COLLINE MARCHIGIANE | NON RECIDERE FORBICE.. | INQUIETUDINE COME SOLITUDINE | LA STRADA STERRATA |
A LATO (A Camillo SBARBARO) |
CLIZIA Io lo so che mi perdo anche dentro lo specchio ristretto di una polla sorgiva, dove l'acqua increspata riflette nubi a correre in cielo. E lo so che mi annego anche dentro il tuo sguardo di donna, al frusciar di una gonna, all'idea che per capo mi frulla, a una dolce illusione da nulla. Io lo so che mi perdo per gioco anche dentro la trama conclusa d'uno stralcio di sogno, di una dolce promessa delusa. Libreria Mezzaterra, in vetrina mi sorride il Montale di Lettere a Clizia, copertina che ripaga di rosa l'attesa di te che ti specchi e riflessa mi regali uno sguardo improvviso e un sorriso. A ogni agosto, quando il sole arroventa i selciati, io risalgo quell'erta che porta alla Piazza Maggiore su in alto, che indovino dai voli impazziti di rondini e ricerco il tuo sguardo raddoppiato nei vetri e mi sembri tornata mia Clizia, vaghissimo sogno incosciente che porti negli occhi il prodigio di un lampo d'azzurro e nel riso un'ipotesi vaga d'amore, una dolce promessa di niente.
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A LATO (A Camillo SBARBARO) E io vado avanti, ma solo rispetto alle cose che dico e che scrivo, non so verso dove, ma altrove. Di là dal filare ordinato dei verdi cipressi a bordare la strada sterrata tra i campi. Ed io vado avanti a sfidare la linea precisa del blu, il vasto orizzonte sul mare. Le cose da fare molteplici e tante. Ed io vado avanti. Se penso, capisco e davvero insensata mi pare, la voglia di andare, inutile e vano il bisogno di fare, se quello che cerco è racchiuso nel breve perimetro chiuso di questa mia stanza che guarda su strade affollate di gente che corre e non sa camminare. Io devo al più presto trovare un luogo per stare appartato, col mio libro in mano. Ch'io possa incontrarmi con quelle che amo, le pagine care che parlano al cuore. Se Sbarbaro scrive di scialbe passioni, emozioni frenate, delusi pensieri, Camillo i tormenti di ieri somigliano ai miei, quasi uguali. A modi da tempo esplorati, a righe che paiono gocce stillate da un mite malessere lieve, dal peso di vivere a lato; sentire ma senza patire uno stato di veglia cosciente, un'assenza presente, un molle adagiarsi sull'onda sfinita del niente.
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"NON RECIDERE FORBICE.."
La forbice del tempo non recida l'archétipo che m'abita la mente. Forma imprecisa la mia idea di casa a galleggiare nell'evanescenza. Una, di vento, casa a primavera e la sua voce un sibilo di fune, il cavo teso dove scorre il cane. In controluce intonaci corrosi su sfondi quasi azzurro verderame come le vigne dopo la fattura e rumorosa di eserciti di grilli e di cicale e fresca d'ombra. Il portico un uguale rifugio di galline e addormentati i gatti come pelli disseccate. La casa é muri, intonaci, colori, porte, finestre, mobili e camini. Le case hanno le porte per entrare e le finestre per guardare fuori.. Avrò altre case o forse più nessuna, mi basta quella che so immaginare. La mia segreta casa-luna come un veliero sembra navigare in certe notti dalla luce chiara e sa del mare come il maroso, l'onda, la risacca. La casa é come pelle abbandonata di serpe nell'intrico dei roveti, é guscio di cicala che si spacca. La casa é come un nido di pensieri imprigionati al buio di un sacrario come il ricordo di chi fu più amato racchiuso dentro un'urna cineraria. Così la vita mia di casa in casa si perde nell'idea del "già veduto". L'archetipo di casa che mi assilla é il centro di me stesso, il mio ombelico, l'ipotesi iniziale, la scintilla. "Non recidere forbice..." la mia idea di casa, quella che mi assilla.
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INQUIETUDINE COME SOLITUDINE Inquietudine quasi un galleggiare senza sapere come in uno stagno verde, senza nome. Restare a galla, senza respirare, muoversi adagio e mettersi supino a pelo d'acqua e con in viso il sole. E non vedere nulla oltre le nubi, nient'altro che altro cielo e un infinito vuoto che si perde. Il Dio che cerco non lo ritrovo dove ho immaginato e te che ho amato e te... tu non mi guardi di tra le nubi ed io non so vederti perché non sei come non c'é chi muore. Di te soltanto un pizzico di polvere rappresa disciolta in un istante al centro d'un rigagnolo di fango. Essere soli come solitudine, un suono di parola per socchiudere la porta all'inquietudine. Non mi rimane più che questo stare qui dove resto fermo ad aspettare il sole che si affaccia all'orizzonte o che precipita nel fondo di questo stagno verde in cui mi perdo. Io resto a galla senza respirare, non so nemmeno come. |
COLLINE MARCHIGIANE Io lo regalo a te questo di colli paesaggio perfettissimo. L'avessi con le mie mani disegnato almeno. Vorrei mi appartenesse veramente la precisione delle partiture, le striscie scure delle terre arate, le superfici d'oro del frumento a volte tormentate da un'improvvisa raffica di vento e il rosso dei papaveri a incendiare prode di fossi e girasoli gialli tutti rivolti come visi al sole. Alberi radi ed ordinate vigne allineate sulle mulattiere e le terrazze a secco e i santi ulivi a fare di metallo le pendici. E tu che dici: io benedico amore quel che sei questo tuo modo di parlare al vento, agli stormi dei passeri del cielo e discorrere a volte con le nubi e gareggiare coi gorgogli verdi dell'acqua dei torrenti. Non sei chi sa combattere col fuoco, chini la testa e abbassi un po' la voce ed ogni giorno in più fa tu assomigli a questa scena quieta di colline, al mùrmure dell'aria tra le foglie. |
LA STRADA STERRATA Drammatico il cielo di marzo se piove. Il vento furioso che spinge le nuvole in cielo ne forma dei cumuli strani giù in fondo. Dei mucchi che paiono colli, montagne o castelli, talvolta dirupi scoscesi, talaltra creature perverse, dei mostri. Ma é solo paura di un bimbo che guarda affacciato da dietro a una trina scostata. La mamma che arriva, se arriva, compare da dietro quei tigli all'ultima curva, là dove la strada sterrata si stacca dal nastro d'asfalto e traversa la linea ferrata. La mamma che arriva, se arriva, avrà nel cestino un regalo. La sua bicicletta non torna mai vuota. Ma quello che conta é che torni la mamma... se torna. Lei sola sa accendere il fuoco, curare la fiamma e aggiungere legna se occorre. Lei sola sa dove si tiene il petrolio del lume. E' lei che sa dire preghiere e bruciare il ramo d'ulivo al primo rimbombo di tuono. E sa medicare ferite, scacciare paure e fare la cena al suo arrivo, se arriva. Si passa la vita a guardare da dietro a una tenda scostata qualcuno che faccia del mondo la scena di un dramma risolto. Si aspetta da sempre che torni una mamma. Che dietro la curva riappaia chi possa sventare timori ed inganni La trina sui vetri nasconde, pietosa, il nostro tormento finale. Nessuno che arrivi da dietro la curva d'un'altra diversa od uguale, tristissima, strada sterrata. |
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