Spartacus
i  suoi racconti

Te deum Un sorriso Grido di libertà Preghiera    

 

 

Te deum


Si sollevò lentamente da terra, l’elsa in pugno
della spada spezzata, la corazza ricoperta di
sangue, di brandelli di carne.
Intorno a lui giacevano immoti a centinaia,
vittime di quella battaglia che sarebbe
dovuta esser l’ultima di una guerra senza tregua.
“Basta!” urlò, ma il grido gli si smorzò nella
gola trafitta da un dardo. E mentre cadeva e
gli occhi si chiudevano rivide il bambino di un
tempo giocare nel bosco ed incontrare una nera
signora senza volto, la stessa che ora l’avvolgeva
nel mortale abbraccio. Si lasciò andare, stanco
d’orrori, di crani fracassati, di corpi infilzati,
e solo disse: pace, pace. E fu la pace, eterna,
l’unica in cui l’uomo può sperare.
Sulla collina schiere di cavalieri s’apprestavano
a ravvivare quell’ultima battaglia.  

 

 

 

 

 

Un sorriso


Da allora tanto tempo è trascorso,
il sole migliaia di volte è tramontato.
Fu un giorno che non ebbe la notte,
il cuore impazziva senza sapere il perché.
Ma nell’aria fresca del mattino mi
riscaldasti con il tuo sorriso:
un attimo lungo una vita,
giacché non l’ho mai più scordato.
Mai più ti rividi, né io ti cercai,
fu solo un sorriso, ma degli altri
che seguirono non ho più memoria.  

 

Grido di libertà


Fra le messi bionde già pronte ad esser colte,
mosse da un vento caldo d’estate che aumentava
l’arsura delle nostre gole, combattemmo fino a sera
contro forze soverchianti e professioniste della guerra.
I più fortunati di noi caddero con il gladio in mano,
raggiunsero la libertà che tanto avevamo agognato.
E quando il sole al tramonto arrossò di più la piana
insanguinata i pochi rimasti erano talmente stremati
che non riuscirono nemmeno a trafiggere se stessi.
In catene fummo portati all’Urbe e prima d’entrarvi
il supplizio ci fu assegnato: una lunga fila di croci
segnò la nostra fine e quella del nostro anelito.
Dall’alto, fra lo strazio delle carni dilaniate, la vista
già offuscata dalla morte incipiente, guardo voi
che passate ed un occhiata furtiva ci lanciate.
Ancora poco e per noi sarà la libertà: tenebre
si affacceranno all’intorno e Caronte ci porterà
ove tutti eguali sono, nel regno della pace.
Non invidio voi che accelerate il passo,
schiavi delle convenzioni, oppressi dal timore
di perdere quella che credete la libertà ed
invece è la dorata prigione del vostro essere,
la rinuncia alla vostra innata personalità.
Già incombe il buio della notte e nel silenzio
s’odono le parole strozzate di noi morenti
che si spengono con un unico terrificante grido:
“ Ecco la libertà”.   

 

 

Preghiera


In ginocchio, prostrato al suolo,
non ti chiedo nulla per me;
volgi il tuo sguardo in ogni dove,
cogli le urla laceranti di chi soffre
in silenzio; i loro occhi imploranti
sono il frastuono di una voce
senza parole, il respiro affannoso
di chi vive, senza vivere, le miserie
di ogni giorno, la disperazione
dell’immutabilità, l’angoscia della
rassegnazione, il sonno inerme
di un pianto senza lacrime.
Dai loro un segno, infondi
la speranza, falli sentire
tuoi figli più degli altri.   

        

 

 

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