CURRICULUM
VITAE
Dario
Venturi nasce a Sanremo (IM) il 10 Luglio 1974. Diplomato come Agrotecnico nel
1993 con la qualifica di esperto forestale all’Istituto Professionale per
l’Agricoltura Paolo Barbero di Fossano, frequenta l’università di Lettere
DAMS spettacolo di Bologna.
Nel
1991 e nel 1993 lavora per la comunità montana dell’alta Val Tanaro in
qualità di operatore forestale.
Dal
1995 lavora nell’ambito dello spettacolo: dopo aver partecipato come
comparsa alla realizzazione di video musicali e films, ha esordito in qualità
di attore e regista per la realizzazione di cortometraggi e di spettacoli
teatrali.
Autore
di due libri di poesie - “Bios e Thanatos” (1995, ed Ibiskos) e
“Musaicum Opus” (1998, ed. Edicom) – ha partecipato per 4 anni
consecutivi al Salone del libro di Torino; la prima raccolta, “Bios e
Thanatos”, viene presentata alla Versiliana del 1995 ed alla fiera di
S.Miniato nel 1996. Nel 1998 il secondo libro “Musaicum Opus” viene
presentato in alcune librerie del nord Italia ed a Seravezza in Toscana.
Canta
nel gruppo hard-rock Bios dal ‘95. Co-fondatore e vice-presidente del
cenobio culturale “Associazione di Idee”, promuove eventi culturali nel
Ponente ligure coadiuvando per la realizzazione di concerti, conferenze e
manifestazioni varie per comuni ed enti privati e pubblici. Nel 1997 frequenta
un corso di regia tv diretto dal regista Salvatore Nocita e nel 1998 un corso
di sceneggiatura cinematografica con il regista Giovanni Robbiano.
Il
25 maggio del 1999 porta in scena il Recital di musica e poesia “Alba della
Fenice”, di cui è autore e regista. Direttore del bollettino associativo
Iperuranio e corrispondente per il teatro del Periodico Studiart, collabora da
anni con numerose riviste d’arte e culturali, tra cui la rivista di
tradizione
“L’Araldo” ed il mensile di Padova “Passages”. Studia canto e
dizione, e nel 2000 si è esibito con la compagnia teatrale della scuola di
musica di Sanremo Otorino Respighi
Ha
lavorato per due anni( dal 1998 al 2000) in un negozio di restauro mobili e
oggettistica.
Lingue
parlate: francese (buon livello), inglese (scolastico)
Conoscenze
Informatiche: Word, Internet Explorer, Publisher.
Autorizzazione
trattamento dati ai sensi dl 675/96
recapiti:
Dario venturi, via vallegrande 49, 18014 ospedaletti (im) / via marochetti 25,
20100 milano – tel. 339 62 71 375
Recital di musica
e poesia.
SCENOGRAFIA
Sul fondo uno schermo enorme dove proiettare, o raffigurare un ponte. Sul palco un mappamondo grande, la riproduzione di un lago o corso d’acqua magari con lenzuoli e tessuti blu, argentei etc…
Studiare varie azioni. Specchi ovunque, sia sul fondo che sul piano di calpestio. ( costruire ponte?)
Fiori.
Trionfo di colori sul giallo – rosso- blu e il verde. Giochi di
specchi.
LE
ALBE
Ofelia
danzava sul far del giorno.
(Recital
di musica,danza e poesia.)
TESTO
Sospesi
in fluidi di mangrovie,
rompiamo
calici cristallini,
pregio,
le nostre
navicelle
trasportano
trascendenze;
donano un senso.
Inghiottiti
nell'iperspazio,
ophiucus
con vele argentee
di draghi cinesi,
sforiamo nelle
galassie
e, nutrimento, la
via lattea
ci
sbalza nel tempospazio di una virgola,
nel
luogo buio, intricato
d'una
parete bianca,
tracciabile.
Antares
profuma manna d'Orniello, tacendo tristemente dei disperati Dei, stelle cadute
d'amore, condannati, coatti astri, a luccicare, referenti principi delle
rotte.
Argo,
pietà abbi del
penare,
evitando la
nostra carne pasto,
permettendoci di
poetare
navigazioni nel
pelago vasto
che noi chiamiamo
periglio d'esistenze.
ALLE MUSE
Invoco rispetto
per le Muse.
Sono un museo dal bel canto,
un tesoro nascosto, nelle fratte del
groviglio fatale.
Atomo di bene,
particella di male.
Oh Calliope! Il tuo canto è l’idea,
equivalenza colta nel giardino delle
idee,
che io sposerò alle umane forme.
A MELPOMENE
Cinta dalla
coronata vite,
rossastra di sdrucita sofferenza,
Dea risolutrice di storica
inadempienza,
sovrana lucente, spada di monolite.
Crete dilaniate,
madri ferite,
capri sacrificali, essenza
di spemi e gaiezze smarrite.
Melpomene canta
l’antico affranto,
adagio e nullo il mascherato canto,
se non la dura nota di sconforto.
Il calco tuo incrinato d’acanto,
dei condannati a guerra nel campo,
giace a Est da Pola, un Mar Morto.
ERATO
Talia
benevola guardava i nostri fuochi, rincorrersi vampate tra i colli, giochi di
flavoni e antociani,
di mani bramanti, folli; fiorivamo sculture di luce.
L'algia
truce ci dissolvette, in canti e colori boscherecci d'angeli foiani.
Spiriti
incendiari, lo scotto fu tale da rostirci:
tu,
nei precordi luciferina fiamma,
io,
nell'arie foriere di suoni,
a
vestire il giardino tuo pulsante,
Erato.
MNEMOSINE E CLIO
Lemure,
nelle
foreste della genitrice, spauriti si dibattono gli sconcerti del mio io, e
muore in bocca il vero, diamantino boracifero prorompere dalle rocce.
Restio,
indugio ad inoltrarmi
in
rimembranze sepolte,
nella
realtà, imperscrutabile sfinge
Inenarrabile.
Impatta
laringe, vedere Clio,
le
epopee umane, i ferri, l'arti, le progenie,
i
campi della sconfitta di disperate membra sparse
troni
terribili, uomini e comparse.
Dal
suo, nove vene si dipartono, terre dal diverso aìre
E
custodi di natali, lemuri, celate altresì umane morti.
Ciò
m’è dato sentire,
Uno
spirito acceso,
nelle profonde notti
della mente.
A EUTERPE
Danzava la
sinuosa Tersicore,
palpitava l’arpa suoni soavi,
striduli insulti per gli ignavi,
garrula poetessa d’amore.
Fanciulle
d’Euterpe, davan tenore
Ai fiati, in cori mai gravi,
l’infinite stagioni ritmavi,
Diva, del tuo estatico umore.
La rallegrante
pescava miele,
dai favi e mescita disponeva,
sui sensi feriti ed offesi.
Giardini di
sonanti zufoli cortesi,
ove la mia poetica beveva ,
il nettare della grande Cibele.
(entra la
danzatrice che inscena una danza moderna dal gusto futurista decò)
A TERSICORE
Tutto ti fa coro,
fulmine danzante,
le tue gambe, compasso,
disegnano colori e prospettive.
Arpe dolci, le tue lascivie,
lira infuriata, le tue danze,
le vie aperte al tuo oscillante sole.
Oh
Isadora! Oh Tersicore!
Urania,
colonia
satellitare
sugli
ampi peripli stellari
di
bolbulari orbite.
Macchie
oculari, vortici opalescenti sui fari delle galassie, sentieri emersi sullo
scibile.
Umano nucleolo di
bile, non hai mondi da brutalizzare, sogni d'afferrare nuovamente, ne reti
alla tua caduta?
La
Luna è un tuorlo al neon, Marte una promessa smarrita. Nunzio di vita.
l'oracolo predisse nuove carni, nuova natura;
oppure
il niente.
L'indefinibile
morte s'anela d'esser vita.
Urania
levatrice, compasserai dominio nuovo, una chiave alla volta del nuovo Sole.
A POLIMNIA
I
Sotto Selene si agitano fuscelli;
molti canti ha la vita,
porpore luttuose, neri definitivi,
bianchi sacrali,
beni e mali in disarmonici equilibri.
Ovunque si sogni,
ovunque ella li guidi,
la sua veste ha un colore,
di trasparente austero dolore.
Polimnia
contempla la vita, i suoi canti,
sotto Selene, lente d’albume e
ricompone,
sotto il suo sguardo,
i vani, umani, chiassosi vanti.
LA
FONTE
Ippocrene
fonte secca inaridita verso le glorie e le beltà correvi stillando vita. Ora
ne lasciti, ne troni, capitale il mio tormento, il presente sento divorare il
senso delle nostre azioni.
Coppale
rugginoso d'Idromiele, a gocce minute, come polline cadute a sterile viaggio.
Fiele
inquinò
le
nove vene di essenza pulita e penando, rabdomante, ansioso, il cuore cerca il
principiare. Si mostra dinnanzi l'arcata antica, la colonna, silente donna
d'iridi addobbata, Dragurina, amata.
Da più luoghi
uno sgorgare di mitici passi alla Fonte.
CANTO DI ORFEO AD
EURIDICE
All’ombra dei
Dioscuri,
tenebra e luce accostate ai nostri
occhi.
All’ombra dei Dioscuri,
l’oro luccica di bene e tanfa di
male.
La belva fiera
divide il passo,
cammino e trapasso,
faccio spola, ora indugio, ora destino
la mia scossa anima in balia del varco.
Una decisione, la
freccia, l’arco,
l’ora, la pentolaccia percossa,
il suo pertugio, la tua linfa.
Ed armonici balenii d’ombre
riflettono i periatti,
sulla carta di riso appaiono i nostri
atti.
Vita e morte
rimangono confine,
crini di cavallo sfuggenti,
superbe ai cuori ed alle menti,
premio di Castore e Polluce,
premio di
nitore e luce.
Riserbo la verità taciuta,
all’animella che muta presso il sacello ,
dov’è tenuta risposta al ciclo
umano.
Tra la vita e la
morte,
sonnecchia
dolce,
il tuo transitorio t’amo.
ALBA
AGLI ALBORI DEL
MATTINO
Intarsi di luce
su anime di vetro,
svolazzi di cori d’ombre,
e scintillanti vetri di serragli.
Il mattino spezza
i fianchi dei colli,
coi ruggenti aliti di brezza.
Nube,
l’amarezza del giorno al disincanto notturno.
Labbra
d’argilla su foglie di creta,
dalla lamiera non fluisce suono.
Non staremo al capezzale delle
ideologie,
noi
andremo avanti per altre vie.
EQUIVALENZE
Ampie armonie
s’infrangono,
sugli scafi arrugginiti ormeggiati sul
tramonto.
Legni gloriosi
solcano,
le crespe della fronte, alvei del
pensiero.
Sono nuvole
equivalenti dalla rotta incerta.
D’abbasso,
cetre elettriche gemono antichi dolori;
qua, pace e silente, lo spazio d’elci
bronzei,
e di bacche purpuree.
Rosacee pungono,
incidendo nella dura scorza, brevi
tagli nei cuori.
Ferite sgorgano
acqua,
mieli, linfa, anili d’indaco,
balsami agli umani mali.
In alto l’amore è un abbandono,
candido e boschereccio,
che da, fortifica, e rende frali.
MORBIDA VISIONE
La lanugine dei
tigli ti fa vestito,
morbida visione:
il
bagaglio vuoto,
l’occhio insabbiato,
clessidra serrata.
Le tue scarpette
di Venere,
la tua pergola tutta scotente,
frutta matura sul cielo colta.
Nuda riveli,
lo spirito sconfitto,
l’occhio languido,
i fili d’Atropo recisi,
sul petto intinto e caro,
che con dolo passò sulla croce.
Nulla ci valse
l’atroce volo d’Icaro ?
Conducimi
senza timore
per sabbie
inquiete,
magmi e sommosse
telluriche,
per terre crepate
e città recondite,
per slavine
dolorose e
per tutti i
dolori che vennero,
per coloro che
verranno
in
sereni lidi
di
tamarindi, begonie, ninfee e cardiopalmi,
uscio procelloso.
Demetra!
TU!
Non
altro chiedo:
turbini di nuove pelli, agitarsi felici di carni, anemoni, picea, abies alba. sacri cerei, sugherete, miracolosi velli, ed esser padroni del fato;
IO!
Ridiscenderò
nei
perché dell'opaca esistenza,
fallimentare,
mediocre, scura,
Dea minore Ciné,
ahimè,
giungendo
alla metropoli bugiarda.
Pel
Pi greco conducimi. porta Tenaria, presso l'inferi.
Risalendo,
dispensa un lavacro di letizia.
Io rinnoverò il
patto
nei roseti.
Larice
intramontabile,
passerò
le stagioni
sempre carico e
verde di gemme.
Etrusca,
gala silenziosa,
le Eliadi
sposeranno giuramento.
Città
mortuaria rinfranca,
preserva
le ceneri, i lumi;
serba la forza,
divarica le
porte.
iscrivi un nuovo
passato
nelle dodici Virtù,
dodici pianeti,
reincarna
corpo e spirito in nuova sorte!
Vivida splendente auriga mattutina,
sulla brina posi riflessi roridi ed
ardenti.
Compari estiva,
agrume, sfera lucente,
verghi del succo dei tuoi spicchi la
terra.
Porta che erra
in altri porti,
conduci a mondi paralleli,
ed alla meridiana umana,
presti i raggi generosa.
Bussiamo
all’Astro, bussiamo alla sua porta!
Che continui a
dare sembianze agli specchi,
immagine al trasparire del vero.
Astro dei primordi, ogni dolore
disinfetti,
conforti.
NON LASCIARCI
SOLI AL COLTELLO DELLA SACERDOTESSA D’OCCIDENTE.
Collardente (20-05-2000)
L’uccello lira danza sui tuoi colli,
l’arnica rende i respiri netti dei contorni,
passano giorni, onde di vapore, sulle arenarie
e non riesco a colmarti del mio sguardo,
che tutt’attorno vengo chiuso dalle forme del tuo pensiero.
Un lascito tormenta la memoria del commiato,
ti aspetto ardente sulle tue rocche,
mentre cingo il tuo manto,
sul confine di astori senza terra,
aggrappato al ricordo sulle pareti,
arso dalle fiammanti tue ali,
araba fenice che si spense nei greti.
La lasciai nelle gole, pietra urlante,
guatando le acque.
La lasciai nel letto del Bendola, coperta di
fiori,
la mia dolce Ofelia vestita di corolle, perdita,
addio.
Il dolore corse la corrente, risuonò,
voce di corvo, voce di Amleto, nella gola.
Andando avanti, lungo giardini di rododendri,
rabbie a precipizio, prati di astri bianchi,
seguendo gli abiti delle pernici,
le tracce dei lupi, si smarriscono i sensi.
L’anima non trova ricovero, i ghiacciai percolano
precipitati di lacrime, ingrigiscono le albe.
Dormo solo sul tetto di tre confini,
straziato nel petto dalle aquile,
sfinito dai rimpianti, dominando la resa del cosmo,
atterrito dalle solitudini boreali.
Bajardo
Baio nero,
t’aggiri furtivo nei nebbioni,
dove le nevi arretrano e primule
giocano il loro tempo.
La cerca di Rolando,
del senno che dimora nelle rocche avite,
il magico cerchio druidico,
le trascorse vite.
Tutto è simbolo,
ancor più negli Addii.
Splendido amore sui prati,
concupito dalle nebbie,
involato sulle malinconie,
fuggite ad oriente, attendi smarrito dalle cime
il bacio notturno del mare.
Roccia umana,
asse d’uomo squartato,
cardini i laccioli che ti stringono,
dai quattro lembi d’orizzonte,
disseti di nembi la tua fronte,
strepitando aquila il tuo grido,
nel meriggio acceso di rabbie.
Bandito dal paradiso,
volto all’intemperante sole,
percosso dai venti come faggiole.
Dai forti di Marta
(megafono)
Bombi neri ronzano,
rimbombi d’artiglierie,
risuonano nell’aere ammantato di roghi.
Accecante bagliore arido di luce,
rinforzato di piombo si scatena nei cunicoli.
I pubblici omuncoli assisi al loro trono,
rimestano nel fango della vanità dei caduti,
deserto d’uomini, ligure scorno.
Dai forti lancio l’assalto.
L’erbe strinate attendono,
l’aurora di gas e spioventi lacrime,
dinamitarde.
I prati verdi e azzurri d’idrogeno,
sono la pace a ridosso d’uomini.
Senza più mitraglie,
i mostri vivono a valle.
Dal forte domino l’inferno,
e ne sono fuori.
(10 Luglio 1944)
Siamo caduti,
sul manto d’erranza,
liberando la spola,
meditando la riscossa.
I migliori non sono di questo mondo, poiché i peggiori sono il mondo.
Furtiva e fugace dal passo lanci l’addio,
lame d’abete lo infrangono, nudo corpo
nel fiume di lava,
miraggio dei tuoi occhi,
incendiati dai deliri, e giaci a Loreto,
nelle voragini del purgatorio,
passaggio del presente,
transito d’orme loquaci.
Scolori nel sogno, morta cadi
nella terra del non ritorno,
dove il passo è di nessuno,
ed il tuo ricordo, ombra di
falco.
I
Qua s’innalzi il canto,
arda finché può.
Scosso il tirso,
agita la chioma
slancia il passo,
meticcia l’idioma,
in basso quindi in alto,
s’innalzi il canto.
II
Dai greti in controluce,
la gemma distante dei tuoi occhi.
Risorta fenice muovi gli assalti,
accechi di sogni il nostro medioevo.
III
Stanca la terra dell’uomo,
l’orma non ha luoghi,
né forma, né cammino,
tentenna incerta e vana
corrotta dal destino.
IV
Cilestrino cielo senza memoria,
perdesti le albe,
fugasti le piogge,
grigio di piaghe,
perso nelle tue fogge,
a terra.
In quella terra calunniosa,
che ti cancellò il riso,
disperdi la torma di nubi
che nasconde il viso di lei,
portato dal vento.
La sento,
scrosciarmi accanto, in mille rivi, pianto che sorge dai declivi.
Amore.
Il cielo attende il tuo ritorno,
la terra insegue il giorno.
Dio è più vicino nel cielo oggi.
La città risuona nei tronchi
negli archi di fronda,
in zufoli cortecciosi,
la parola rimbomba
soffocata nei roghi.
Ci giunge lontana, prende la via del bosco.
Dio è più vicino oggi
Che non giungono voci ma suono.
Il Fantasma di Amleto.
Quegli sterpi li noma
fiori,
danzando il suo dolore,
fissando vuota il mondo che non è più.
Ed io la guardo roteare,
malata come il mondo,
vecchia e triste quanto la terra,
eppur sì giovine, già perduta.
Spirto femmineo, fatale,
hai le tue schiere di ambigui,
non più uomini, letale
il tuo volerti nuova.
Sei sempre la burattinaia dell’universo,
infelice e impotente del tuo solo volere,
di governare i cuori,
schiava del potere.
E tu buffone mi facevi ridere,
mi sembrava di vivere,
non conoscevo la storia,
amavo.
OFELIA.
Il mondo è una spirale,
viziosa, strana, ineguale.
Il mondo è una spirale
Stringi stringi scompare
Al cospetto della tua bellezza.
Amore sei l’unica cosa buona,
domani marcirai. Non so…
Mantieniti per quello che sei,
almeno in quest’ora di afflizione,
salva nella poesia.
A me nulla vale,
l’estinguere il mondo,
l’estinguere la spirale.
Il mondo è verme, il mondo è male.
Perché il male continua?
Qui tace il verso, muore la rima,
ogni altra cosa ritorni al nulla.
II
Il mondo che ho lasciato,
l’insidie che porta,
è frutto marcio del possesso,
adesso che compreso,
è frutto reso.
Non intendo più mangiarne,
colmare il mio dolore terreno,
ma porre fine a ogni cosa,
tormi il cuore,
tormi il senno,
preservare l’animo e il sonno.
Destandomi per altri frutti.
Finalmente l’alba ha fugato le coltri.
Le nere nubi sciamano altrove.
Sveglio, l’animo s’apre agli orizzonti,
ebbro di celesti incontri, dissipa la gravità notturna.
Finalmente l’alba mi sorprende nuovo.
“La FENICE è il mio cuore, la mia penna, la mia iride, il fuoco dell’era nuova. IL Futuro, un battito d’ali.”
(La
danzatrice Ofelia è coricata,
morta, nel letto del fiume.)
POEMA DELLA FENICE.
La vita
giace su versi mai scritti,
scia dalle ali infuocate,
crocicchio di speranze scemate,
perdute nel corollario di storie.
Le sbornie, i pubs, le birre,
le crepe della ragione, gli strappi del sentire,
riflessi nel vetro.
Tetro tempo senza dimora,
soggiogato all’apparenza, votato al consumo,
indolente e taciturno di promesse.
Qual messe ci lasci!
Pula e paglia d’oro, accecante gli occhi,
universo di scienze senza sbocchi.
Hai tolto il sapore, l’odore, il canto,
i raccolti, lasciando la terra spoglia e livida,
creando cannibali di sogni,
malati d’obsolescenza senza traccia,
vinaccia secca e sterile.
Tormentandomi le ali,
infiacchendo l’entusiasmo,
raggelando la spontaneità,
nel mescere l’attore al coro,
predicando le masse, seppellendo l’alloro.
Unendoci ai conviti delle
mezzane,
ai loro mercati catodici,
cavandoci l’animo.
Avverso tempo d’avanguardie
di poeti servi e canaglie,
malaticci, postribolari,
ardi sui tuoi altari incenso di gramigna.
II
Cattura i rami fenice,
fanne pira per i delitti,
per quelli uditi, per quelli scritti.
Pulisci il nido,
col grido e con la morte,
estingui la specie,
soffocala nell’alare tua forza.
Brucia i simboli, gli atti,la
scorza
di quest’indecorosa marmaglia,
fanne paglia e scintille.
Rigenerati nuova e muovi il
sole.
III
In
un pub,
le specie umane
s’attardano,
frenetiche ninfe fanno
baccano
per coribanti decaduti.
Felici e cornuti.
Vita
li fece, inadatti a volare.
Un’equa compagnia per
questa sera,
nella notte del mondo,
nell’alba del profitto.
Ci
sono i figli della protesta, gli avvinazzati, da qualche parte,
i localisti, i
provinciali, gli ex tossici,
immersi nei baccanali.
In
altri lidi vi sono i rampolli migliori.
Le loro vesti di piccola
gente sciattamente elegante, l’aria da commesse,la parodia delle star,
vittime del pederasta di turno, stilista, designer, parassita.
Quest’enfia baracca di
padri indifferenti e figli soli e
schizofrenici , grassa, accoglie le nuove mafie dell’est.
Babele
ha le sue torri dirute.
Babele ha una sua musa,
la musa dallo schermo
freddo,
specchio andato in pezzi.
Rivela le magagne ed il
dolore,
la felicità drogata, la
poesia corrotta, la prosa vana.
Sorridi
piccola!
L’alba ha salutato
Babele distrutta.
Tu dormivi. Destati
e sogna!
Vieni
fenice arsa.
Vieni e brucia ogni cosa
.
Cancella ogni traccia.
Infondi amore
Infondilo nei superstiti
al tuo fuoco distruttore.
Purificaci e rendici
fratelli nella vampa.
Una nuova umanità, una
nuova specie,
incensi di speranza che
vanno bruciati
per il tempio della nuova
fratellanza.
Oh!
Metalli colati nel bacino dell’oro,
forgiatori di uomini
nuovi,
immemori, capaci
d’amare,caldi d’energia.
Intelletto d’amore.
Vieni
Fenice a rinnovare il cosmo.
Vieni fenice, e rischiara
la paura,
conciliaci alle ombre,
ricongiungici al cielo,
rivelati alla luce.
Un’
alba colorata ti onora,
è
l’alba nuova ch’accende i desideri e i canti, la passione della nuova
stirpe.
La
fenice saluta i suoi figli,
li regala al universo,
li infiamma
d’intelletto.
Principio e scintilla del
mondo.
Luce di una nuova era.
IV
Fenice
senza tempo,
progetta
novelli umani in questa vecchia terra,
per
questo vecchio uomo, carcassa disarmonica, corpo svuotato, indole lassa.
Ripulendolo,
scavandolo, dandogli nitore.
Rinasce
una nuova razza, rinasce una nuova corazza a contenere l’animo, e muove il
sole.
Raccolgo
i tuoi capelli, sono petali accesi, essenze
che stordiscono, emananti sentori pungenti
Ed il
mio senso nel tuo amore è un rosso incanto, che arde, si rigenera e muove.
V
Al
termine di questo buio lattiginoso di stelle,
vedrò
sul tuo nudo lunare corpo i percorsi della luce
ed
Apollo mi restituirà la vista ed il verbo chiaro, le traiettorie esatte del
pensiero
la
leggerezza del volo e il tuo affetto.
Questo
privarsi di gioia è lungo,
ma non
sarà eterno.
Ti
attendo saggia forza,
senza
più dolore che sia manifesto,
dentro
l’avamposto solido del mio spirito.
Ci sarà
un tempo per la cura e la gioia.
Ci sarà
un tempo per la luce.
Noi
andremo là,
piccola,
dolce, nostalgia del futuro.
Fenice.
Bensì
nascosto in attesa di miglior luce. Posto al sole.
Sotto lo
sguardo eterno.
(Il
poeta abbraccia Ofelia)
2001
Braci di fenice, ardete!
L’alba e’ giunta sul ponte,
caldo vento di speranza.
Fuoco sulle palme,
fuoco dell’animo.
L’alba e’ giunta, un
richiamo
muta in oro l’animo,lo spirito ebbro,
quel che resta dell’uomo.
E lo infiamma contro il
mondo.
LE ALBE – Ofelia
danzava sul far del giorno.
”
Danzava l’aurora,
sul
ponte della vita,
sopra
un paradiso distante,
al
di là degli inferi.
Quest’aurora
danzante
ha
deliziato il mio cuore,
rinfocolato
la mia fiamma,
guarendomi
dal mondo.
L’aurora
ballava in tondo,
saettando,
progredendo,
sprigionando
scintille,
forma
di vera vita, sana,
più
che umana faceva faville.
Ho
visto noi cara Ofelia,
liberi
dal dolore,felici,
sciolti
dal mondo,
nella perfetta
armonia del mattino.”
Nell’alba siamo reali,
il mondo un fantasma.
Nell’alba io la guardo danzare,
odo i suoi passi. Liberata e felice.
Buio.
Fine.
(Ofelia
danzava sul far del giorno)
Consolle:
Valerio. Mixer Audio ok- 2 microfoni,2 aste, 1 LEGGIO
EFFETTI VOCE.
Gruppo
dal vivo e relativa strumentazione. Giovedì 30 agosto.
ORG
E Musicisti:
LUCI
–PIANO LUCI e vari lumini, lanterne, fiaccole.
TESTO:
Nuove liriche sull’Alba e vecchie sull’Alba, alle Muse.
SCENOGRAFIA
vedi sopra..
MUSICHE
–Accompagnamento Valerio e altri musicisti.
Suoni
e mixer Valerio Venturi. DURATA 1 ora
OGGETTI
- PALCO
2
FIACCOLE
EFX
LEGGIO
SPOT min 2
scotch vari
LUCE LEGGIO
CASSE
2 MICROFONI
CASSA SPIA
3 cavi lunghi
SCENOG SPECCHI
MIXER
2 cavi piccoli
DRAPPI Tessuti.
MAPPAMONDO
2 asta mic
COSTUME
trucco viso.
Costumi
ballerina vari per ogni momento poetico delle varie danze.
(costumi
sibilla –scenografie sibilla)
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IN
SCENA
Attore:
DARIO VENTURI
Le
muse, Le Albe, L’alba della Fenice.
Costanza - APPUNTI.musicisti
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