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No Cris !
No Cris, questo non lo dovevi fare. Trecento pastiglie, per conquistare il nulla. Anche se la Natura ti era stata matrigna, Anche se la tua infanzia fu tribolata, Anche se la tua adolescenza, fu tumultuosa: questo non lo dovevi fare. Trecento pastiglie! Un concentrato di determinazione, un silenzioso urlo di protesta, un' azione di vendetta, meditata e fredda, contro l'Umanità. Non ti mancavano gli affetti. Quello di un padre educativo, forse troppo esigente. Ma tu fosti una santa? Quello di una madre volitiva, ma pure molto condiscendente, che ti avrebbe voluta a sua immagine e somiglianza. Quello di amici sinceri, disposti a darti una mano, per incoraggiarti ad accettare le controversie di una vita normale. Ma tu, coerente con l'imperfezione della tua natura, e tormentata nell' animo, pensavi di trovar sollievo, solo nel mare del negativo. Ma tu, della vita, hai abiurate le regole, di cui non coglievi i valori, perché il Cielo avrebbe dovuto servire la tua vanità e il tuo narcisismo. Hai programmato l'ultimo tuo viaggio, freddamente, meticolosamente, indifferente al vuoto che, crudelmente, avresti lasciato dietro di te. No, Cris! Non lo dovevi fare. Amaro è piangerti. Amaro è non rimpiangerti.
Milano, 1 Ottobre 2003 >
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CLAUDIO
Figlio mio. Nel momento in cui una Mano Taumaturgica, profanerà e fermerà il tuo Cuore, per risanarlo; pure il mio vecchio e stanco Cuore si fermerà, e vorrei, che più non si risvegliasse, se non, per assistere al tuo risveglio.
Milano, 13 Ottobre 2004. |
PAX
! O tu, che m'hai amato, sulla spoglia mortal, non pianger: il peggio, ormai, è passato! |
GRAZIE
GIOVANNA ! Milano, qui, oggi il giorno dopo, Franca ed io, siamo svuotati. Siamo incapaci di muoverci, di agire, tra le tante cose, da mettere a posto, in una città apocalittica, che non perdona ritardi. Non sappiamo cosa dirvi, per consolarvi, perché, per poter consolare, bisogna essere al di fuori, del dolore, e non compartecipi. Io dedico a te, queste parole di riconoscenza, a te che, con sconvolgente emozione, nell'estremo addio alla spoglia, del tuo amato Nonno, hai versato lacrime, anche per chi, presente, come me, non ha potuto, perché, gli occhi, avari, dopo tanti mesti ricordi, non hanno voluto obbedire, alle esigenze dell'animo. Dell'animo dove, come su pietra, scolpito rimane l'esempio, e il ricordo, degli uomini giusti. Mario lo era. |
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LA GRANDE AVVENTURA DEI TRE "GINGIVARI"
TRADUZIONE DELLE FRASI IN DIALETTO MILANESE Ciuccio, Ciappo e Cadreghì Son tre bimbi da pipì, Che hanno fatto per diletto, la casetta del Fiaschetto.
Ciappo or dice, lì per lì "Chi d'adess comandi mi!" Da questo momento, qui, comando io! Mentre Ciuccio, quatto, quatto, Scappa sopra, di soppiatto. Cadreghì invece resta, Fare il Re, è un crepacuore.". La lumaca Beciuccona, Prepotente e gran padrona, Alla porta del Fiaschetto, Bussa tosto, con sospetto: "Cadreghì, amico mio, La Befana sono io, Che regala, ai bimbi buoni, Caramelle e bei torroni.". "Vieni dentro e siedi lì." Dicon Ciappo e Cadreghì: "Non vogliamo zuccherini, Ma soltanto, dei soldini.". Beciuccona urla: "Nooo!" Dei soldini, non vi do!" Poiché siete cattivoni, Io vi suono sculaccioni!". Ed in men che non si dica, Incomincia la fatica: Pin! e pan! sui sederini, Dei tre discoli bambini. Quindi, presa dalla foga, Ella toglie, pur la toga, Poi con cura e gran talento, Sfascia tutto, in un momento. Beciuccona, trista e ria, Preda è ormai di tal follia, Che il Geniaccio suo cattivo, Le consiglia l'esplosivo. Salta in aria il bel Fiaschetto, E' compiuto, un gran dispetto, Ciuccio, Ciappo e Cadreghì, Piangon, forte, tutto il dì. La balorda Beciuccona, Dopo l'ira, torna buona, E si pente del peccato, Dal Demonio, consigliato: "Cadreghì, amici cari, Ho sbagliato e siamo pari: Se il Fiaschetto non c'e più, Colpa è di Belzebù.". Sconquassato, è il bel Fiaschetto, Sono i bimbi senza il tetto, Col seder, a spezzatino, Rovinati per benino. E su tal giornata nera, Scende infine giù la sera: I tre amici per la pelle. Per dormir, han sol le stelle. Mezzanotte, i colpi suona, La foresta or rintrona, Degli stridi e degli urletti, Delle streghe e dei folletti. C'è la Maga Vecchiarosa, Che ripete senza posa, Straparlando sopra un filo: So' la Venere de Milo.". Ecco il perfido Lombrico, Velenoso e assai lubrico Che stecchisce, senza fallo. Col suo occhio, di cristallo. C'è poi, il tonto Polifemo, Che brandendo un grosso remo, Là rimescola un ragù, Dentro il cranio d'Andalù. Pur si notan, senza uguali, Professor dei miei stivali, Ciarlatani con appoggi, Cavalieri e asin'oggi.
Tutta questa maramaglia, Fa un fracasso da battaglia. Che risveglia, spaventati, I tre bimbi sciagurati.
Ciappo strilla, Ciuccio freme, Cadreghì, di fifa geme, Col baccano (Oh! Sorte ria!) Or c'è pur tal sinfonia. Ad un tratto, dalla terra, Grande buca, si disserra, Da cui s'alza, in mezzo ai fumi, Un gran Mago. O Santi Numi! "Basta là", ei grida: "Io sono, Tutti il san, il Mago Buono, Che gli spiriti e i folletti, Senza indugio, fa a pezzetti.". Preso poscia, da un saccone, Il suo magico Bastone, Traccia in aria segni strani, Con lo Scettro e con le mani. Poi canticchia, con gran posa, Questa frase, misteriosa: "Pappataci, sul sofà, Chi qui resta, è un baccalà." Così in meno di un minuto, Il miracolo è compiuto: La foresta è ripulita, Da tal gente assai sgradita. Indi, volto ai ragazzini, Buono dice: "Orsù bambini Non dovete, impressionarvi: Io son qui, per aiutarvi. Dite a me, le vostre pene, E vedrete che, per bene, Con due colpi di Bastone, Sanerò la situazione." Ciappo, mugola e non parla. Ciuccio, al solito, si squaglia, Cadreghì, il "Presidente", Finge male ad un dente. Mago Buono, ha già capito La storiella, a menadito: Ei sa legger nelle menti, Dei tre bimbi, diffidenti. Dice allora, con dolcezza Dando loro, una carezza: "Or vedrete, grandi cose, Quanto mai, meravigliose!". E, brandito il suo Bastone, Lo maneggia in direzione, Del Fiaschetto demolito, Fracassato e rattrappito. Muove quindi, la sua mano, In un modo, alquanto strano, Che ricorda (se vi garba), Questo gesto: "Uff! Che barba!". Ed infine, con gran lena, Strilla questa cantilena: "Alla faccia del dispetto, Torni, il Fiasco, ben eretto!". Al momento nulla avviene, tanto che, Ciappo sostiene: Mi, ghe credi propri no: "Io, proprio non ci credo: El Fiaschett, el resta giò." Il Fiaschetto resta giù." Cadreghì invece pensa, Nella testa sua melensa: "Se riesce, non lo nego; Il Bastone, al Mago, frego." Ad un tratto, le macerie, Del bel Fiasco, fuori serie, Con stridore lamentoso, Il cammin, fanno a ritroso. E così, com'è caduto, Il Fiaschetto, è ricresciuto, Tutto nuovo e rilucente: Proprio bello, veramente! Non contento del successo, Mago Buono, dice adesso: "Io lo voglio, lindo e d'oro. Per il bene, di costoro.". E, depostolo per terra, Il suo sacco, ben disserra, Ripetendo i gesti strani, Con lo Scettro e con le mani. Poi, per norma e tradizione, Ei borbotta la lezione: "Coccolone, non è un toro: Sia il Fiaschetto, lindo e d'oro!" Ecco la stregoneria! Dal saccone, volan via, Un nanetto e quattro fate; Dalle mosse, assai garbate . Il nanetto è Santobeppo, Che d'arnesi, pieno zeppo, Ti trasforma, in bel zecchino, Il metallo, più tapino. Una fata è Franceschina, Che, con aria serafina, Spazza senza complimenti, Vermi e insetti, maleolenti. Marilù, è la seconda, Delicata e tremebonda, Che maneggia senz'affanni, Un robusto battipanni. Poi, c'è ancora l'Angelina, Un'autentica sbarbina, Che si cuoce la bistecca, E ti lascia, a bocca secca. Ecco infin Mariucciolina, Una fata sopraffina Che, dell'ordine maestra, Ogni cosa defenestra. Questa bella compagnia, La più bella che ci sia, Incomincia ad operare, Senza tempo alcun, sprecare. Ecco che, in un baleno, Sotto il sol, in ciel sereno, E' il Fiaschetto un gran gioiello, Tanto è d'oro, tanto è bello Terminata la missione, Senza troppa confusione, Nano e fate (Oh! Perbacco!) Scompariscono, nel sacco. Sbigottiti, i tre marmocchi, Poco credon, ai lor occhi: Grazie a un Mago, sì provetto. Or avran, ancora un tetto. Stanco, morto dal lavoro, Mago Buono, vuol ristoro. E s'adagia, senza fretta, Su una molle nuvoletta. Poi, rivolto ai tre bambini, Dice loro: "Miei carini, La fatica, è assai noiosa, Or bisogna, ch'io riposa.". E, deposto il suo Bastone Sulla pancia, il buon omone, S'addormenta sul momento, Russeggiando senza stento. Cadreghì, si guarda in giro, Niuno vede, e trae respiro; Indi, dice ai due compari: "Qui, possiam parlar d'affari! Se, tal magico Bastone, Senza alcuna esitazione, Noi rubiam al nostro amico: La fortuna avrem, vi dico!". Per proterve cupidige, Le coscienze, or son grigie. E i tre bimbi, detto fatto, Si preparano al misfatto.
Come sempre all'occorrenza, Ciuccio, è pronto alla partenza. Ma stavolta Ciappo, arcano, Ben gli afferra il deretano. Poi gli strilla indispettito: Minacciando con un dito: "Ti te restett chi ancamò, "Tu resti qui ancora, O te rompi , in co el comò". O ti rompo in testa il cassettone! Sem insemma, t'é capii? Siamo insieme! Hai capito? Fin che scampom, tucc e tri. Per tutta la vita, tutti e tre! Te vorevett via scappàa? Tu volevi scappare? Mi te metti a lavuràa!" Invece io ti metto al lavoro!" Prende quindi una forchetta, E impugnatala ben stretta, La dirige, pien di cruccio, Alle terga del reo Ciuccio.. Persuaso, in tal maniera, Ciuccio fa, la buona cera, Ed al Mago ruba, piano, Il Bastone, dalla mano. Fatto il gesto criminoso, Uno sfizio, assai morboso, Or si toglie in via diretta, Ciuccio, nero, per vendetta: Imitando i gesti strani, Con lo Scettro, e con le mani, Ciuccio, Ciappo guarda in viso, Con diabolico sorriso. Poi, gracchiando pien di stizza, Questa frase gli indirizza: "Raglia bene, e raglia chiaro: Sia costui, un bel somaro!".
E così, in un minuto, Ciappo, un ciuco è divenuto, Per cui nulla, ormai può fare, Al di fuori, di ragliare. Cadreghì, terrificato, Ma furbone consumato. Vuol salvar la propria pelle, Da un amico, sì ribelle. Mentre Ciuccio, esterrefatto, Là contempla il suo misfatto, Ei, con due parole buone, Si fa dare, il rio Bastone. La malizia, è riuscita, Cadreghì (salva, la vita), Pensa adesso, quel birbone, Dare a Ciuccio una lezione: Agitando, piano, piano, Il Bastone, e poi la mano, La capoccia sua arrovella, In ricerca, di favella. Ma la frase (ahimè!), non viene, Nella ponza, nulla tiene, Eppur spreme, la meninge, Dai capelli, alla laringe Dopo un'ora e forse più, Lancia un urlo da Landrù: "Ho trovato! Ho trovato! L' ignoranza, ho sgominato! E pronuncia, tale quale, Questa formula fatale: "Della sorte, non mi lagno: Che il somaro, abbia compagno!" E' così che, per abbaglio, La Magìa fa grande sbaglio: Salvo è Ciuccio, e guarda lì; Il somaro è Cadreghì. Dal trambusto, indiavolato, Mago Buono, è ridestato, E comprende, in un momento, Ogni nuovo avvenimento Adirato, è il pio Stregone, Osservando, il suo Bastone, Tutto nero, divenuto, Pe' i misfatti, che ha compiuto. "O mocciosi ragazzoli!", Egli urla ai tre mariuoli, "Non farò più cose buone, Con 'sto lurido Bastone! Un momento, v'ho lasciato: Che m'avete, combinato? D'uno Scettro senza pari, Resta un Ciuccio e due Somari! Basta là. Adesso avrete, Tutto ciò, che vi compete: Con voi rompo, tutti i ponti: Salderete, i vostri conti!" Dopo aver così sbraitato, E il Bastone raccattato, Mago Buono, con furore, Urla, mentre il giorno muore: "Presunzione e ignoranza, Tosto empiono una stanza, Per punirli del dispetto Sian costoro senza tetto!".
Con un sordo scricchiolio, Il Fiaschetto, va a schifìo: Crolla in tanti pezzettini, Grandi meno di cerini. Mago Buono, or divertito, Dentro un fumo, già è sparito, Mentre Ciuccio strilla: "Ohibò!", E i compari fanno: "Ih-Oooo!" NOTA - La parola "GINGIVARI", inserita nel titolo, è un termine del dialetto ambrosiano, che si riferisce ai neonati, a cui stanno per spuntare i primi dentini, e che, tormentati dal fastidio, sono piagnucolosi. Ai tempi del poeta milanese Carlo Porta, (1776-1821); il termine era "gingiuvari"; con significato di "scioccone".
L'evoluzione del dialetto, ha modificato la parola in "gingivari"; e il riferimento a persone dal comportamento piuttosto infantile, e in qualche caso anche un tantino delinquenziale.
In italiano la parola è intraducibile. Chi tentasse di tradurla ad orecchio; con "Gengivario"; commetterebbe un errore; perché questo termine, si riferisce ad un medicamento per le gengive.
"LA GRANDE AVVENTURA DEI TRE GINGIVARI" è una favola allegorica, ispirata da un brano di vita dell'autore:
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