentemente senza una direzione, ma con una meta ben precisa: la loro casa.
Quando
lo videro, gli uomini della carovana lo credettero morto, ma quando si
avvicinarono, si accorsero che stava dormendo. Era un uomo di circa
trent’anni, di carnagione chiara, sdraiato sulla sabbia rovente. Nonostante
fosse vestito come loro, l’uomo sembrava uno straniero venuto da lontano con i
suoi occhi verdi e la sua carnagione chiara. Lo caricarono su una portantina e
gli bagnarono le labbra, ma lo sconosciuto non si mosse e seguitò a dormire.
L’indomani
raggiunsero la città ai limiti del deserto, attraversarono i bellissimi
giardini fioriti e abbeverarono i cammelli. Attraversarono poi la grande porta
dei due leoni alati e si ritrovarono nella piazza del mercato, affollata come
sempre.
Prepararono
i banchi per vendere il sale e presi com’erano dall’euforia del commercio,
lasciarono dormendo sotto una palma lo straniero trovato nel deserto. Così,
nessuno era presente nel momento in cui si svegliò. Ancora steso si guardò
intorno e quando riconobbe il posto in cui si trovava, un ampio sorriso gli
illuminò il viso. Si alzò dalla portantina e cominciò a camminare per le vie
della città. Nessuno lo aveva mai visto, ma lui camminava con il passo deciso
di chi conosce il posto in cui si trova. Si mescolò alla folla e nessuno lo
vide mai più.
Quando i
carovanieri si accorsero della sua scomparsa si chiesero a vicenda se lo avevano
visto. Uno di loro rispose che poche ore prima un uomo si era diretto fuori
delle mura cittadine in direzione delle montagne, tenendo per mano una donna dai
capelli castani scuri, leggermente striati di rosso, che le ricadevano sul
vestito verde che indossava…
Home
page
| L'autrice
del sito
| Le pagine del sito
|