sei il segno
Sei il segno giunto a bagnare il cielo
della parte d'universo che mi manca
e s'alzo il capo piove dentro stanca
quell'attesa bianca che come velo
per la non scritta legge che ci detta
avvolge in forma che ti è cara
l'austero portamento in sorte amara
prescrive spenta veste il dì di festa
oppone ad ogni dono che si stringa
sorriso mai al passo col respiro
che precedenza altra non si finga
se il profondo vuoto non s'attenua
creatura straziata dal raggiro
che si taccia della tua vita strenua.
|
lampo
Non desta più,
lontano, il lampo
traccia semmai lo stampo e di versi
intride le pareti se altrui allieti;
salpa da te e salva gli spazi tersi
incurante se dormienti sorde o morte
-sia pure, se il dolore meno incombe-
le membra al suolo coglie intorte
se di case i toni scuri o di tombe
nella notte assembra in ombre grevi
che accenta poi gelando sul selciato
d'ogni figura inquieta i passi brevi;
i tuoni ha volentieri abbandonato
per una volta li ha lasciati innanzi
coi suoni a correr delle parole spese:
fretta non v'è se il rito non ha avanzi
se fitto piove dal cielo delle attese.
|
fuga -minore-
in re
Ci unisce
o parte dal Mondo
l'annunciato vuoto e silenzioso?
Se ci chiama l'astro passeggero
ci sbigottisce col saluto: paura
ha avuto del sereno inesorabile
e in quel buio s'è eclissato, che
ricalca risoluto, che ha abitato.
L'incrocerai di nuovo, è scritto,
non più il guardo volgendo
tra gli occhi di Natura; ed aspra
ti parrà ogni cosa del creato né
ti sosterrà -se dura- il pensiero
in bilico su quell'orlo che notti
ha visto entrare di sogni popolate
farsi lontana ogni tornata creatura,
ogni corrispondenza vana all'oggi
e al domani -ma ben lo sapevi-
In limine al limbo forse l'ieri
t'àncora e, crudo, ti salva allora
contro voglia, sulla soglia
per un giorno, altro, ancora.
|
in morte di Natale
T'ho sempre
pensato a guisa di casa,
inamovibile e necessario come
le pietre di volta coerenti
a quest'ombroso borgo
e desolato
parola di remoti pensatori
solo sfiorò gli alari
ch'eri giovinetto
subitanea e vagabonda,
da oggi senz'esito
non è la feroce ordinarietà
lenta dell'esistenza
ad avvizzirmi in quest'ora
ma il destino
della tua saggezza concreta,
non ancora succube -e salva preda-
di codice alcuno
pur recante già il germe
per colpa grave in grave bilico
non ancora riconosciuta
e già morente, destinata
alle nebbie, all'ade
ancora.
E voi qui,
senza saperlo
senza Sapere ch'è eterno
aspettate ciechi il ritorno,
in luoghi altri d'altro armento
v'aggregate.
Oh! liturgia sciatta
e scialo di menti
di tempi
di memoria...
|
eppure troverei
eppure
troverei con sollievo un filo d'oro
perso, tra quelli neri che indosso
prima di salire senza tema alle balze
nebbiose che recessi versanti
d'Appennino e forre ai più celano
insieme al volere di chi li varca
 a
che astore rapace in eterno misurando
depura dall'afflato in eccesso
nessun dolore affranca né s'affranca
divenendo; qui come altrove
si concorre al disegno ordinato,
le sembianze mortali appassendo
nel debole superstite pulsare
che tra le rogge al piano sparuti
scerneranno quale sussurro venuto
dalle ripide convalli. Irrisi,
nella risulta dei più bassi versatoi
da chiassoso scellerato armento.
|
il pensiero teso
dardo lucente il
pensiero teso
sorto sprone da inesorata falange
sperone doloroso, orpello peso.
Donde non viene, è. Arretra o sosta
giammai -ma ai piccoli scrigni immane-
né veste d'ermellino l'osta, o l'urge
qualche purpurea lusinga là d'ove
annunciando si sporge che dall'Apice
ogni piano si punge, ché la meta
è nel moto se mai umano vi giunge
a ciò non sfuggendo nullo astuto
da quando imperioso partì il gesto
dei mercanti il derelitto sputo
da un latere paziente qual resto.
|
moto d'astri
Affannoso s'annuncia
col piovorno
e anzitempo il tuo luogo delle uve;
irride mareggiando, Autunno, poi
t'inferria nei serragli dentro l'urbe
poco veglia ciò che si compie a mezzogiorno
ove pur separa, con l'uggia, dell'agave il bompresso
dall'azzurro di Squillace e più in alto lambisce
il laricio maestro, incosciente dell'orma feace
che ci lega eterei ai soleggiati spazi. Lì
non affini alla caducità del tempo noi
anche lontani o morti, siamo. Immanenti
mai l'un l'altro persi
non passiamo.
|
per ora... per
ora... è meno che qui, se rammenti.
É la Voce tra le cime che risenti
(non a caso in alto)
e te la porta quel vento, leggiero
dal freddo cielo sereno, che attento
misura le intirizzite corti a farsi più vero.
Alme commuove delle zolle brune nei pressi
canne d'organo sghimbesce nella chiesetta
mezzo crollata, giustapposti cipressi.
Così pei refoli riesce ogni memoria morta
s'ordinano i frammenti, i passi d'occasione
-che serbino quel nome, che importa?
Finalmente s'insinua nella mezza redingote
quella della scorsa volta, con dentro te;
e di nuovo tremi.
Ma qui -o per ora?- nel tuo altrove ennesimo
pari cosmo d'inverno o ragione nuova
non c'è.
|
in dono
all'angelo
...una casa aperta a te,
che casa sei
senza averne conosciuta alcuna
un baule di balocchi
poiché non hai più giocato;
e risoluta trama d'istanti
da non sommare mai
a comporre un tempo inutile
una coperta -per il freddo che ti coglie
nelle notti in cui furtivo
cresce il girasole sul balcone,
incosciente del tuo pianto-
che dal dolore scaldi e salvi
unendolo, miracolo nel miracolo
all'incorrotta semplicità primitiva
e con carezza dirti
ch'io vedo e di capire
non esigo
che sento senz'ergermi
a sanare;
come fiore inspiegabilmente grato
vivo questa lontananza attigua
attento -che non contagi
e il candore non viri-
segregata speranza a Natura devoto
saluto dì per dì
col più soave dei silenzi.
|
grazie
ai transiti postumi
Come avreste fatto,
prima, a cedere sciogliendovi in pianto
prima di quelle albe grigie rese probabili solo dalle panche
dall'abbondare di nero metallo nelle stazioni e dai cieli plumbei
che le sovrastano le invadono non fermandosi sulla soglia
degli occhi né in limine ai cuori squassati, anni dopo si direbbe
-ma è solo un po' più in là o ben che vada un di fianco. Come?
E di quei viaggi interni resi pietra dalla maturità che sfumano
il senso mai davvero posseduto in un la indicibile, maggiore? Forse.
A smarrire dentro la miseria d'un malcolto senso di modernità
attraversando l'irragionevole sonno urbano e dei borghi a mare
nell'amara veglia tremanti per cosa vedranno al risveglio gli occhi
sconosciuti dei bambini lasciati alle spalle e quelli verso i quali
tornate?
Allo squallore indipanabile non dobbiamo forse un grazie per il vuoto
ora evidente e per quelle braccia mai compiutamente strette che virano
il desiderio informando di sé ogni canto di pensierosa solitudine?
|
l'elegia
silvestre
alle improvvise
radure ventose sfociamo talvolta
dove arbore non più amica pare, muti varcando
col solo guardo lo stormire immenso;
per via di preste espanse ombre v'immane Natura
eppure ugualmente lusinga e pronta si volge
oh, quale Voce inaudita reclama il governo del nostro sentire!
Semmai preambolo di ben più ampio cerchio tratteggia parola
e nel così inteso spazio il codice nuovo del silenzio
-non sviliscano i nostri luoghi infiniti in occasioni o tempo-
eppure questo passo urge più negl'intimi canti ond'è
disattesa la fuga stizzita del cielo, evocata in estate piena
qualunque altra stagione, intravisto l'alto registro.
Pazientano tese le aliene fiere e meditano le vittime
separate dal leggero invisibile diaframma d'astri, mentre incombe
-non sai quanto terribile non sai se soave- la cinèsi che risolve
mulina plumbeo oltre gl'innumerevoli ordini di ramaglie il sacrificio.
In tal modo timoroso e brado ti fai sulla china domestica
tersa cogli la sconfitta, che spregiano viepiù questo dibattersi
le vendicative intavolature della volta notturna.
|
all'altro
capo della notte
le mani giungo poi
separo il giusto, piego
ad ogni distrarsi della luce. E scelgo tra le infinite,
negli immensi piani, la sola curva che il contorno noto calchi
con pazienza attendo che sia l'estendersi del respiro
effuso nella pace notturna -adempiuti i più alti offici-
a donarle la profondità, farla luogo.
Cadrebbe a quel punto il volto s'io cedessi appena, così
non spiego cosa avviene quando avviene dentro il miracolo
o perché mi desto esausto e non ci sei;
né più temo quel ricorrente tuo vanire. Sorrido:
e m'abiti ancora.
|
Sguardo monastico
Un colle
contenuto dal suo crinale,
chioma verde al fianco
d'un tetto, rosso
e dietro il candore
del monte.
Il Pensiero oltre...
|
sperso incanto
Da teoria d'ore e dopo il buio
albeggia come icona
la tua chioma di salice.
Il tormentoso pensare, fuggito
anzitempo a sera, risorge
e chiama i nostri pochi giorni.
Dalle profondità dell'iride
governo per l'impari rovello
delle cure, il futuro
non si sporge.
Lo canti irata eppure, l'invochi
dagli antri dalle fosse buie
e dai pertugi che solo le braccia
aperte al domani sanno penetrare.
Impazza il turbine, con le sue furie
per le vie del cuore, intanto
le malnate ingiurie muove
e detta già, quanto tarda sia
quanto vaga, felicità.
Innominata speranza
sperso è l'incanto.
|
Mulino d'altri tempi
quando ugualmente irrompe dagli usci
cigolanti o da svelte finestre
fuggono livide innanzi l'ore
a fronde,
quel tempo vinto che uccidere
col seppellire confonde...
Già di penombra gli inanimati resti
proda fecero e bastioni
a voci piane, cadenzati gesti;
infaticabili e blandi oggi v'adducono
i pulviscoli nuovi a ritmo a dorso
d'ogni raso raggio lucente.
Soave parentesi s'apre
dunque, e si chiude
al separarsi delle ciglia:
è ove innamorato guardo volge
e vive -iniqua imago-
il tempo della sua preghiera.
Presti tornano all'oscuro padre
ormai freddi alari e gli altri ferri
l'opaco mezzolitro da osteria;
con sedie sghembe, mastelli senza fondo
balle lise dalle granaglie
circolo strano, popolo immoto
d'umido canto alieno al mondo.
|
Il cielo a terra
Esposti ad un sole lontano
e solitari, nembi sparuti adducono
ad ombra informe
ogni proiezione d'uomo; che
i contorni spezza, oltre ipotesi
tracima e le care urne inonda
-ma in mente ne hai, salvi, i profili-
Giova poco il frangersi vago
del presente agli affetti sulla china
invero dimmi: ne comprendi ancora
tra gli elenchi che stili?
Smarrisce armonia tra i lampi
in desuete righe tra le righe
ora tuono, rumoroso codice ignoto
ora canto greve come strascico
che più non pulsa e
nell'incedere stride.
Solo all'alto Nume talvolta
tutto ciò non tempesta, è sgombrarsi
anzi d'ampi spazi per gli angeli,
d'aurora tarda avanguardia
ch'eppur s'appresta.
Attesa festa...
può spegnersi nella resa
un attimo prima appena, a sera.
Ovvio caso e scialo quel che c'era
non quel che resta.
|
limite
Che venga
dalle catalisi senza verso
senz'aria al contorno
giovamento o danno:
sono corse ìmpari contro la luce
lenta, una morte anzitempo
strappata al giorno.
E spesa da funamboli
ché non si risorge
tra gli squilibrati declivi
oltre la riffa dai falcati fianchi,
nel mito che il pensiero lusinga
con le belle falangi
-nel drappello degli Alti
il fato, l'ebbrezza...
la ragione non tangi-
Vira appena il domani
ad ogni sortita l'ombre detta
oltre l'uomo, il nuovo credo.
Sagome sul gradino immane
a riposare ansanti
è da lì che ti vedo
che prego.
Maggio 2004
|
alter
Mentre avanzi tu pure
per corridoi desueti, carrarecce, rue
all'esausto istinto solitario
l'affanno nuovo celi per necessità;
eccezion rada e dolce groppo
il nodar le trecce tue
nel daffare d'apiario.
dall'alto menano i tracciati che
per steccati reti o agresti palizzate
-limen miserrimo dettato da Caino-
fianchi incatenano a pendici;
dalle crepe e l'imperfette maglie, vicino
lussureggia qualch'evasa corolla
di qua tu fremi e saluti
d'opposto canto le radici.
delle inaccesse cenge a mare cerchi
ancora
il respiro tra le cimase urbane
e vasi vecchi, smarrite tazze
a colazione, stinte persiane
l'acre sentor delle tue cose morte
nelle nari immane spirando
d'ormai socchiuse porte.
non più scogliera i rugginosi terrazzi
non più lido ospitale la folla che ti coglie
a lagrimare ma d'ira fonte scellerata
remota alla pietà, stolta agorà
volgo da stazzi.
|
Medio vere
S'entri nella silva brado, e piove
forse non fremi per l'effimere
fronde dissennate e nuove,
poco ti stoglie la goccia se le ingioiella
e parte da verità ben altro velo i legni vecchi
neri dal freddo umidore,
a questi pressi giunge e langue, la brezza novella
dubbio d'Aprile non strugge col suo daffare.
Ma ugualmente e zoppo s'avversa un nebbioso ardore
alle fortune della riviera -tra gli altari aliena
al cozzo dei destini-
d'ove a sera non si spandono codardi
i cuori per spumosi arenili, spopolati,
tra cartigli di ghiaia perlacee valve
non occhieggiano a festa.
Cogli solo voli zitti della fuggiasca ghiandaia
frugali frasche, l'Eden che resta,
attesa ciclica di tepore disadorno
e sparso e tenue
verde fidarsi muto, al nuovo giorno.
|
Veritas
Premurosi travagliano i desti
nel dare luce ai sogni
e sono i più veri
li consegnano alle solari correnti
nudi, nel guscio fragile della parola.
Rassegnati e languidi li vegliano
quando tra i lauri
la notte li rende orfani
e li copre il manto di stelle.
Ascolta ora spegnersi il vagito
le putative ombre accorrono:
si compie la matrigna controriforma
bottino di guerra dei dormienti.
Sanata è l'eresia.
|
danno benedetto
Obbedito ch'ebbe il sole a Geometria
il vento prese le valli furibondo
con supponenza di tenebra,
nell'adunanza d'ombre
elevando a segno il pianto
del vinto meriggio
menando
ancora umidi scrigni
i passeggeri occhi l'arido dolore a fecondare
e, di nuovo
impronunziato nome di remota carnefice
ad infinita bellezza plastica di statua
candido sasso lambito
e mai liso
dall'anelare.
|
Elegia emiliana
Ti cerco
febbrile tra le frasi
nei golfi ampi delle righe
che cinque siano
o nascoste e giunte
-attigue, vagamente amare, bambine-
al fiato incredulo e gioioso,
prossime alle carezze
nel rinnovarsi atteso di sacro adagio
quando represse abbiamo
-per pudore-
le grida di rinascita
e tornerà la Speranza
prima o poi la renderemo
a quelle mura, agli strumenti tuoi
agli occhi che cangianti
tutto ed anch'essi
governano:
celano il colore mutevole dell'onde
forre, rogge, il canto
volo d'astore sui versanti
prescrizione potente di Natura
Voce d'universo intatto
in questa che sarebbe Primavera
-la tua-
anche senza il tempo.
Marzo 2004
a Sandra
|
Chelsea hotel N. 2
è
come ordito di deserto, Leonard
lo sguardo giallo di sabbia dei tuoi occhi da vecchio sciroccato
a sciogliere la neve già in mente, prima
che alzando il capo si possa cercarne integra nel colore coloniale
insolito di quest'alba,
anche se a pensarti bene mi appari sempre in bianco e nero.
Credo c'entri la banana stretta in mano
più del vestito polemicamente grigio
che indossi nella fotografia
e le lunghe scarpe d'un assurdo nero lucido.
Risuona l'eco dolcissima delle tue donne dolenti
nella vita segreta che incede con passi di cerbiatto
e riscalda il timbro viepiù mentre
ti consuma lentamente come ciocco di leccio.
ma per loro è peggio:
la condanna è nell'effeminata voce e ignara,
d'una eterna gioventù.
Spio
solitario, dalla mia enclave tra i morti dentro:
potrebbe preceder buio ogni batter di ciglia,
di certo è più bagnato
Feb. 2004
a Leonard (Cohen), mio fratello...
|
K
333 (povertà)
è sempre fondata povertà
il silenzio la culla.
in balìa, lisi, litici e
-vinti mai-
per questo ci avvolgiamo
-le sillabe alchemici dosando-
nell'intercalare di note
coeso suona l'antico stromento
nella provinciale alcova
-è salvo ormai-
alle vizze carezzevoli mani
che l'amano;
ma l'agro e dolce canto no, vaga
il canto andante scroscia ai cuori
le palpebre rinserra, arginando l'acque
ci strugge l'armonia che le paterne spoglie chiama,
di creatura ormai sotterra
rapita, arresa, persa al mondo per via... di povertà.
Per l'anime alte d'oggi
-orbe, tuttora, di dove sia il sacello-
amore è volgare succedaneo scomposto,
altro o più avremmo voluto
-e ancora aneliamo-
nell'ultimo fiato riponendo
Marzo 2004 |
Questa è la prima di
un dittico.
Itinere
Lo credesti vate,
non l'era e
neppure quel tempo
privo d'indizio
era tempo:
non embrione
non scia odorosa
colta da ipersenso animale...
imposte solenni
come di sinagoga
sbatterono ben presto,
sincrone, coerenti
avvenne nella consumata ovvietà
delle origini:
deiezione d'ente profano,
monito al piccolo mondo,
vano il grido d'avviso,
fu espulso
e (tutto) tacque.
irriso da imboscata
confinato
in desertico oblio
per via di sensi creduti amorosi,
e poemi densi di contrappasso
incompresi eppur saccheggiati.
a crude misure
spinto oltre il crinale
di quel ritorno che già carezzava
incorrotto, immutabile
premuroso cullò il nero strumento
di sorella che invisa ai più
nega la vita e tronca virtù,
eccezione e garbo levando
all'officio,
al gesto di lei
estremo eppur consueto.
nel sale ed ai venti
esposto
visse in antro
e s'aprì nella nebbia
per sé.
Ora è qui di nuovo
e t'impauri per cagione sua
è lui a dirlo
ché tu, inquieta
cogli ma non spieghi.
Non astio guida il ferro
a tracciar confini
per l'inabitato altopiano:
è lui medesimo
e l'anima
amor che tutte abbraccia
senza esiger pegno
né dazio di frontiera.
t'è duro ugualmente
ormai, luminoso come offesa
senz'esserlo
e fluttui.
Lui,
ora sì
nume nuovo e vate,
non può salvarti
pugna prossimo
a creatura disperata:
è tornato sul crinale
a soccorrere la morte
a distrarla,
se morte vorrà
ad includerla nell'harem
e sorseggia lento
esattamente parallelo
il sentire del superato.
Splende inesorabile
nel crepuscolo
|
La seconda del dittico.
la
disciplina del dolore (ripples)
...fu il tuo compagno di giochi
grande
a dirtelo anni dopo,
quello invisibile (non a te)
nell'innocente aria del mattino
in attesa, crespa appena,
delle tue movenze di bambina:
L'inseguivi inseguita
giocosa e vasta in piangrande,
(ti) sedeva accanto
in anticamera dal sentore
metafisico d'osteria
più che di bar (e latte munto appena).
Nel lasciarti aver gioia
paura
ne aveva per te
Lui che sapeva e che dispone.
<<c'è un altro immenso alfabeto
un'altra grammatica
da scrivere, un discanto...>>
suggerì molto tempo dopo
ed eri lì
lì per respingerLo
dal tuo piccolo inferno già evidente
ché, pensasti, tace sacrificio e dolore
l'utilità degli eventi (correggeresti oggi)
per provarmi ancor più.
Ma ti riempì
d'improvviso, ugualmente;
sua la potenza che
s'insinuò in te come avambraccio
nella manica
e tesa fosti come mano e lieta
nel risonare dell'esile voce (tua)
con grazia che intendevi sepolta
spesa a salvare
senza ottener per se
certezza di guado senza danno.
così Lui volle
così venni
ascoltandoti suo canto
e trasalimmo in quel <<impossibile!>>
monito e insieme lusinga
d'estreme cesure,
irrotto le brevi estasi
a sbigottire.
Tra i rovesci del (Suo) fastoso
arabesco in tempesta
mirato insieme da sponde contigue
-troppo vasto ed
irresolvibile ai solitari
senza che a resa pensino
senza che intento
di riconsegnarsi a Lui
abiti questi languidi
cercatori
di sollievo-
sorsero cardini nuovi (o vecchi e mai visti),
sublimò
quel frettoloso smarrirsi ridicolo
nella luce da pomeriggio estivo
che vacillò compunto
l'assennato zelante Febbraio
identico da secoli,
persuadendolo una volta
soltanto (quella basta)
di falsa imminenza d'Agosto.
Abbiamo amato già
(per come gli umani intendono)
e dato
a chi poco importa, poiché
perfezione non conta (per i più)
se argina il tempo
che vi brilli eroe o,
tesa all'infinito,
superi fragile (tale è, sempre, la perfezione)
lo stantio.
Ma sfiorarsi è stato
un anticipato trasalir di Paradiso
un destar brama, che accende,
di conoscere il Progetto
e come si componga tra i vivi
disegno tanto inaudito
da lambire la colpa
se non ben compreso.
A stati ignoti (solo quelli agognati intravediamo)
corriamo incontro,
ben fioco lume stringendo
tra le belle falangi,
ché purezza a volte non basta
né credito di sorte,
ci parte solo il bene (da fare)
e precariamente,
dall'ovvia soluzione
provvida, matura
già sorella:
Morte.
[Febr. 2004]
|
Polve
moviamo
da greti asciutti e devastati campi
convergiamo
da pugna cieca, silente
maggesi dall'infette premesse
temiamo celino l'inizio nostro
e notizie.
ma agitiamo il cuore i pulviscoli a governare
guatando irati
varchi di vuoto e addensamenti procuriamo
e parci da poco
l'ordine cosmico
guidato con verga, dettato
dal raggio di luce:
sorbito
dall'amara fratellanza di talami disusati
denuda dal segreto Speranza tremebonda, canuta,
mentre misura le stanze nostre
piene di vuoto
ritta e splendente a tratti, sovente obliqua
ansante.
per noi, soli...
esiste?
Apr. 2002
|
Ad Afrodite
...ali
e strepiti di rondini ardimentose
sfrecciavano sfidandosi tra i filari,
destando Bacco pria del tempo per la festa.
al giuoco, dai campestri fili tesi
spaziava la nobile tortora
col bonario sguardo e canzonando
chiedea per loro venia.
clamoroso il fagiano s'alzò
all'addensarsi palpabile
della mia cura per te
volando impaurito
inconsapevole messaggero...
Lug. - Ago. 2003
|
Unità
cure
a te mute
vagano per l'anima
in quiete,
pendagli oscuri
al tuo sguardo
legacci...
sono inseparabili
da me
mistica unica
che si frange
in folla di rivoli,
alcuni miserrimi,
nel pudore radiosi
all'intatta essenza
socchiusi.
solo la dissipanda materia
ne diparte stanca
com'è utile,
scritto inesorabilmente
sin da calcinati
tempi e polverosi.
omette,
il tuo elenco finito d'elementi
ti macchia d'infamia frettolosa
trasandata,
d'opulenta povertà.
io guardo
all'Unità in sé,
mai ubriaco
nell'osteria dei perché...
Gen. 2004
|
Relazioni di natura
alzo lo sguardo o
svolto
dopo tempo,
c'è fresca coltre lassù
ristoro remoto
degli occhi
sollievo dell'anima,
purezza
candido nume
tuoni
all'offesa pedestre,
ciò ch'è grande
lo è già
lo è di più,
senza toccare
A Monica Gen 2004
|
Eugenia
c'è sospiro di flauto o nota di liuto
e fragore di zoccoli in acqua bassa di guado
c'è tempo umiliato
da fulminea alborada di cuore imponente,
in pertugio scansato
ché ragione non scopra
e neppure sorgente,
crepitio d'innocua mitraglia
né domus, né nenia!
grido invitto di vita c'è
nel chiamarti a sera...
Eugenia
|
San
Valentino (l'altro)
ho ascoltato Pablo,
Monique,
ed abbiamo deciso:
ti prenderemo per mano.
supplenti e premurosi
al tuo amore grande
(che verrà, e ti vorrà
integra altera e dolce)
saremo vaghi nel Foro,
con te
stupiti e teneri al Gianicolo
sotto i pini d'Ottorino.
cantori con ogni tempo e
per sempre (se servirà)
d'alito divino,
di legioni vittoriose
in terra
ma vinte dall'altare,
di un vescovo:
Valentino.
|
marinamara (Sandra al mare)
pace salmastra,
anima sofferente,
sentire bambino
di cuore porcospino,
pensiero cangiante...
ma di gigante.
Lug. 2002
|
petite messe de Novembre
la mattina del settimo giorno
d'Abruzzo ho salutato i vecchi
carezzando lento del gran monolite
fianchi magre cenge e picchi,
trascinato da debito di fatica
con gioia colto infinito.
asceta imperfetto
tornerò a lambire
gli sguardi,
la casta povertà
di meraviglia condita:
nei nostri più intimi
pressi e ne' suoi
c'è già e c'era...
tempo senza inizio,
sentor di Tutto
|
Logos
è il miglior rivolgersi a te
questo doloroso non rispondere
avvezza al ronzio ondeggiante
di feritori amati, a me no
vigile ché paura non celi rombo
distolta o innocente, non so.
di dimensioni priva creatura
serbati per me e la meraviglia
ché la fortuna s'oppone a chi per
breve via fa di conto e piglia.
|
Anacronismo sciocco
Sacrifici d'anime
sarmenti fumanti,
a nulla vale l'insolente decreto
se Primavera non è nell'aere
ne' tempi scellerati
non giova il feticcio dell'istante
l'inutile presidio d'uteri vuoti...
Il futuro salvifico
germoglierà illogico
oltre il baratro dopo la mattanza,
come già il passato rotondo
si farà elegia inscalfibile:
nel risveglio vibrando da monasteri nuovi
dall'alto di merli invisibili
etere crespo di note
requiem di sprezzo
per la Menzogna.
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L'Autunno marchigiano dalla
collina
Radi tetti pigri
senza offenderlo
si contendono lo spazio
sino all'orizzonte,
qui ondulato baluardo
che a stento governa
il desiderio del colore celeste
di straripare
nelle campagne silenti e spoglie,
in petto agli uomini
che di Natura ancor colgono...
il verso.
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In
morte di Natale.
t'ho sempre pensato a guisa di casa,
inamovibile e necessario
come le pietre di volta coerenti
a quest'ombroso borgo
e desolato
parola di remoti pensatori
solo sfiorò i focolari
ch'eri giovinetto
subitanea, vagabonda,
da oggi senz'esito
non è la feroce ordinarietà
lenta dell'esistenza
ad avvizzirmi in quest'ora
ma il destino
della tua saggezza concreta,
non ancora
succube e salva preda
di codice alcuno,
pur recante già il germe
per grave colpa in grave bilico,
non ancora riconosciuta
e già morente
destinata alle nebbie
all'ade, ancora...
E voi qui,
senza saperlo,
senza Sapere ch'è eterno
aspettate ciechi un altro ritorno,
in luoghi d'altra greggia
v'aggregate.
oh! liturgia sciatta:
scialo di menti,
di tempi
di memoria...
Natale era un montanaro dell'Appennino abruzzese, alunno di
mia nonna -una
"ragazza" del '99- che giunse da maestra "d'assalto" in quei luoghi
inospitali a dorso di mulo nei primi anni del '900 e l'ebbe come alunno.
Entrambi non ci sono più da qualche anno "In morte di Natale" è per mia
nonna
ed il suo inconsueto scolaro, un omaggio intriso di tristezza per un atto di
reciproco eroismo -la missione di chi trasmette la conoscenza ed il
sacrificio di chi la riceve...- passato inosservato a causa della sua
"normalità".
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