Umberto Saba (Trieste 1883-Gorizia 1957)
L'opera di Saba rappresenta un caso abbastanza isolato nel panorama poetico
della prima metà del '900; egli infatti giunge ad uno stile moderno attingendo
alla tradizione italiana sette-ottocentesca (Parini, Foscolo e Leopardi), a
differenza dei suoi contemporanei (ad esempio Ungaretti e Montale) che si
rifanno principalmente all'eredità simbolista, pascoliana e dannunziana. Questo
originale "tradizionalismo" si connota per una aulicità di sintassi, ritmo e
metro che compensa - e si contrappone - alla voluta semplicità e quotidianità
del linguaggio. Il tema centrale su cui ruota tutta la produzione di Saba è,
infatti, la "celebrazione del quotidiano, nella sua dignità elementare e... nel
suo naturale decoro" (Sanguineti).
L'opera poetica di Saba è interamente raccolta nel "Canzoniere", la silloge
completa delle sue poesie curata e arricchita negli anni dallo stesso autore.
A mia moglie | Città vecchia | Amai | Parole | Poesia | Nuda in piedi |
Caffè Tergeste | L’ora nostra | Dopo la tristezza | Ritratto della mia bambina | Ultimi versi a Lina | Ulisse |
da "Casa e campagna" (1909 - 1910)
Tu sei come una giovane,
una bianca pollastra.
Le si arruffano al vento
le piume, il collo china
per bere, e in terra raspa;
ma, nell’andare, ha il lento
tuo passo di regina,
ed incede sull’erba
pettoruta e superba.
E' migliore del maschio.
E' come sono tutte
le femmine di tutti i
sereni animali
che avvicinano a Dio.
Così se l’occhio, se il giudizio mio
non m’inganna, fra queste hai le tue uguali, e
in nessun’altra donna.
Quando la sera assonna
le gallinelle,
mettono voci che ricordan quelle,
dolcissime, onde a volte dei tuoi mali,
ti quereli, e non sai
che la tua voce ha la soave e triste
musica dei pollai.
Tu sei come una gravida
giovenca;
libera ancora e senza
gravezza, anzi festosa;
che, se la lisci, il collo
volge, ove tinge un rosa
tenero la sua carne.
Se l’incontri e muggire
l’odi, tanto è quel suono lamentoso, che l’erba
strappi, per farle un dono.
E' così che il mio dono
t’offro quando sei triste.
Tu sei come una lunga
cagna, che sempre tanta
dolcezza ha negli occhi, e
ferocia nel cuore.
Ai tuoi piedi una santa
sembra, che d’un fervore
indomabile arda, e
così ti riguarda
come il suo Dio e Signore.
Quando in casa o per via
segue, a chi solo tenti
avvicinarsi, i denti
candidissimi scopre.
Ed il suo amore soffre
di gelosia.
Tu sei come la pavida
coniglia. Entro l’angusta
gabbia ritta al vederti
s’alza, e
verso te gli orecchi
alti protende e fermi;
che la crusca e i radicchi
tu le porti, di cui
priva in sé si rannicchia,
cerca gli angoli bui.
Chi potrebbe quel cibo
ritoglierle? chi il pelo
che si strappa di dosso,
per aggiungerlo al nido
dove poi partorire?
Chi mai farti soffrire?
Tu sei come la rondine
che torna in primavera.
Ma in autunno riparte; e
tu non hai quest’arte.
Tu questo hai della rondine:
le movenze leggere;
questo che a me, che mi sentiva ed era
vecchio, annunciavi un’altra primavera.
Tu sei come la provvida
formica. Di lei, quando
escono alla campagna,
parla al bimbo la nonna
che l’accompagna. E
così nella pecchia
ti ritrovo, ed in tutte
le femmine di tutti i
sereni animali
che avvicinano a Dio; e in nessun’altra donna.
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da "Trieste e una donna" (1910-1912)
Spesso, per ritornare alla mia casa
prendo un’oscura via di città vecchia.
Giallo in qualche pozzanghera si specchia
qualche fanale, e affollata è la strada.
Qui tra la gente che viene che va
dall’osteria alla casa o al lupanare,
dove son merci ed uomini il detrito
di un gran porto di mare,
io ritrovo, passando, l’infinito
nell’umiltà.
Qui prostituta e marinaio, il vecchio
che bestemmia, la femmina che bega,
il dragone che siede alla bottega
del friggitore,
la tumultuante giovane impazzita
d’amore,
sono tutte creature della vita e
del dolore;
s'agita in esse, come in me, il Signore.
Qui degli umili sento in compagnia
il mio pensiero farsi più puro dove più turpe è la via.
luglio 1911
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da "Il Canzoniere"
sez. Mediterranee
Amai trite parole che non uno
osava. M’incantò la rima fiore
amore,
la più antica difficile del mondo.
Amai la verità che giace al fondo,
quasi un sogno obliato, che il dolore
riscopre amica. Con paura il cuore
le si accosta, che più non l’abbandona.
Amo te che mi ascolti e la mia buona
carta lasciata al fine del mio gioco.
10 gennaio 1946 su "Milano sera" an. II n°9
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da "Parole" (1933-34)
Parole,
dove il cuore dell'uomo si specchiava -
nudo e sorpreso - alle origini; un angolo
cerco nel mondo, l'oasi propizia a
detergere voi con il mio pianto
dalla menzogna che vi acceca. Insieme
delle memorie spaventose il cumulo
si scioglierebbe, come neve al sole.
gennaio 1934 |
da "Parole" (1933-34)
E' come a un uomo battuto dal vento,
accecato di neve-intorno pinge
un inferno polare la città-
l’aprirsi, lungo il muro, di una porta.
Entra. Ritrova la bontà non morta,
la dolcezza di un caldo angolo. Un nome
posa dimenticato, un bacio sopra
ilari volti che più non vedeva
che oscuri in sogni minacciosi.
Torna
egli alla strada, anche la strada è un’altra.
Il tempo al bello si è rimesso, i ghiacci
spezzano mani operose, il celeste
rispunta in cielo e nel suo cuore. E pensa
che ogni estremo di mali un bene annunci.
novembre 1934
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da "Il
Canzoniere"(1921-1932) I
Nuda in piè, le mani dietro il dorso,
come se in lacci strette
tu glieli avessi. Erette
le mammelle, che ben possono al morso
come ai baci allettar. Salda fanciulla
cui fascia l’amorosa
zona selvetta ombrosa,
vago pudore di natura. Nulla,
altro ha nulla. Due ancora tondeggianti
poma con grazia unite a
sè chiamino il mite
castigo delle sculacciate. Oh, quanti
vorrebbero per sé in quegli occhi il lampo
del piacere promesso,
che paradiso è spesso, e più spesso è l’inferno senza scampo!
1925
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da "Parole"(1933-34) O
tu che sei sì triste ed hai presagi
d’orrore-Ulisse al declino-nessuna
dentro l’anima tua dolcezza aduna
la Brama
per una
pallida sognatrice di naufragi
che t’ama?
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da "La serena disperazione" (1913-1915)
Caffè Tergeste, ai tuoi tavoli bianchi
ripete l’ubbriaco il suo delirio;
ed io ci scrivo i miei più allegri canti.
Caffè di ladri, di baldracche covo,
io soffersi ai tuoi tavoli il martirio,
lo soffersi a formarmi un cuore nuovo.
Pensavo: Quando bene avrò goduto
la morte, il nulla che in lei mi predico,
che mi ripagherà d’esser vissuto?
Di vantarmi magnanimo non oso;
ma, se il nascere è un fallo, io al mio nemico
sarei, per maggior colpa, più pietoso.
Caffè di plebe, dove un dì celavo
la mia faccia, con gioia oggi ti guardo. E
tu concili l’italo e lo slavo, a tarda notte, lungo il tuo bigliardo.
5 maggio 1914
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da "Trieste e una donna" (1910-1912)
Sai un’ora del giorno che più bella
sia della sera? tanto
più bella e meno amata? E' quella
che di poco i suoi sacri ozi precede;
l’ora che intensa è l’opera, e si vede
la gente mareggiare nelle strade;
sulle moli quadrate delle case
una luna sfumata, una che appena
discerni nell’aria serena.
E' l’ora che lasciavi la campagna
per goderti la tua cara città,
dal golfo luminoso alla montagna
varia d’aspetti in sua bella unità;
l’ora che la mia vita in piena va
come un fiume al suo mare; e
il mio pensiero, il lesto camminare
della folla, l’artiere in cima all’alta
scala, il fanciullo che correndo salta
sul carro fragoroso, tutto appare
fermo nell’atto, tutto questo andare
ha una parvenza d’immobilità.
E' l’ora grande, l’ora che accompagna meglio la nostra vendemmiante età.
1912
|
da "Trieste e una donna" (1910-1912)
Questo pane ha il sapore d’un ricordo,
mangiato in questa povera osteria,
dov’è più abbandonato e ingombro il porto. E
della birra mi godo l’amaro,
seduto del ritorno a mezza via,
in faccia ai monti annuvolati e al faro.
L’anima mia che una sua pena ha vinta,
con occhi nuovi nell’antica sera
guarda un pilota con la moglie incinta; e
un bastimento, di che il vecchio legno
luccica al sole, e con la ciminiera
lunga quanto i due alberi, è un disegno
fanciullesco, che ho fatto or son vent’anni. E
chi mi avrebbe detto la mia vita
cosi bella, con tanti dolci affanni, e tanta beatitudine romita!
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da "Cose leggere e vaganti" (1920)
La mia bambina con la palla in mano,
con gli occhi grandi colore del cielo e
dell’estiva vesticciola: « Babbo
-mi disse- voglio uscire oggi con te ».
Ed io pensavo: Di tante parvenze
che s’ammirano al mondo, io ben so a quali
posso la mia bambina assomigliare.
Certo alla schiuma, alla marina schiuma
che sull’onde biancheggia, a quella scia
ch’esce azzurra dai tetti e il vento sperde;
anche alle nubi, insensibili nubi
che si fanno e disfanno in chiaro cielo; e ad altre cose leggere e vaganti.
1920
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da "Ultime cose" (1935-1943)
La banda militare che affollava
vie più il Corso la sera, i fanaletti
oscillanti alla marcia - il battistrada
tronfio alzava e abbassava il suo bastone -;
le tue compagne: la buona, la scaltra,
l’infedele in amore; il verde fuori e
dentro la città; le laceranti
sirene dei vapori che partivano;
le osterie di campagna;
queste cose
furono un giorno -ricordi- cui venne,
una a una, una fine.
La memoria,
amica come l’edera alle tombe, cari frammenti ne riporta in dono.
1945
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