Edoardo Vitale 

 

Profanai la tomba della nobiltà Accoglimi madre Solo e da primo venuto Ho noleggiato una baracca L'ultima sera

 

Profanai la tomba della nobiltà

la notte che il mio amore

stava inseguendo il mio tormento.

Un giorno nuovo già

mi sbatteva in faccia

la passione che ancora a volte

si lascia andare al fascino

delle stagioni.

Allattata fu l’alba del ventisette,

numero come coriandolo

lanciato nel sobborgo;

lo sguardo della donna

svanito in un secondo.

L’asfalto, subito uscito dalla galleria,

raccontò dell’arco ostruito

dalle lacrime di un pianto.

 

 

 

 

Accoglimi madre in quest’era fatta di spade;

rovine su rovine, questo il fitto duellare.

Non c’è demenza né martirii sdegnosi,

è solo un paesaggio incompiuto in cui

il pittore si è addormentato al sole.

Salvatemi e salutatemi perché sto andando a casa

di quest’inverno intenso.

Il grembo tuo su quel traliccio ad attender

le parvenze del mio immaginarti ad Atlantide.

Andata e ritorno di un amore che non ha di che limitarsi;

madre,le mia braccia non sanno più dove cercarti.

Lunga vita al re ed alla regina, ad ogni litorale

il suo lembo di mare.

Nutrimi del tuo incosciente liberismo

perché il mio ammutinamento è veramente povero.

E’ come bracare un infante assaporare la tua esistenza;

io bimbo vidi me adulto e madre coetanea

per una longevità senza leggi naturali.

Sentito dire e sentito fare, basta poco

per essere servo del male e rinnegare madre;

là scivola e si contorce il ritmo del mio sangue

per espugnare un fortino che non ha soldati a difesa.

Perdona come fai sempre, madre,

questo mesto imbrunire;

ogni parola che dico

muore sulle mie labbra.

 

 

Solo e da primo venuto

giunsi nel perduto campo.

Come dell’ebraismo ebbi

parola solamente.

Per novella tacqui,

per silenziosa pestilenza

venni a contatto.

Nel letto del rifiuto di quel torrente

che non ha soluzione,

domando pietà per le parole che non ho detto

e per quelle pronunciate troppo spesso.

Ma che pur si dica, non la intravedo neppure

la fine di questo bisogno,

estensione sontuosa della miete parola donna.

Adorna di posa e privata della pur minima comprensione,

mi rende servo della più antica assunzione.

L’amore povero e stralunato di colei

che lo detesta ma lo conduce;

fino al giorno di oggi sconfessato,

di poche frasi sia bene ricordare

ma sufficienti per chiudere gli occhi

ed avere qualcosa a cui pensare.

 

 

 

L'ultima sera lui passò a prenderla un pò

in ritardo,l’emozione aveva fatto in modo

che si perdesse per strada.

L’ultima sera la vide salire in macchina

e se ne innamorò di nuovo, come già era successo

tutte le volte precedenti.

L’ultima sera fu una di quelle dove la pioggia

non la senti perché con lei accanto si può pensare

che esista anche il sole della notte.

Già con lei accanto, e lei lo prese per mano

ma lui non pianse, come poterlo fare innanzi a cosa

tanto bella; è come sperare nel giorno che viene,

senza che lui quelle parole non gliele avesse dette.

L’ultima sera nacque dalle ceneri di un ricordo

che viveva tra le vie di una città.

L’ultima sera, l’ultimo giorno di un solo uomo

che narra di una bocca tanto lontana

che conserva il dolce rumore di una passeggiata.

La notte venne e se li portò via sopra al treno del vento,

la verità lui le mise al collo,

su di un contorno divelto;

la mano sua lasciò

ed in quello squarcio di tempo

vide la sua donna

allontanarsi.

 

 

 

 

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di-font-size: 12.0pt">La notte venne e se li portò via sopra al treno del vento,

la verità lui le mise al collo,

su di un contorno divelto;

la mano sua lasciò

ed in quello squarcio di tempo

vide la sua donna

allontanarsi.

 

 

 

 

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