"Rodolfo Vettorello"

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COLLINE MARCHIGIANE NON RECIDERE FORBICE.. INQUIETUDINE COME SOLITUDINE LA STRADA STERRATA

CLIZIA

A LATO
(A Camillo SBARBARO)

 

 

CLIZIA

Io lo so che mi perdo
anche dentro lo specchio ristretto
di una polla sorgiva,
dove l'acqua increspata riflette
nubi a correre in cielo.
E lo so che mi annego
anche dentro il tuo sguardo di donna,
al frusciar di una gonna,
all'idea che per capo mi frulla,
a una dolce illusione da nulla.
Io lo so che mi perdo per gioco
anche dentro la trama conclusa
d'uno stralcio di sogno,
di una dolce promessa delusa.
Libreria Mezzaterra, in vetrina
mi sorride
il Montale di Lettere a Clizia,
copertina
che ripaga di rosa l'attesa
di te che ti specchi
e riflessa
mi regali uno sguardo improvviso
e un sorriso.
A ogni agosto,
quando il sole arroventa i selciati,
io risalgo quell'erta
che porta
alla Piazza Maggiore su in alto,
che indovino
dai voli impazziti di rondini
e ricerco il tuo sguardo
raddoppiato nei vetri
e mi sembri tornata
mia Clizia,
vaghissimo sogno incosciente
che porti negli occhi il prodigio
di un lampo d'azzurro
e nel riso
un'ipotesi vaga d'amore,
una dolce promessa di niente.


 

 

 

A LATO (A Camillo SBARBARO)

E io vado avanti,
ma solo
rispetto alle cose
che dico e che scrivo,
non so verso dove,
ma altrove.
Di là dal filare ordinato
dei verdi cipressi a bordare
la strada sterrata tra i campi.
Ed io vado avanti
a sfidare
la linea precisa del blu,
il vasto orizzonte sul mare.
Le cose da fare
molteplici e tante.
Ed io vado avanti.
Se penso, capisco
e davvero insensata mi pare,
la voglia di andare,
inutile e vano
il bisogno di fare,
se quello che cerco è racchiuso
nel breve perimetro chiuso di questa
mia stanza che guarda
su strade affollate
di gente che corre e non sa
camminare.
Io devo al più presto trovare
un luogo per stare appartato,
col mio libro in mano.
Ch'io possa incontrarmi
con quelle che amo,
le pagine care che parlano al cuore.
Se Sbarbaro scrive
di scialbe passioni, emozioni
frenate, delusi pensieri, Camillo
i tormenti di ieri
somigliano ai miei, quasi uguali.
A modi da tempo esplorati,
a righe che paiono gocce
stillate da un mite malessere lieve,
dal peso di vivere a lato;
sentire
ma senza patire uno stato
di veglia cosciente,
un'assenza presente,
un molle adagiarsi sull'onda
sfinita del niente.
 

 

 

"NON RECIDERE FORBICE.."

La forbice del tempo non recida
l'archétipo che m'abita la mente.
Forma imprecisa la mia idea di casa
a galleggiare nell'evanescenza.
Una, di vento, casa a primavera
e la sua voce un sibilo di fune,
il cavo teso dove scorre il cane.
In controluce intonaci corrosi
su sfondi quasi azzurro verderame
come le vigne dopo la fattura
e rumorosa
di eserciti di grilli e di cicale
e fresca d'ombra. Il portico un uguale
rifugio di galline e addormentati
i gatti come pelli disseccate.
La casa é muri, intonaci, colori,
porte, finestre, mobili e camini.
Le case hanno le porte per entrare
e le finestre per guardare fuori..
Avrò altre case o forse più nessuna,
mi basta quella che so immaginare.
La mia segreta casa-luna
come un veliero sembra navigare
in certe notti dalla luce chiara
e sa del mare
come il maroso, l'onda, la risacca.
La casa é come pelle abbandonata
di serpe nell'intrico dei roveti,
é guscio di cicala che si spacca.
La casa é come un nido di pensieri
imprigionati al buio di un sacrario
come il ricordo di chi fu più amato
racchiuso dentro un'urna cineraria.
Così la vita mia di casa in casa
si perde nell'idea del "già veduto".
L'archetipo di casa che mi assilla
é il centro di me stesso, il mio ombelico,
l'ipotesi iniziale, la scintilla.
"Non recidere forbice..." la mia
idea di casa, quella che mi assilla.

 

 

 

INQUIETUDINE COME SOLITUDINE

Inquietudine quasi un galleggiare
senza sapere come
in uno stagno verde, senza nome.
Restare a galla, senza respirare,
muoversi adagio e mettersi supino
a pelo d'acqua e con in viso il sole.
E non vedere nulla oltre le nubi,
nient'altro che altro cielo
e un infinito vuoto che si perde.
Il Dio che cerco
non lo ritrovo dove ho immaginato
e te che ho amato e te...
tu non mi guardi
di tra le nubi ed io non so vederti
perché non sei come non c'é chi muore.
Di te soltanto
un pizzico di polvere rappresa
disciolta in un istante
al centro d'un rigagnolo di fango.
Essere soli come solitudine,
un suono di parola per socchiudere
la porta all'inquietudine.
Non mi rimane più che questo stare
qui dove resto fermo ad aspettare
il sole che si affaccia all'orizzonte
o che precipita nel fondo
di questo stagno verde
in cui mi perdo.
Io resto a galla senza respirare,
non so nemmeno come.
 
COLLINE MARCHIGIANE

Io lo regalo a te questo di colli
paesaggio perfettissimo. L'avessi
con le mie mani disegnato almeno.
Vorrei mi appartenesse veramente
la precisione delle partiture,
le striscie scure delle terre arate,
le superfici d'oro del frumento
a volte tormentate
da un'improvvisa raffica di vento
e il rosso dei papaveri a incendiare
prode di fossi e girasoli gialli
tutti rivolti come visi al sole.
Alberi radi ed ordinate vigne
allineate sulle mulattiere
e le terrazze a secco e i santi ulivi
a fare di metallo le pendici.
E tu che dici: io benedico amore
quel che sei
questo tuo modo di parlare al vento,
agli stormi dei passeri del cielo
e discorrere a volte con le nubi
e gareggiare coi gorgogli verdi
dell'acqua dei torrenti.
Non sei chi sa combattere col fuoco,
chini la testa e abbassi un po' la voce
ed ogni giorno in più fa tu assomigli
a questa scena quieta di colline,
al mùrmure dell'aria tra le foglie.
 
LA STRADA STERRATA

Drammatico il cielo di marzo
se piove.
Il vento furioso
che spinge le nuvole in cielo
ne forma dei cumuli strani
giù in fondo.
Dei mucchi che paiono colli,
montagne o castelli,
talvolta dirupi scoscesi,
talaltra creature perverse,
dei mostri.
Ma é solo paura di un bimbo
che guarda affacciato
da dietro a una trina scostata.
La mamma che arriva,
se arriva, compare
da dietro quei tigli
all'ultima curva,
là dove la strada sterrata
si stacca
dal nastro d'asfalto e traversa
la linea ferrata.
La mamma che arriva,
se arriva,
avrà nel cestino un regalo.
La sua bicicletta non torna mai vuota.
Ma quello che conta
é che torni la mamma...
se torna.
Lei sola sa accendere il fuoco,
curare la fiamma
e aggiungere legna se occorre.
Lei sola sa dove si tiene
il petrolio del lume.
E' lei che sa dire preghiere
e bruciare
il ramo d'ulivo
al primo rimbombo di tuono.
E sa medicare ferite,
scacciare paure
e fare la cena al suo arrivo,
se arriva.
Si passa la vita a guardare
da dietro a una tenda scostata
qualcuno che faccia del mondo
la scena di un dramma
risolto.
Si aspetta da sempre
che torni una mamma.
Che dietro la curva riappaia
chi possa sventare
timori ed inganni
La trina sui vetri nasconde,
pietosa,
il nostro tormento finale.
Nessuno che arrivi
da dietro la curva
d'un'altra diversa od uguale,
tristissima,
strada sterrata.
 

 

 

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