Dario  Venturi
 

www.darioventuri.tk

CURRICULUM VITAE

   Dario Venturi nasce a Sanremo (IM) il 10 Luglio 1974. Diplomato come Agrotecnico nel 1993 con la qualifica di esperto forestale all’Istituto Professionale per l’Agricoltura Paolo Barbero di Fossano, frequenta l’università di Lettere DAMS spettacolo di Bologna.

Nel 1991 e nel 1993 lavora per la comunità montana dell’alta Val Tanaro in qualità di operatore forestale.

Dal 1995 lavora nell’ambito dello spettacolo: dopo aver partecipato come comparsa alla realizzazione di video musicali e films, ha esordito in qualità di attore e regista per la realizzazione di cortometraggi e di spettacoli teatrali.

Autore di due libri di poesie - “Bios e Thanatos” (1995, ed Ibiskos) e “Musaicum Opus” (1998, ed. Edicom) – ha partecipato per 4 anni consecutivi al Salone del libro di Torino; la prima raccolta, “Bios e Thanatos”, viene presentata alla Versiliana del 1995 ed alla fiera di S.Miniato nel 1996. Nel 1998 il secondo libro “Musaicum Opus” viene presentato in alcune librerie del nord Italia ed a Seravezza in Toscana.

Canta nel gruppo hard-rock Bios dal ‘95. Co-fondatore e vice-presidente del cenobio culturale “Associazione di Idee”, promuove eventi culturali nel Ponente ligure coadiuvando per la realizzazione di concerti, conferenze e manifestazioni varie per comuni ed enti privati e pubblici. Nel 1997 frequenta un corso di regia tv diretto dal regista Salvatore Nocita e nel 1998 un corso di sceneggiatura cinematografica con il regista Giovanni Robbiano.

Il 25 maggio del 1999 porta in scena il Recital di musica e poesia “Alba della Fenice”, di cui è autore e regista. Direttore del bollettino associativo Iperuranio e corrispondente per il teatro del Periodico Studiart, collabora da anni con numerose riviste d’arte e culturali, tra cui la rivista di tradizione “L’Araldo” ed il mensile di Padova “Passages”. Studia canto e dizione, e nel 2000 si è esibito con la compagnia teatrale della scuola di musica di Sanremo Otorino Respighi

Ha lavorato per due anni( dal 1998 al 2000) in un negozio di restauro mobili e oggettistica.

 

Lingue parlate: francese (buon livello), inglese (scolastico)

Conoscenze Informatiche: Word, Internet Explorer, Publisher.

Autorizzazione trattamento dati ai sensi dl 675/96

 

recapiti: Dario venturi, via vallegrande 49, 18014 ospedaletti (im) / via marochetti 25, 20100 milano – tel. 339 62 71 375

 


CARMINA.

 

Recital di musica e poesia.

  

SCENOGRAFIA

 

Sul fondo uno schermo enorme dove proiettare, o raffigurare un ponte. Sul palco un mappamondo grande, la riproduzione di un lago o corso d’acqua magari con lenzuoli e tessuti blu, argentei etc…

Studiare varie azioni. Specchi ovunque, sia sul fondo che sul piano di calpestio. ( costruire ponte?)

Fiori. Trionfo di colori sul giallo – rosso- blu e il verde. Giochi di specchi.

 

 

LE ALBE

Ofelia danzava sul far del giorno.

(Recital di musica,danza e poesia.)

  

TESTO

 

 

  ARGONAUTICHE

Sospesi in fluidi di mangrovie,

rompiamo calici cristallini,

pregio,

le nostre navicelle

trasportano trascendenze;

donano un senso.

Inghiottiti nell'iperspazio,

ophiucus

con vele argentee di draghi cinesi,

sforiamo nelle galassie

e, nutrimento, la via lattea

ci sbalza nel tempospazio di una virgola,

nel luogo buio, intricato

d'una parete bianca,

tracciabile.

Antares profuma manna d'Orniello, tacendo tristemente dei disperati Dei, stelle cadute d'amore, condannati, coatti astri, a luccicare, referenti principi delle rotte.

Argo,

pietà abbi del penare,

evitando la nostra carne pasto,

permettendoci di poetare

navigazioni nel pelago vasto

che noi chiamiamo

periglio d'esistenze.


  

ALLE MUSE

  

A CALLIOPE

 

Invoco rispetto per le Muse.

Sono un museo dal bel canto,

un tesoro nascosto, nelle fratte del groviglio fatale.

 

Atomo di bene, particella di male.

Oh Calliope! Il tuo canto è l’idea,

equivalenza colta nel giardino delle idee,

che io sposerò alle umane forme.

 

 

A MELPOMENE

 

Cinta dalla coronata vite,

rossastra di sdrucita sofferenza,

Dea risolutrice di storica inadempienza,

sovrana lucente, spada di monolite.

 

Crete dilaniate, madri ferite,

capri sacrificali, essenza

di spemi e gaiezze smarrite.

 

Melpomene canta l’antico affranto,

adagio e nullo il mascherato canto,

se non la dura nota di sconforto.

Il calco tuo incrinato d’acanto,

dei condannati a guerra nel campo,

giace a Est da Pola, un Mar Morto.

 

 

 ERATO

 

 Talia benevola guardava i nostri fuochi, rincorrersi vampate tra i colli, giochi di flavoni    e antociani, di mani bramanti, folli; fiorivamo sculture di luce.

 L'algia truce ci dissolvette, in canti e colori boscherecci d'angeli foiani.

Spiriti incendiari, lo scotto fu tale da rostirci:

tu, nei precordi luciferina fiamma,

io, nell'arie foriere di suoni,

a vestire il giardino tuo pulsante,

Erato.

 

 MNEMOSINE E CLIO

Lemure,

nelle foreste della genitrice, spauriti si dibattono gli sconcerti del mio io, e muore in bocca il vero, diamantino boracifero prorompere dalle rocce.

Restio, indugio ad inoltrarmi

in rimembranze sepolte,

nella realtà, imperscrutabile sfinge

Inenarrabile.

Impatta laringe, vedere Clio,

le epopee umane, i ferri, l'arti, le progenie,

i campi della sconfitta di disperate membra sparse

troni terribili, uomini e comparse.

Dal suo, nove vene si dipartono, terre dal diverso aìre

E custodi di natali, lemuri, celate altresì umane morti.

Ciò m’è dato sentire,

Uno spirito acceso,

nelle profonde notti della mente.

 

A EUTERPE

 

Danzava la sinuosa Tersicore,

palpitava l’arpa suoni soavi,

striduli insulti per gli ignavi,

garrula poetessa d’amore.

 

Fanciulle d’Euterpe, davan tenore

Ai fiati, in cori mai gravi,

l’infinite stagioni ritmavi,

Diva, del tuo estatico umore.

 

La rallegrante pescava miele,

dai favi e mescita disponeva,

sui sensi feriti ed offesi.

 

Giardini di sonanti zufoli cortesi,

ove la mia poetica beveva ,

il nettare della grande Cibele.

 

(entra la danzatrice che inscena una danza moderna dal gusto futurista decò)

 

A TERSICORE

 

Tutto ti fa coro,

fulmine danzante,

le tue gambe, compasso,

disegnano colori e prospettive.

Arpe dolci, le tue lascivie,

lira infuriata, le tue danze,

le vie aperte al tuo oscillante sole.

Oh Isadora! Oh Tersicore!

 

 

  URANIA

Urania,

colonia satellitare

sugli ampi peripli stellari

di bolbulari orbite.

Macchie oculari, vortici opalescenti sui fari delle galassie, sentieri emersi sullo scibile.

Umano nucleolo di bile, non hai mondi da brutalizzare, sogni d'afferrare nuovamente, ne reti alla tua caduta?

La Luna è un tuorlo al neon, Marte una promessa smarrita. Nunzio di vita. l'oracolo predisse nuove carni, nuova natura;

oppure il niente.

L'indefinibile morte s'anela d'esser vita.

Urania levatrice, compasserai dominio nuovo, una chiave alla volta del nuovo Sole.

 

 

A POLIMNIA

 

      I

Sotto Selene si agitano fuscelli;

molti canti ha la vita,

porpore luttuose, neri definitivi,

bianchi sacrali,

beni e mali in disarmonici equilibri.

 

Ovunque si sogni,

ovunque ella li guidi,

la sua veste ha un  colore,

di trasparente austero dolore.

 

Polimnia contempla la vita, i suoi canti,

sotto Selene, lente d’albume e ricompone,

sotto il suo sguardo,

i vani, umani, chiassosi vanti.

 

LA FONTE

 

Ippocrene fonte secca inaridita verso le glorie e le beltà correvi stillando vita. Ora ne lasciti, ne troni, capitale il mio tormento, il presente sento divorare il senso delle nostre azioni.

Coppale rugginoso d'Idromiele, a gocce minute, come polline cadute a sterile viaggio.

Fiele inquinò

le nove vene di essenza pulita e penando, rabdomante, ansioso, il cuore cerca il principiare. Si mostra dinnanzi l'arcata antica, la colonna, silente donna d'iridi addobbata, Dragurina, amata.

 

Da più luoghi uno sgorgare di mitici passi alla Fonte.

 

 

 

CANTO DI ORFEO AD EURIDICE

 

All’ombra dei Dioscuri,

tenebra e luce accostate ai nostri occhi.

All’ombra dei Dioscuri,

l’oro luccica di bene e tanfa di male.

 

La belva fiera divide il passo,

cammino e trapasso,

faccio spola, ora indugio, ora destino

la mia scossa anima in balia del varco.

 

Una decisione, la freccia, l’arco,

l’ora, la pentolaccia percossa,

il suo pertugio, la tua linfa.

 

Ed armonici balenii d’ombre riflettono i  periatti,

sulla carta di riso appaiono i nostri atti.

 

Vita e morte rimangono confine,

crini di cavallo sfuggenti,

superbe ai cuori ed alle menti,

premio di Castore e Polluce,

premio di  nitore e luce.

 

Riserbo la verità  taciuta,

all’animella che muta  presso il sacello ,

dov’è tenuta risposta al ciclo umano.

 

Tra la vita e la morte,

sonnecchia  dolce,

il tuo transitorio t’amo.

  

 

                                  ALBA

 

AGLI ALBORI DEL MATTINO

 

Intarsi di luce su anime di vetro,

svolazzi di cori d’ombre,

e scintillanti vetri di serragli.

 

Il mattino spezza i fianchi dei colli,

coi ruggenti aliti di brezza.

 

Nube, l’amarezza del giorno al disincanto notturno.

 

Labbra d’argilla su foglie di creta,

dalla lamiera non fluisce suono.

Non staremo al capezzale delle ideologie,

noi  andremo avanti per altre vie.

 

EQUIVALENZE

 

Ampie armonie s’infrangono,

sugli scafi arrugginiti ormeggiati sul tramonto.

 

Legni gloriosi solcano,

le crespe della fronte, alvei del pensiero.

 

Sono nuvole equivalenti dalla rotta incerta.

 

D’abbasso, cetre elettriche gemono antichi dolori;

qua, pace e silente, lo spazio d’elci bronzei,

e di bacche purpuree.

Rosacee pungono,

incidendo nella dura scorza, brevi tagli nei cuori.

 

Ferite sgorgano acqua,

mieli, linfa, anili d’indaco,

balsami agli umani mali.

 

In alto l’amore è un abbandono,

candido e boschereccio,

che da, fortifica, e rende frali.

 

MORBIDA VISIONE

 

La lanugine dei tigli ti fa vestito,

morbida visione:

il  bagaglio vuoto,

l’occhio insabbiato,

clessidra serrata.

 

Le tue scarpette di Venere,

la tua pergola tutta scotente,

frutta matura sul cielo colta.

Nuda riveli,

lo spirito sconfitto,

l’occhio languido,

i fili d’Atropo recisi,

sul petto intinto e caro,

che con dolo passò sulla croce.

 

Nulla ci valse l’atroce volo d’Icaro ?

 

 

 

  PORTA TENARIA

Conducimi senza timore

per sabbie inquiete,

magmi e sommosse telluriche,

per terre crepate e città recondite,

per slavine dolorose e

per tutti i dolori che vennero,

per coloro che verranno

in sereni lidi

di tamarindi, begonie, ninfee e cardiopalmi,

uscio procelloso.

Demetra!

TU!

Non altro chiedo:

turbini di nuove pelli, agitarsi felici di carni, anemoni, picea, abies alba. sacri cerei, sugherete, miracolosi velli, ed esser padroni del fato;

IO!

Ridiscenderò

nei perché dell'opaca esistenza,

fallimentare, mediocre, scura,

Dea minore Ciné,

ahimè,

giungendo alla metropoli bugiarda.

Pel Pi greco conducimi. porta Tenaria, presso l'inferi.

Risalendo, dispensa un lavacro di letizia.

Io rinnoverò il patto

nei roseti.

Larice intramontabile,

passerò le stagioni

sempre carico e verde di gemme.

Etrusca, gala silenziosa,

 

le Eliadi sposeranno giuramento.

Città mortuaria rinfranca,

preserva le ceneri, i lumi;

serba la forza,

divarica le porte.

iscrivi un nuovo passato

nelle dodici Virtù, dodici pianeti,

reincarna corpo e spirito in nuova sorte!

 

  

ALLA  PORTA  DEL SOLE

 

Vivida splendente  auriga mattutina,

sulla brina posi riflessi roridi ed ardenti.

 

Compari estiva, agrume, sfera lucente,

verghi del succo dei tuoi spicchi la terra.

 

Porta che erra  in altri porti,

conduci a mondi paralleli,

ed alla meridiana umana,

presti i raggi generosa.

 

Bussiamo all’Astro, bussiamo alla sua porta!

 

Che continui a dare sembianze agli specchi,

immagine al trasparire del vero.

Astro dei primordi, ogni dolore disinfetti,

conforti.

 

NON LASCIARCI SOLI AL COLTELLO DELLA SACERDOTESSA D’OCCIDENTE.

 

Collardente (20-05-2000)

 

L’uccello lira danza sui tuoi colli,

l’arnica rende i respiri netti dei contorni,

passano giorni, onde di vapore, sulle arenarie 

e non riesco a colmarti del mio sguardo,

che tutt’attorno vengo chiuso dalle forme del tuo pensiero.

Un lascito tormenta la memoria del commiato,

ti aspetto ardente sulle tue rocche,

mentre cingo il tuo manto,

sul confine di astori senza terra,

aggrappato al ricordo sulle pareti,

arso dalle fiammanti tue ali,

araba fenice che si spense nei greti.

 

 

 

Bendola

 

La lasciai nelle gole, pietra urlante,

guatando le acque.

 

La lasciai nel letto del Bendola, coperta di fiori,

la mia dolce Ofelia vestita di corolle, perdita,

addio.

Il dolore corse la corrente, risuonò,

voce di corvo, voce di Amleto, nella gola. 

 

 

 

Saccarello

 

Andando avanti, lungo giardini di rododendri,

rabbie a precipizio, prati di astri bianchi,

seguendo gli abiti delle pernici,

le tracce dei lupi, si smarriscono i sensi.

L’anima non trova ricovero, i ghiacciai percolano

precipitati di lacrime, ingrigiscono le albe.

Dormo solo sul tetto di tre confini,

straziato nel petto dalle aquile,

sfinito dai rimpianti, dominando la resa del cosmo,

atterrito dalle solitudini boreali.


Bajardo

 

Baio nero,

t’aggiri furtivo nei nebbioni,

dove le nevi arretrano e primule

giocano il loro tempo.

 

La cerca di Rolando,

del senno che dimora nelle rocche avite,

il magico cerchio druidico,

le trascorse vite.

 

Tutto è simbolo,

ancor più negli Addii.

Splendido amore sui prati,

concupito dalle nebbie,

involato sulle malinconie,

fuggite ad oriente, attendi smarrito dalle cime

il bacio notturno del mare.

 

 

REDENTORE

 

Roccia umana,

asse d’uomo squartato,

cardini i laccioli che ti stringono,

dai quattro lembi d’orizzonte,

disseti di nembi la tua fronte,

strepitando aquila il tuo grido,

nel meriggio acceso di rabbie.

 

Bandito dal paradiso,

volto all’intemperante sole,

percosso dai venti come faggiole.

 

Dai forti di Marta

(megafono)

 

Bombi neri ronzano,

rimbombi d’artiglierie,

risuonano nell’aere ammantato di roghi.

Accecante bagliore arido di luce,

rinforzato di piombo si scatena nei cunicoli.

 

I pubblici omuncoli assisi al loro trono, 

rimestano nel fango della vanità dei caduti,

deserto d’uomini, ligure scorno.

 

Dai forti lancio l’assalto.

L’erbe strinate attendono,

l’aurora di gas e spioventi  lacrime, dinamitarde.

 

I prati verdi e azzurri d’idrogeno,

sono la pace a ridosso d’uomini.

 

Senza più mitraglie,

i mostri vivono a valle.

 

Dal forte domino l’inferno,

e ne sono fuori.

 

 

 

(10 Luglio 1944)

 

Siamo caduti,

sul manto d’erranza,

liberando la spola,

meditando la riscossa. 

 

I migliori non sono di questo mondo, poiché i peggiori sono il mondo. 

 

LORETO

 

Furtiva e fugace dal passo lanci l’addio,

lame d’abete lo infrangono, nudo corpo

nel fiume di lava,

miraggio dei tuoi occhi,

incendiati dai deliri, e giaci a Loreto,

nelle voragini del purgatorio,

passaggio del presente,

transito d’orme loquaci.

 

Scolori nel sogno, morta cadi

nella terra del non ritorno,

dove il passo è di nessuno,

ed  il tuo ricordo, ombra di falco.

 

 

 

             I

 

Qua s’innalzi il canto,

arda finché può.

Scosso il tirso,

agita la chioma

slancia il passo,

meticcia l’idioma,

in basso quindi in alto,

s’innalzi il canto.

 

 

 

              II

 

Dai greti in controluce,

la gemma distante dei tuoi occhi.

Risorta fenice muovi gli assalti,

accechi di sogni il nostro medioevo.

 

 

                   III

 

Stanca la terra dell’uomo,

l’orma non ha luoghi,

né forma, né cammino,

tentenna incerta e vana

corrotta dal destino.

 

 

                 IV

 

Cilestrino cielo senza memoria,

perdesti le albe,

fugasti le piogge,

grigio di piaghe,

perso nelle tue fogge,

a terra.

In quella terra calunniosa,

che ti cancellò il riso,

disperdi la torma di nubi

che nasconde il viso di lei,

portato dal vento.

 

La sento,

scrosciarmi accanto, in mille rivi, pianto che sorge dai declivi. 

 

Amore.

Il cielo attende il tuo ritorno,

la terra insegue il giorno.

 

 

SS del passo Ghimbegna.

 

Dio è più vicino nel cielo oggi.

 

 

La città risuona nei tronchi

negli archi di fronda,

in zufoli cortecciosi,

la parola rimbomba

soffocata nei roghi.

 

Ci giunge lontana, prende la via del bosco.

 

Dio è  più vicino oggi

Che non giungono voci ma suono. 

 

 

 

 

Il Fantasma di Amleto.

 

Quegli sterpi li noma fiori,

danzando il suo dolore,

fissando vuota il mondo che non è più.

 

Ed io la guardo roteare,

malata come il mondo,

vecchia e triste quanto la terra,

eppur sì giovine, già perduta.

 

 

 

Spirto femmineo, fatale,

hai le tue schiere di ambigui,

non più uomini, letale

il tuo volerti nuova.

 

Sei sempre la burattinaia dell’universo,

infelice e impotente del tuo solo volere,

di governare  i cuori, schiava del potere. 

 

 

 

 

E tu buffone mi facevi ridere,

mi sembrava di vivere,

non conoscevo la storia,

amavo.

  

 

 

 

OFELIA.

  

Il mondo è una spirale,

viziosa, strana, ineguale.

Il mondo è una spirale

Stringi stringi scompare

Al cospetto della tua bellezza.

 

Amore sei l’unica cosa buona,

domani marcirai. Non so…

 

Mantieniti per quello che sei,

almeno in quest’ora di afflizione,

salva nella poesia.

 

A me nulla vale,

l’estinguere il mondo,

l’estinguere la spirale.

 

Il mondo è verme, il mondo è male.

 

Perché il male continua?

Qui tace il verso, muore la rima,

ogni altra cosa ritorni al nulla.

 

           

  II

 

Il mondo che ho lasciato,

l’insidie che porta,

è frutto marcio del possesso,

adesso che compreso,

è frutto reso. 

 

Non intendo più mangiarne,

colmare il mio dolore terreno,

ma porre fine a ogni cosa,

tormi il cuore,

tormi il senno,

preservare l’animo e il sonno.

 

Destandomi per altri frutti.

 

IL COMMIATO

 

Finalmente l’alba ha fugato le coltri.

 

Le nere nubi sciamano altrove.

 

Sveglio, l’animo s’apre agli orizzonti,

ebbro di celesti incontri, dissipa la gravità notturna.

 

 

Finalmente l’alba mi sorprende nuovo.

 

 

 

“La FENICE è il mio cuore, la mia penna, la mia iride, il fuoco dell’era nuova. IL Futuro, un battito d’ali.”

 

 (La danzatrice Ofelia è  coricata, morta, nel letto del fiume.)

 

 

 

 

POEMA DELLA FENICE.

 

La vita giace su versi mai scritti,

scia dalle ali infuocate,

crocicchio di speranze scemate,

perdute nel corollario di storie.

Le sbornie, i pubs, le birre,

le crepe della ragione, gli strappi del sentire, riflessi nel vetro.

 

Tetro tempo senza dimora,

soggiogato all’apparenza, votato al consumo,

indolente e taciturno di promesse.

Qual messe ci lasci!

Pula e paglia d’oro, accecante gli occhi,

universo di scienze senza sbocchi.

Hai tolto il sapore, l’odore, il canto,

i raccolti, lasciando la terra spoglia e livida,

creando cannibali di sogni,

malati d’obsolescenza senza traccia,

vinaccia secca e sterile.

 

Tormentandomi le ali,

infiacchendo l’entusiasmo,

raggelando la spontaneità,

nel mescere l’attore al coro,

predicando le masse, seppellendo l’alloro.

 

Unendoci ai conviti delle mezzane,

ai loro mercati catodici,

cavandoci l’animo.

 

Avverso tempo d’avanguardie

di poeti servi e canaglie,

malaticci, postribolari,

ardi sui tuoi altari incenso di gramigna.


 

 

II

 

Cattura i rami fenice,

fanne pira per i delitti,

per quelli uditi, per quelli scritti.

 

Pulisci il nido,

col grido e con la morte,

estingui la specie,

soffocala nell’alare tua forza.

 

Brucia i simboli, gli atti,la scorza

di quest’indecorosa marmaglia,

fanne paglia e scintille.

 

Rigenerati nuova e muovi il sole.


 

 

III

 

In un pub,

le specie umane s’attardano,

frenetiche ninfe fanno baccano

per coribanti decaduti.

Felici e cornuti.

 

Vita li fece, inadatti a volare.

Un’equa compagnia per questa sera,

nella notte del mondo, nell’alba del profitto.

 

Ci sono i figli della protesta, gli avvinazzati, da qualche parte,

i localisti, i provinciali, gli ex tossici,

immersi nei baccanali.

 

In altri lidi vi sono i rampolli migliori.

Le loro vesti di piccola gente sciattamente elegante, l’aria da commesse,la parodia delle star, vittime del pederasta di turno, stilista, designer, parassita.

 

Quest’enfia baracca di padri indifferenti e  figli soli e schizofrenici , grassa, accoglie le nuove mafie dell’est.

 

Babele ha le sue torri dirute.

Babele ha una sua musa,

la musa dallo schermo freddo,

specchio andato in pezzi.

Rivela le magagne ed il dolore,

la felicità drogata, la poesia corrotta, la prosa vana.

 

Sorridi piccola!

L’alba ha salutato Babele distrutta.

Tu dormivi. Destati  e sogna!

 

Vieni fenice arsa.

Vieni e brucia ogni cosa .

Cancella ogni traccia.

Infondi amore

Infondilo nei superstiti al tuo fuoco distruttore.

Purificaci e rendici fratelli nella vampa.

 

Una nuova umanità, una nuova specie,

incensi di speranza che vanno bruciati

per il tempio della nuova fratellanza.

 

Oh! Metalli colati nel bacino dell’oro,

forgiatori di uomini nuovi,

immemori, capaci d’amare,caldi  d’energia.

Intelletto d’amore.

 

Vieni Fenice a rinnovare il cosmo.

Vieni fenice, e rischiara la paura,

conciliaci alle ombre,

ricongiungici al cielo,

rivelati alla luce.

 

Un’ alba colorata ti onora,

è l’alba nuova ch’accende i desideri e i canti, la passione della nuova stirpe.

 

La fenice saluta i suoi figli,

li regala al universo,

li infiamma d’intelletto.

 

Principio e scintilla del  mondo.

Luce di una nuova era.

 

 

  

 

IV

 

Fenice senza tempo,

progetta novelli umani in questa vecchia terra,

per questo vecchio uomo, carcassa disarmonica, corpo svuotato, indole lassa.

Ripulendolo, scavandolo, dandogli nitore.

Rinasce una nuova razza, rinasce una nuova corazza a contenere l’animo, e muove il sole.

Raccolgo i tuoi capelli, sono petali accesi,  essenze che stordiscono, emananti sentori pungenti

Ed il mio senso nel tuo amore è un rosso incanto, che arde, si rigenera e muove.

  

 

 

V

 

Al termine di questo buio lattiginoso di stelle,

vedrò sul tuo nudo lunare corpo i percorsi della luce

ed Apollo mi restituirà la vista ed il verbo chiaro, le traiettorie esatte del pensiero

la leggerezza del volo e il tuo affetto.

Questo privarsi di gioia è lungo,

ma non sarà eterno.

Ti attendo saggia forza,

 senza più dolore che sia manifesto,

dentro l’avamposto solido del mio spirito.

Ci sarà un tempo per la cura e la gioia.

Ci sarà un tempo per la luce.

Noi andremo là,

piccola, dolce, nostalgia del futuro.

Fenice.

  

 

Ciò che vedremo non sarà toccato dal male

Bensì nascosto in attesa di miglior luce. Posto al sole.

Sotto lo sguardo eterno.

 

(Il poeta abbraccia Ofelia)

 

 

2001

Braci di fenice, ardete!

L’alba e’ giunta sul ponte,

caldo vento di speranza.

 

Fuoco sulle palme,

fuoco dell’animo.

 

L’alba e’ giunta, un richiamo

muta in oro l’animo,lo spirito ebbro,

quel che resta dell’uomo.

 

E lo infiamma contro il mondo.


LE ALBE – Ofelia danzava sul far del giorno.

 ” Danzava l’aurora,

sul ponte della vita,

sopra un paradiso distante,

al di là degli inferi.

Quest’aurora danzante

ha deliziato il mio cuore,

rinfocolato la mia fiamma,

guarendomi dal mondo.

L’aurora ballava in tondo,

saettando, progredendo,

sprigionando scintille,

forma di vera vita, sana,

più che umana faceva faville.

 

Ho visto noi cara Ofelia,

liberi dal dolore,felici,

sciolti dal mondo,

nella perfetta armonia del mattino.”

 

Nell’alba siamo reali,

il mondo un fantasma.

 

Nell’alba io la guardo danzare,

odo i suoi passi. Liberata e felice.

Buio. Fine.

 

Le Albe

(Ofelia danzava sul far del giorno)

 

          30 agosto 2001 ore 21

  Consolle: Valerio. Mixer Audio ok- 2 microfoni,2 aste, 1 LEGGIO  EFFETTI VOCE.

Gruppo dal vivo e relativa strumentazione. Giovedì 30 agosto. 

 

ORG E Musicisti:

 

LUCI –PIANO LUCI e vari lumini, lanterne, fiaccole.

TESTO: Nuove liriche sull’Alba e vecchie sull’Alba, alle Muse.

SCENOGRAFIA vedi sopra..

MUSICHE –Accompagnamento Valerio e altri musicisti.

Suoni e mixer Valerio Venturi. DURATA 1 ora

 

OGGETTI -      PALCO

                 

                          2 FIACCOLE               EFX 

                          LEGGIO                         SPOT min 2                scotch vari

                          LUCE LEGGIO             CASSE                        2 MICROFONI             

                          CASSA SPIA                  3 cavi lunghi             SCENOG SPECCHI

                          MIXER                            2 cavi piccoli             DRAPPI Tessuti.

                          MAPPAMONDO          2 asta mic

COSTUME  trucco viso.

Costumi ballerina vari per ogni momento poetico delle varie danze.

(costumi sibilla –scenografie sibilla)

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IN SCENA

 Attore: DARIO VENTURI                                 Le muse, Le Albe, L’alba della Fenice.                                            Costanza -  APPUNTI.musicisti                                                                      

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