Pedro Salinas

Pedro Salinas nasce a Madrid, il 27 novembre 1891 e vi trascorre la prima giovinezza. Dopo due anni di studi in Legge, si iscrive alla facoltà di Lettere, e consegue la laurea di letteratura spagnola.Già nel 1911 pubblica i suoi primi versi, poi rinnegati come "raccapriccianti". Nel 1914 inizia a viaggiare, tenendo lezioni presso le principali istituzioni universitarie europee. Nel 1915 si sposa. Rimane tre anni a Parigi come lettore di spagnolo alla Sorbona; al rientro in patria vince un concorso per la cattedra di lingua e letteratura spagnola e opta per la sede di Siviglia dove insegnerà per nove anni. Tra il '22 e il '23 è a Cambridge per otto mesi come visiting professor, e sempre nel '2 esce la sua traduzione di Proust, "En busca del tiempo perdido". Nel '28 si trasferisce i a Madrid, presso il Centro di Studi Storici. Nel '36 parte per gli Stati Uniti per un temporaneo incarico, ma non tornerà più in patria. Massachusetts, Vermont, Baltimora California, Puerto Rico, sono alcuni dei luoghi in cui si reca per insegnare e per tenere conferenze sulla poesia e la realtà nella letteratura spagnola. Morirà a Boston, il 4 novembre 1951. I suoi resti riposano nell'antico cimitero di Santa Maddalena, a San Juan de Puerto Rico, accanto al mare che cantò nel poema El Contemplado. Collaboratore delle principali riviste letterarie spagnole ("España", "Prometeo", "Revista de Occidente") è stato amico di tutti i grandi scrittori, poeti e intellettuali della sua epoca, da Unamuno a Valle Inclán, da Machado a Ortega y Gasset, García Lorca, Rafael Alberti, Juan Ramón Jiménez.

"Al di là di te ti cerco.

Non nel tuo specchio

e nella tua scrittura,

nella tua anima nemmeno.

Di là, più oltre."

 

Io di più non posso darti. Perdonami se ti cerco così La voce a te dovuta Non voglio che tu te ne vada,

(Non respingere i sogni perché sono sogni)

Eterna presenza
Il bacio che non ti ho dato  Se mi chiamassi... Quello che sei Dietro ti cerco.. A te si arriva Che allegria, vivere

 

 

 

 

 

 

 

Io di più non posso darti.

Non sono che quello che sono.

 

Ah, come vorrei essere

sabbia, sole, in estate!

Che tu ti distendessi

riposata a riposare.

Che andando via tu mi lasciassi

il tuo corpo, impronta tenera,

tiepida, indimenticabile.

E che con te se ne andasse

sopra di te, il mio bacio lento:

colore,

dalla nuca al tallone,

bruno.

 

Ah, come vorrei essere

vetro, tessuto, legno,

che conserva il suo colore

qui, il suo profumo qui,

ed è nato tremila chilometri lontano!

Essere

la materia che ti piace,

che tocchi tutti i giorni,

che vedi ormai senza guardare

intorno a te, le cose

- collana, profumi, seta antica -

di cui se senti la mancanza

domandi: “Ah, ma dov’è?”

 

Ah, e come vorrei essere

un’allegria fra tutte,

una sola,

l’allegria della tua allegria!

Un amore, un solo amore:

l’amore di cui tu ti innamorassi.

 

Ma

non sono che quello che sono.

 

 

 

 

Perdonami se ti cerco così

goffamente, dentro

di te.

Perdonami il dolore, qualche volta.

E’ che da te voglio estrarre

il tuo migliore tu.

Quello che non vedesti e che io vedo,

immerso nel tuo fondo, preziosissimo.

E afferrarlo

e tenerlo in alto come trattiene

l’albero l’ultima luce

che gli viene dal sole.

E allora tu

verresti a cercarlo, in alto.

Per raggiungerlo

alzata su di te, come ti voglio,

sfiorando appena il tuo passato

con le punte rosate dei tuoi piedi,

tutto il corpo in tensione d’ascesa

da te a te.

E allora al mio amore risponda

la creatura nuova che tu eri.

 

La voce a te dovuta

Il modo tuo d'amare è lasciare che io ti ami.
Il sì con cui ti abbandoni è il silenzio.
I tuoi baci sono offrirmi le labbra perchè io le baci.
Mai parole o abbracci mi diranno che esistevi e mi hai amato: mai.
Me lo dicono fogli bianchi, mappe, telefoni, presagi; tu, no.
E sto abbracciato a te senza chiederti nulla,
per timore che non sia vero che tu vivi e mi ami.
E sto abbracciato a te senza guardare e senza toccarti.
Non debba mai scoprire con domande, con carezze,
quella solitudine immensa d' amarti solo io.

Non voglio che tu te ne vada,


dolore, ultima forma
di amare. Mi sento
vivere quando mi fai del male
non in te, né qui, più lontano:
nella terra, nell'anno
da dove vieni tu,
nell'amore con lei
e tutto ciò che fu.
In questa realtà
sprofondata, che si nega
a se stessa e si ostina
che mai è esistita,
che fu solo un mio pretesto
per vivere.
Se non mi rimanessi tu,
dolore, incontrastabile,
io lo crederei;
però mi rimani tu .
Che tu sia realtà mi da la sicurezza
che niente fu menzogna.
E fin quando io ti sento,
tu sarai per me, dolore,
la prova di un'altra vita,
in cui non mi affliggevi.
La grande prova, a distanza,
che esistette, che esiste,
che mi amò, sì,
che ancora la amo.

 

 

 

Eterna presenza

Non importa che non ti abbia,
non importa che non ti veda.
Prima ti abbracciavo,
prima ti guardavo,
ti cercavo tutta,
ti desideravo intera.
Oggi non chiedo più
né alle mani, né agli occhi,
le ultime prove.
Di starmi accanto
ti chiedevo prima,
sì, vicino a me, sì,
sì, però lì fuori.
E mi accontentavo
di sentire che le tue mani
mi davano le tue mani,
che ai miei occhi
assicuravano presenza.
Quello che ti chiedo adesso
è di più, molto di più,
che bacio o sguardo:
è che tu stia più vicina
a me, dentro.
Come il vento è invisibile, pur dando
la sua vita alla candela.
Come la luce è
quieta, fissa, immobile,
fungendo da centro
che non vacilla mai
al tremulo corpo
di fiamma che trema.
Come è la stella,
presente e sicura,
senza voce e senza tatto,
nel cuore aperto,
sereno, del lago.
Quello che ti chiedo
è solo che tu sia
anima della mia anima,
sangue del mio sangue
dentro le vene.
» che tu stia in me
come il cuore
mio che mai
vedrò, toccherò
e i cui battiti
non si stancano mai
di darmi la mia vita
fino a quando morirò.
Come lo scheletro,
il segreto profondo
del mio essere, che solo
mi vedrà la terra,
però che in vita
è quello che si incarica
di sostenere il mio peso,
di carne e di sogno,
di gioia e di dolore
misteriosamente
senza che ci siano occhi
che mai lo vedano.
Quello che ti chiedo
è che la corporea
passeggera assenza,
non sia per noi dimenticanza,
né fuga, né mancanza:
ma che sia per me
possessione totale
dell'anima lontana,
eterna presenza.

(Largo lamento)

 

 

 

 

 

(Non respingere i sogni perché sono sogni)

Non respingere i sogni perché sono sogni.
Tutti i sogni possono
essere realtà, se il sogno non finisce.
La realtà è un sogno. Se sogniamo
che la pietra è pietra, questo è la pietra.
Ciò che scorre nei fiumi non è acqua,
è un sognare, l'acqua, cristallina.
La realtà traveste
il sogno, e dice:
"Io sono il sole, i cieli, l'amore".
Ma mai si dilegua, mai passa,
se fingiamo di credere che è più che un sogno.
E viviamo sognandola. Sognare
è il mezzo che l'anima ha
perché non le fugga mai
ciò che fuggirebbe se smettessimo
di sognare che è realtà ciò che non esiste.
Muore solo
un amore che ha smesso di essere sognato
fatto materia e che si cerca sulla terra.

(Largo lamento)

 

Il bacio che non ti ho dato 

Ieri ti ho baciato sulle labbra. 
Ti ho baciato sulle labbra. 
Intense, rosse. 
Un bacio così corto durato più di un lampo, 
di un miracolo, 
più ancora. 
Il tempo 
dopo averti baciato 
non valeva più a nulla ormai, 
a nulla era valso prima. 
Nel bacio il suo inizio e la sua fine. 
Oggi sto baciando un bacio; 
sono solo con le mie labbra. 
Le poso non sulla bocca, 
no, non più - dov'è fuggita? 
Le poso sul bacio che ieri ti ho dato, 
sulle bocche unite dal bacio che hanno baciato. 
E dura, questo bacio più del silenzio, della luce. 
Perchè io non bacio ora 
né una carne né una bocca, 
che scappa, che mi sfugge. 
No. Ti sto baciando più lontano. 
 

Se mi chiamassi...

Se mi chiamassi, sì,
se mi chiamassi. 
Io lascerei tutto,
tutto io getterei:
i prezzi, i cataloghi,
l'azzurro dell'oceano sulle carte,
i giorni e le loro notti,
i telegrammi vecchi
ed un amore.
Tu, che non sei il mio amore,
se mi chiamassi! 
E ancora attendo la tua voce:
giù per i telescopi,
dalla stella,
attraverso specchi e gallerie
ed anni bisestili può venire. 
Non so da dove.
Dal prodigio, sempre.
Perché se tu mi chiami
- se mi chiamassi, sì, se mi chiamassi -
sarà da un miracolo,
ignoto, senza vederlo. 
Mai dalle labbra che ti bacio,
mai dalla voce che dice: 
"Non te ne andare". 

 

 

 

 

 

 

Quello che sei

Quello che sei
mi distrae da quello che dici. 
Lanci parole veloci,
pavesate di risa,
invitandomi
ad andare dove mi porteranno.
Non ti presto attenzione, non le seguo:
sto guardando
le labbra da cui sono nate. 
Intanto guardi lontano.
Fissi lo sguardo laggiù,
non so in cosa, e già si precipita
a cercarlo la tua anima
affilata, come saetta. 
Io non guardo dove guardi:
io ti vedo guardare. 
E quando desideri qualcosa
non penso a quello che vuoi
né lo invidio: è il meno.
Ciò che ami oggi, lo desideri;
domani lo dimenticherai per un nuovo amore.
No. 
Ti aspetto oltre qualsiasi fine o termine
in ciò che non deve succedere.
Io resto nel puro atto del tuo desiderio, 
amandoti.
E non voglio altro 
che vederti amare. 

 

 

 

 

 

 

Dietro ti cerco..

Sì, dietro alla gente ti cerco.
Non nel tuo nome, se lo dicono,
non nella tua immagine, se la dipingono.
Dietro, dietro, oltre. 
Dietro a te ti cerco.
Non nel tuo specchio, non nelle tue parole,
né nella tua anima.
Dietro, oltre. 
Dietro ancora, 
più indietro di me ti cerco.
Non sei quello che io sento di te,
non sei ciò che palpita con sangue mio nelle vene,
senza che sia io.
Dietro, oltre ti cerco. 
Per averti incontrato, 
smettere di vivere in te, e in me,
e negli altri.
Vivere ormai dietro a ogni cosa,
dall'altra parte di ogni cosa
-per averti incontrato-,
come se fosse morire.

 

A te si arriva

A te si arriva solo attraverso te. 
Ti aspetto. 
Io sì che so dove mi trovo,
la mia città, la via, il nome
con cui tutto mi chiamano.
Però non so dove sono stato con te.
Là mi hai portato tu. 
Come avrei imparato la strada
se non guardavo nient'altro che te,
se la strada era dove tu andavi,
e la fine fu quando ti sei fermata?
Che altro poteva esserci 
più di te che ti offrivi, guardandomi? 
Però adesso che esilio, 
che mancanza,
e lo stare dove si sta.
Aspetto, passano i treni,
i destini, gli sguardi.
Mi porterebbero dove non sono stato mai. 
Ma io non cerco nuovi cieli.
Io voglio stare dove sono stato.
Con te, ritornarci.
Che intensa novità,
ritornare un'altra volta,
ripetere mai uguale
quello stupore infinito.
E fino a quando non verrai tu
io resterò sulla sponda
dei voli, dei sogni,
delle stelle, immobile.
Perché so che dove sono stato
non portano né ali, né ruote, né vele.
Esse vagano smarrite.
Perché so che dove sono stato con te
si va solo con te, attraverso te. 

Che allegria, vivere

e sentirsi vissuto.

Arrendersi

alla grande certezza, oscuramente,

che un altro essere, fuori di me, molto lontano

mi sta vivendo.

Che quando gli specchi, le spie,

mercurio, anime brevi, confermano

che sono qui, io, immobile,

serrati gli occhi e le labbra,

chiuso all'amore

della luce, del fiore e dei nomi,

la verità transvisibile è che cammino

senza i miei passi, con altri,

là lontano, e lì

sto baciando fiori, luci, parlo.

Che esiste un altro essere con cui io guardo il mondo

perchè sta amandomi con i suoi occhi.

Che esiste un'altra voce con cui io dico cose

non sospettate dal mio gran silenzio;

ed è che anche mi ama con la sua voce.

La via - che slancio ora! -, ignoranza

degli atti miei, che lei compie,

in cui lei vive, duplice, sua e mia.

E quando lei mi parlerà

di un cielo scuro, di un paesaggio bianco,

ricorderò

stelle che non ho visto, che lei guardava,

e neve che nevicava nel suo cielo.

Con la strana delizia di ricordare

di aver toccato ciò che non toccai

se non con quelle mani

che non raggiungo con le mie, tanto distanti.

E spogliato di sé potrà il mio corpo

riposare, tranquillo, morto ormai. Morire

nell'alta certezza

che questo viver mio non era solo

il mio vivere: era il nostro. E che mi vive

un altro essere di là della non morte.

 

- Pedro Salinas: La voce a te dovuta, 1933 -

 

 

 

La proprietà letteraria è dell'autore. Ogni riproduzione è vietata.

 

Home page  |  L'autrice del sito  Le pagine del sito