Chi è l'atteso?
Leggo Isaia con
occhio postmoderno :
mai si trastullera’ il bimbo col serpente
mai pascoleranno assieme vitello e leoncello.
e ascolto voci dal deserto minacciose
di chi si ciba ancora di miele e di locuste,
mi sfiora il dubbio “ ho padre Abramo,
saro’ salvo ? “ ma so che oltre è la risposta.
Affiora qualche memoria : un tavolo
con cinque o sei presenti, un certo odore
dalla cucina a legna, il caldo troppo intenso,
un freddo fuori di cui s’è persa traccia,
un mendicante chiamato a condividere
e quel parente senza casa né famiglia.
Il muschio a fette larghe raccolto
sopra i coppi congelati, solai
sconnessi trafitti da luce squincia
e polverosa, legnaie rovistate
per allestire una capanna.
Ombre, tutte andate e che m’osservano
con mani tese nell’abbraccio,
ombre cui parlo senza tristezza
mentre attendo la con-versione del cuore
ma so che è più facile recitare
“ alzati e cammina, piuttosto che,
ti sono rimessi i tuoi peccati. “
e prima che la scure sia posta alla radice
vola la domanda : chi è l’atteso ?
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Ricordo di Ivan Del tutto
lercio e puzzolente era, nessuno può negarlo,
e le venuzze al naso dicevano di lui più d’un trattato,
però sapeva i congiuntivi ed i condizionali
e quando si sdegnava, sobrio ed allucinato,
sembrava uno che imitasse un gay, ma poi
voleva dare l’immagine dell’ orco che spaventa
per darsi un po’ di forza di fronte al mondo.
Col tempo s’era ammantellato anche d’estate,
la barba lunga e nera ( un classico dei Grimm ),
il sozzo cappellaccio, amava pedalare verso il Po
sia nei giorni di nebbia scura che in quelli più solari
portando con sé due cani legati alla mauntain bike.
Gli occhiali alla John Lennon erano il completamento
d’un personaggio convinto d’esser protagonista
d’una storia costruita per suo consumo ed uso, ed
a coloro che adescava col facile ciarlare lanciava
un - buon week end- o -che farà mai la lira? -,
ed a quelli che abboccavano narrava
un poco della sua vita, quella vissuta in sogno
e dentro il sogno persa, ma dietro il vaneggiare
di ragazze avute in gioventù
c’era solo il bisogno di essere ascoltato,
perchè parlava solo ai cani, la sua famiglia,
e forse erano per loro le due rose
ch'io gli vidi cogliere dietro il ciglio
di via Bandiera al civico 36. |
A Fausto
Ma, là dietro, al di là di quel cielo
che s’annega dolcemente nella notte
sì che tu temi che il domani non sarà,
là, dietro la luce rossa di quegli aceri che
s’ammirano pacati dentro l’acqua
che scivola le loro foglie verso la foce,
sono le mie e le tue fragilità, e
le penombre di questo ottobre
che scioglie i suoi colori come
le tempere nel tuorlo d’uovo,
si fanno meno aspre, quasi fantasmi,
presenze che cercano aiuti
ma li allontanano poi con dolcezza
placebo o bugiardini per la coscienza
che s’è fatta conoscenza chiara
d’ un’ esistenza orba di carità
verso noi stessi.
Così cala la sera, amico caro,
sopra le tue palpebre già è sceso il buio,
una mano affettuosa è passata
per portarti la luce che hai rincorso ,
ma un vecchio disco di Modugno
caduto per caso nelle orecchie
mi riconduce oggi quel tuo corpo
dinoccolato nella danza, un po’ a disagio
come d’uccello quando zampetta sull’asfalto.
Non sapevamo allora di quella pena
che nasce dal vedere un seno sfatto
mentre allatta sopra un marciapiede,
né il dolore d’un cane alla catena,
e non pensavamo ancora d’essere noi
quelli sopra una carrozzella spinta a braccia,
nessuno lo credeva, ma ora stanchi
di remare sempre controcorrente
( certo te la ricordi la prefazione del Grande Gatsby )
quel dolore s’è fatto vero
anche se avrai trovato la fontana
per la tua grande sete.
Ora lo sai dov’è il posto delle fragole
e com’è finita la partita a scacchi
col cavaliere mascherato.
Abbiamo entrambi perso,
solo un’attesa è questa vita
l’attesa d’un incontro definitivo
senza gli sciamani che riportino
un significato al nostro infinito peregrinare
senza quella solitudine che ci fa da scorza
ma ch’è anche un grido di vittoria.
Tu vivi ancora, amico mio, vivi
nei cuori solidali, vivi
nelle tue parole sulla carta,
ora che sei tutto nell’incontro
che inseguivi fin dai tempi
di quelle danze giovanili,
prima di farti presenza solitaria
che anelava la solidarietà ,
ora tu vivi.
fine ottobre 04
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Pensieri d'un
vecchio babbione
era nel giardino
Ho ramazzato foglie nel mio giardino
(senza ricordare
Giacosa
Ungaretti
o Whitman,
t'assicuro)
ma solo un ramo di vite/a rossa
regalata tra le pagine d'un libro
.........d'Erba. [/
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Il Barbour a cui tenevo...
T'ho comprato di corsa
in Regent Street,
era il 92 ( forse il 93 ),
hai fronteggiato nevischio canadese
senza farmi rimpiangere il montgomery,
t'hanno rifatto due volte le cerniere
cambiato due snaps color del rame vecchio
e rattoppato la cerata sulle tasche.
C'eri nell'inverno quando m'inventai
la storia dell'overbooking,
era il 95 me lo ricordo,
e finsi di rientrare un giorno dopo
per rintronarmi con lei
in quell'hotel fuori Linate.
Strano e' il destino,
ora t'indosso solo per scopare
le foglie secche nel giardino. |
Quel fossile ritrovato
( Per te )
Quel fossile che tieni nel forziere,
a te più caro perché il suo rinvenimento
ti costò una ricerca appassionata,
quello che parla di come la vita fu
nel tempo delle stagioni inesistenti,
guardalo sempre con gli occhi
di quell’istante in cui divenne tuo,
osservalo con dolcezza, contiene
un essere vivo un tempo
che la marea ha rilasciato
perché tu lo rinvenissi quel mattino.
Di certo lui non ti sperava
ma il tempo ha bloccato nella roccia
tutti i pensieri suoi e i desideri
come ha fermato i miei in quell’istante
che m’ hai abbandonato quel bacio in bocca.
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Nel 57 Annamaria aveva 17 anni,ora se la fanno
i vermi tra i denti del suo sorriso
ed il suo uomo faceva le stagioni a Cortina
e quando torno' ballavamo tutti su quel disco
che questa sera, anno domini 2004,
mi fa ancora muovere sotto un tavolo
di un ristorante, pardon si fa per dire,
al ritmo di Bill Haley e dei Comets
ed il ragazzo che serve non capisce
perche' io faccio Yeah, yeah
da solo come se invitassi la Roberta
sul disco di Elvis nelle feste
quando alle ragazze troncavi la vita
col braccio e loro danzavano a pancia indietro.
Si, lo senti quel mignolo sulla tastiera del piano
e la fiera di paese e la calcinculo
e noi che ci preparavamo al domani
che non sarebbe mai venuto ed ora e' il passato
assieme ai Martini di allora
mentre ancora sgambetto ascoltando Tequila
e torna quella gioventu' che porca eva
non ti muore mai di dentro e tu la rincorri
come un assetato che pensa ancora ai 78 giri
mentre la puntina del giradischi s'e' consumata.
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Ulisse alla
deriva
Raggomitolato
dentro una spirale
d’ossessivi pensieri, vacilla
sopra tavole dalla salsedine ròse.
Da giorni giace la vela sgonfia
stretta all’albero, straccio stazzonato
che la corrente allontana da rotte solcate.
Il viaggio è senza confini, mentre
il giorno e la notte si fanno leggeri
come fumo di stobbie l’inverno.
Nell’ora vicino allo stremo,
nella notte di madreperla grigia
aveva slegato le cime per stemprare
i riti consacrati dal tempo,
ma le terre e talvolta i colori
gli feriscono la mente e scavano
come raggi che uno specchio
rimanda a trafiggere gli occhi.
Quando l’onda lo fa rimbalzare
ed affanna le assi sconnesse
l’addolora essere solo a doppiare
le scogliere della buona speranza.
Puntando una stella si lega alla barra
ma la veglia si fa inquietante
torna l’angoscia d’aver carne e pensieri
ed allora neppure un oceano basta.
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di grigio
l’assenza
E lo
guardava morire l’autunno
dietro la grande vetrata del museo
ma di grigio era l’assenza
che lei riempiva di quadri e colori.
L’osservava morire quell’autunno,
l’ autunno degli anni nascosto
dai vetri che sbalconavano sopra
un giardino, una pianta seccata
che s’avvolgeva alle colonne
d’una casa vecchia Inghilterra.
“ Some more coffee, madam ? “
e sentiva l’inverno arrivare.
no, thank you, may be later
Si parlavano le coppie nel mondo
c’era sempre qualcuno seduto in un bar
che porgeva parole a qualcuno,
ed anche bambini, c’era chi si amava
senza cercare un sorriso diverso.
La tromba di Miles intrecciava con calma
un discorso con i tasti d’un piano
e le corde di un basso.
Si era messa al riparo dentro tele e sculture
ma sapeva che se un quadro le bucava
la mente non sapeva a chi dirlo,
era un cactus nel deserto assolato.
“ Yes, some more coffee, please. “
e l’inverno avanzava di un passo.
|
Domenica d'estate
Riverbera e ondeggia l’asfalto in lontananza
miraggio dentro l’afa che affloscia i desideri,
nel campo a fianco volteggia un irrigatore
e sgocciola sottili arcobaleni in controsole
calati a pioggia sui lunghi gambi del granoturco .
Manca la fretta all’incrocio ,fermi al fuoco rosso
e manca il clacson petulante all’arancione,
la vita è sobria ma rarefatta, sembra sospesa
passata altrove, in luoghi che la reclamavano.
La farmacia di turno domenicale è sempre
all’altro capo della rocca, e tutta la devi dipanare
prima d’entrare nel gelo d’una stanza
che ti rimanda a Dante e al contrappasso.
Sulla panchina un foglio di giornale
copre un volto assopito, ma lascia
scoperti due piedi di colore che hanno di certo
calpestato terre colonizzate prima del riposo,
e due ragazze con ascendenti indios o peruviani
cinguettano con occhi tondi ed appuntiti.
Estivo vagabondare d’una mente oziante
in libertà d’agosto, che non s’accalca
nei cori giovanili, ma s’alimenta con canto
solitario e col silenzio d’un’attesa nella quiete
dietro portoni secolari e luci di fiammelle.
Poi lontani tuoni nella sera rinverdiscono
speranze di frescura, ma due gocce
spiaccicate sul cemento non bastano
al rosa dei gerani, all’orto boccheggiante ,
e intanto l’ora s’ è disfatta ed io incrocio
un tocco con le mani sulla fronte e verso il petto
poi numero nel silenzio gli umori insoddisfatti
e mi domando di che colore sarà il buio
dentro l’ultima dimora conosciuta.
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La notte di San Lorenzo
E mi trovai con voi ,
ragazzi distesi nella notte
che di giovane blu era tessuta,
quasi aggrumati ad aspettare
che il cielo lacrimasse stelle.
Nel buio era l’attesa
del prossimo partire,
la fuga dai destini scritti
verso nuove stagioni
in vecchie aride terre.
Tutto di voi parlava
di nuove latitudini
ma dentro me tremavo
sapendo quanto è lunga
la notte della veglia.
|
Scende piano la sera
La da zù pian
La sira d’inveran as ma sèra addoss
co’ ‘l so tabarr ad nebbia gièlda
ad fredd ca giassa l’anma e i oss
e am pèr ca sia morta la speranza.
La da zù pian, la sguia insima al mond
cma l’arciam dla campana surda
ca cumpagna i mort fora ad la cèsa,
e la ta streinza in una morsa seinza lus.
Gir i stra fora da i me sinter , guèrd
dadré il teind, dein il finestar cièr
ca i lassan ved la vita seinza daffè ,
al piaser da buffè un po’ prima da doram.
Il vus i vegnan da distant ma i paran mut,
i libar in si scaffal i scadan i ur
ad chi è sed zù a legg’ in sla pultrona,
un mazz ad fiur la slonga la so ombra .
Urmai l’è nott fora di scalarol :
g’ ho nustalgia ad puggia la man
insima la tuvaia , inturan al me biccer,
ad mov la scrana ad la cuseina,
culgam in dal me lett e respira l’udur
c’ ho lassa in sal me cussein,
intant c’as ma dasleuga dein ,suttila e greva,
la malincunia dal de ca s’è smurzè.
...........................
La sera dell'inverno mi cade addosso
col suo tabarro di nebbia gialla,
di freddo che ghiaccia l'anima e l'ossa
e mi sembra che sia morta la speranza.
Scende piano, scivola sul mondo
come il richiamo della campana sorda
che accompagna i morti fuori dalla chiesa
e che ti stringe in una morsa senza luce.
Giro strade fuori dai miei sentieri, guardo
dietro le tende, dentro le finestre chiare
che lasciano vedere la vita senza il daffare,
il piacere di respirare un po' prima di dormire.
Le voci vengono da lontano ma sembrano mute
i libri sugli scaffali scaldano le ore
di chi sta seduto a leggere in poltrona,
un mazzo di fiori allunga la sua ombra.
Ormai è notte fuori dalle imposte ,
ho nostalgia d'appoggiare la mano
sopra la tovaglia, attorno al mio bicchiere
di muovere la sedia di cucina,
coricarmi sul mio letto e respirare l'odore
c'ho lasciato sopra il mio cuscino
intanto che mi si scioglie dentro, sottile e greve
la malinconia del giorno che s'è spento.
Londra, 1998 ( credo )
|
l’anno scorso a Hirohima ( 1946-1996 )
Ombra di me eri nel mattino
ombra di me sei ancora
in questa notte di buio sperduto.
Sfuggisti all’abbraccio e ridevi
mentre inseguivi quel tram
che t’avviava all’incontro.
Rosso avevi il vestito
bianco il viso di perla
altro io non so ricordare .
Era bella la luce dell’alba
a Hiroshima, era bello il tuo corpo
che indossava quell’abito rosso,
rosso come i gerani al davanzale.
Ricordo quel tram che inseguivi,
eri una fragola nel mattino d’estate
e l’agosto assolato scoppiava .
Niente di te seppi tenere,
tu eri lontana quando
il fumo congelava la terra.
Un diamante di luce
mi lasciò le orbite vuote,
tu neppure vedesti le case
come cera liquefatta colare
né la carne staccarsi dai visi.
A me resta il biancore
che mi esplose negli occhi,
il rossore del tuo vestito
e la luce che m’immerse nel buio.
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n. 30
Dal profondo Ti
invoco, o Signore,
ma sono terra
n.31
Risolleviamo
questi cuori, stranieri
all’universo
n. 32
Fragili
emotivamente spersi
leviamo salmi
n. 33
Ti parlo e so
l’abisso tra la realtà
ed il sognare
n. 34
Silenzioso
spalmo unguenti
sulla carena
n. 35
Che pazzo sono :
ho creduto d’essere
pronto al volo
ma ho ali di carta
e oggi fuori piove
n. 36
A tasso zero
vendo vecchi sarcasmi
e restauro
icone, ex voto e
valvole cardiache.
n. 37
Sei tutto matto
dicevi divertita,
ora son sano,
inconsapevolmente
aspetto. Che aspetto ?
n. 38
Silenzi pieni
della incapacità
d’essere vivi.
n. 39
Potevi anche
fare più attenzione
signora mia,
ho un cuore di gomma
si, ma non Good Year !
40
Kandinskji blu
Turner giallo e oro,
dammi la tinta:
puoi verniciarmi
con la tua storia ?
n. 41
Scompari, vai
t’abbigli, m’ami un po’.
Chi sei? Fata
Turchina ? la Sibilla
ed il io tuo Dino ?
|
NATURA MORTA:
un'Atala nera, sigaro e bocce
Era un’ Atala nera,
versione " turism “oggi si direbbe ,
il mezzo che dopo la guerra
l’ amministrazione comunale t’assegnò
per gli spostamenti verso le frazioni.
Ti accompagnò, spesso condotta a mano
come una parte del tuo corpo,
fino alla pensione, tant’ è che mamma
quando mandava me a rintracciarti
diceva “ sèrca la bicicleta, al sarà
al Venezia a zugà al bucc “.
|
Atto di
dolore
La tua
disperazione, quella no,
non è la mia disattenzione
che la cerca, è solo il mio soprassedere
di fronte alla richiesta di spiegare.
E tanta volontà s'arrende di fronte
ai sogni che l'attualità disperde,
resta un rimpianto acuminato
a fare da testimone disperato.
Ma il prezzo del dolore,
di quel dolore che l'avarizia di noi
l'incuria e la disattenzione hanno generato
chi lo rimborserà, e quando ?
Si pecca per omissione e tu lo sai,
forse anche in parole ed opere
ma più per omissione di soccorso,
si pecca solo per disamore,
per malcontento.
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Senza titolo nr.3
Fino a ieri
ho amato
quelle bocche arrossate
che per tutta l'estate
hanno atteso un sguardo,
le ho volute per l'aria carnosa
che osservavo per non deturparle,
s'inchinavano al mio passare
" ti facciamo felice ? ".
Rigogliose per mesi
ora il tempo congiura
e costringe a mutare :
ho cambiato le rosse petunie
con viole gialle, chiazzate di blu.
Dalla neve un petalo di sole
nascerà tenero, e tenace
e sarà un nuovo amore
per il nuovo colore.
|
S-COPPIA-TO
(acrostico rovesciato)
Zuppi e
zeppi gli zebedei di zavorre
verbali, vibrante violenta volontà
uggiolo un ultimo urlo umiliato
travolto tra troppi tentennamenti e
stempero scura solitudine sotto
rimpianti e rassegnata ribellione.
Quanti quesiti qualificati
potrei porgere pur partendo !
Obbedisco oltre ogni obiezione :
non nego nessuna notizia
ma molta melassa maldigerita
lancia lai,litanie lamentose,
intanto che infilzo immagini
hot, hard, da happening hippy
gusto gelosamente gelide gemme
fiorite financo a febbraio
eternamente erette, eleganti ed estrose.
Dentro distanze desertiche e desolate
cerco conforto, concupisco calde consolazioni
bofonchiando brutalmente battuto :
"anima amata, affronterai ansimando amari anni !"
"10.10.04
|
Via, via, fuggi
via
Via, via da
quelle immagini
se quando chiuso nelle toeletta
d'un areoporto ti sbottoni
di fronte al bianco orinatoio sospeso
e mentre l'osservi tu pensi a Duchamp
e concludi " non è arte, questa ". !
Via, via da quelle immagini
se guardando lo Swatch ti ricorda
Dalì ed il suo orologio e rivedi
una pizza sgocciolante da un ramo !
Via, via se sei tu quello
dentro il quadro di Freud
che sta alla Tate, e tu sei
quel vecchio dal pene afflosciato
che osserva le pieghe
del corpo accovacciato di lei,
anziana, più floscia e più triste !
Via, via da quella stanza di Hopper
con la donna che nuda sul letto
s'infila una calza dentro la luce verde
che piove da fuori e tu pensi :
" l'ha lasciata, il bastardo ! "
Fuggi, fuggi via da questi serpenti
che t'aggrovigliano il cuore e la mente
tu sai che meno conosci e più sei felice
" è meglio entrare con un occhio solo che..... "
Perchè i vermi s'annidano
sotto il masso della memoria,
ti risvegliano all'alba
con il loro strisciare ,
li vedi i pensieri aggrupparsi
e ce n'è sempre uno sull'altro
con la sua sostanza di morte.
Via, via fuggi via, amico
cancella le immagini e( forse ) vivrai .
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Omaggio a Michelangelo
Antonioni
L’incontro al
parcheggio
( sceneggiatura di una poesia )
omaggio a Michelangelo Antonioni
campo lungo
Cielo di
cobalto
con bioccoli di nubi all’orizzonte
e un sole di settembre
che scalda l’aria e il cuore.
Avvicinamento
alla donna
Si consuma la donna nell’attesa inusuale
“ dopo il casello, c’è un parcheggio,
verso le dieci, io ci sarò “
primo piano su lei
“ Certo m’ha vista in quella foto,
ma poi ? sarà deluso ? “
La mano corre al volto
s’aggiusta un po’ i capelli
sfiora le guance quasi una carezza
“ e no che non sono magra,
si sbaglia lei, mia madre “
Flash back
“Continua pure a far la matta,
non vedi che sei disfatta ?
Vai da un dottore, sei magra “
Primo piano donna
Madri, mariti e figli
tutti accumunati
dentro un disegno astratto
gabbia dorata senza uno spazio
per togliermi le scarpe.
Ma questa ansia,
questo rodermi sottile,
la voglia d’una mano nuova
che mi frughi dento le viscere
nessuno la conosce,
né la condivide.
Campo lungo.
Esterno
A fianco sull’autostrada il fruscio
costante del nastro di vetture
zoom sulle mani
di lei incrociate
“ ma dove vanno, dove andiamo tutti ?
piano medio.
Esterno
Un’auto entra adagio, era l’attesa.
S’arresta in altra fila.
Lei riconosce la figura delle foto
che s’avvicinava.
Primo piano donna
esterno
“ Dio, come mi son vestita.
Chissà se gli piacerò ! “
E s’aggiusta lo spacco nella gonna,
aggiunge un tocco alla spallina
ancora un’arruffata nei capelli
e a passo lesto con le mani tese.
Campo medio .
esterno
Dentro quel piazzale
macchine vuote
cristalli arroventati
lamiere di forno ardenti
poco distante lo
wroom, wroom, wroom
di camion e vetture incolonnati
un sole terso a picco
e lei che a passi quasi di corsa
s’affretta verso lui
con gli avambracci sporti
in avanti a catturare le sue mani
campo americano
dei due
esterno
L’uomo scende e le guarda
affettuoso gli occhi, il braccio destro
la circonda, ed il sinistro, incerto,
s’appoggia solo al fianco
come perplesso.
Flash back
della donna
" mi mancava quest’abbraccio,
lo sentivo la notte, ogni notte
nel risveglio.
L’altro mi prende talvolta
ma non mi tocca, entra
nel mio corpo ma le mie mani
non gli carezzano più le spalle
ed egli non le cerca “
Primo piano dei due,
esterno
Con rabbia e con disperazione
accarezza la sua sinistra
e la conduce con decisione
a chiudere l’abbraccio.
|
Acrostico
Assenza verde sulle tue ciglia
Bagnate dalle righe del rimmel
Che scendeva come goccia
D'acida pioggia di fine inverno.
Era la tua anima rinchiusa
Dentro un involucro velato e
Fragile, di ragnatela che
Grondava rugiada cristallina.
Ho messo a dimora i rimpianti,
Innaffiati i sensi di colpa, ma
Lacerato in mille pezzettini
Mi scopro abitato dalla tua presenza.
Nego l'evidenza di questo sogno
Ormeggiato in un porto poco riparato
Pronto a mettermi al remo
Quando si leverà il vento dietro le spalle.
Raggiungimi allora, se potrai,
Sconfitta anche tu dal vivere la vita
Troverai solo frammenti di ciò che ero, ma
Una brezza leggera soffierà
Verso me la tua anima giunta allo
Zenith del suo cammino disperato.
10.10.04
|
omaggio a Edith Stein :
ebrea. Filosofa, carmelitana, martire
Terra infelice, Europa,
che richiedi a noi le decime
della menta e del cumino
e nascondi sotto l’erba
quei binari che trasferirono
la diaspora d’un popolo .
Figlia d’ Esther, e martire
cristiana, tu che spezzavi
il pane azzimo e l’erbe amare
e digiunavi nello Yom Kippur
ti sei fatta solo carne da offrire
a Chi t’era accanto più di te stessa,
anche te Edith, abbiamo dimenticato.
Lontano poi l’orgoglio del sapere
i giorni della ricerca, l’abilità dialettica:
innamorata del Carmelo nulla hai tenuto,
la tua strada s’è compiuta dietro la scritta
A R B E I T - M A C H T - F R E I
ed il filo spinato dei recinti.
Sei uscita dal camino per amore
lasciando l’odio evaporare
dando spazio a quel Mistero
anche dentro l’orrore
che ti spezzò non doma.
|
Pensieri
in poesia
n.41
E dàlla via,
serve manutenzione
non “ fai da te “
n.42
Scartavètrati
dalla pruderie, e
sarai viva !
n.43
Accogliamoci,
pietosamente vivi
e solitari
n.44
Scrivi versi di
qualità preziosa, ma
neghi il corpo.
n.45
Pazzescamente
rincorriamo parole
senza ritegno.
n.46
Cammini sola
autocompiaciuta
e cerchi Dio.
n.47
Assaporiamo
la sofferenza solo
se per osmosi.
n.48
Fuori dal coro
canto solitaria
quest’avventura
n.49
Capolinea !
Sta scritto sul frontale
del tram dismesso.
Scende il guidatore :
finito ha il turno
n. 50
Inginocchiato
cerco la Tua pace
anche se breve.
n.51
“ Io t’assolvo ….”
quanti pioli rotti
in quella scala.
Come Giacobbe salgo
dopo la lotta aspra.
n.52
per le due Simone rapite
in Iraq
e accostiamo
le mani in preghiera
a Te, Signore !
Udisti il dolore
di madri dolenti.
n.53
Nego i sogni
cancello le speranze
tremo nel freddo.
Scrivo il silenzio
di questo esilio
n.54
Il giorno s’apre
con promessa di pianto :
sei lontana
n. 55
Accovacciata
sta l’anima tua
e mi attende.
n.56
Ci torturano
i sogni disperati
della gioventù.
n.57
Raccolgo versi :
Accenderò il fuoco
con questa carta.
|
Circo
di periferia
Volteggia un po’ col fiato in gola
la coppia dei nuovi trapezisti
in alto sotto il tendone, sopra
l’anfiteatro quasi vuoto del vecchio
circo ( serata per la C.R.I, pochi
i presenti-domani si ripete ).
Lei in piedi sulla sbarra, piega
il ginocchio al riverito pubblico ,
cerca la spinta verso il vuoto,
un po’ di saponaria sulle mani
(è nuovo quel porteur, che danza
a testa in giù davanti a lei,viene
da scuola russa, ma si bisbiglia
che ha fatto disastri da altre parti,
chissà che non gli sfugga
l’aggancio proprio stasera).
Cercano il sincronismo le due altalene
l’attimo dell’apogeo dei semicerchi :
avanti, indietro, e poi ancora avanti.
Rulla l’unico tamburino, scende il gelo
del silenzio sugli astanti, batte le tempie
l’emozione, vola nel vuoto la ragazza
gira due e poi tre volte su se stessa
stende le braccia verso il suo destino
ma scivola la presa, manca l’esperienza
il volo non è perfetto come supposto.
(ma c’è la rete sotto, domani
rifaranno allenamento ).
|
Omaggio a
Giovanni Raboni
Il
tuo cognome, ( l'hai dichiarato tu )
che sta in Giovanni 20-16,
già la diceva lunga
sulle tue capacità,
mio caro Rabbunì,
maestro di scrittura,
e ora che ci hai lasciati
orfani della tua barba
e del tuo crine bianco
(mia nostalgia ed archetipo di POETA )
in questo settembre
di un azzurro grigio
sul Ticino, da far invidia
agli amici Sereni e Bertolucci
di certo ritrovati ad aspettarti,
non mi resta che rileggerti
per l'infinita volta
ed assaporarti come un fico
di stagione che lascia sempre
quei grani che ti s'infilano
tra i denti, cosi' i tuoi versi
caro Giovanni, la perfezione
dei sonetti, e la ricerca
laica d'un incontro con quel Lui,
tutta in punta di piedi
senza gridare, quasi temendo
di scalfirLo un po'
coi tuoi quesiti.
Ora non sarà più " Quare Tristis "
l'anima tua, tu che avevi detto
di non amarla ma di custodirla
gelosamente nella gabbietta
delle nostre ossa,
ora l'hai riportata a Lui,
nuda, con tutte le sue povertà,
coprendo le sue piccole vergogne
coi fogli riempiti dai tuoi versi
che sempre ci lasciavano interdetti.
|
C'incontreremo ancora
Certo,
c'incontreremo a video spenti
( o forse è già successo ? non ricordo )
davanti al sagrato d'una chiesa, oppure
in una citta distesa sopra l'acqua
si perderà l'incontro tra due mature
storie costruite su parole cancellate.
Ti porterà lontano il primo freddo
che smorza l'ultimo fiore giallo
delle zucche e lascia dentro il solco
gli ultimi pomodori, quelli immaturi
come noi, a concimare per un'altra primavera.
Nebbia e stanche poesie, commenti deja vu,
ci faranno un po' di compagnia, l'autunno
velerà le tue caviglie con gli autoreggenti
e la meraviglia dei tuoi seni sarà
solo per un occhio che usa e getta.
Tutto prima di vivere, assassinato
come quel bimbo in fasce nella culla,
passi perduti alla ricerca d'una colpa.
Ma chi se non il tempo che non da tregua
ai sogni, e questa lucidità che mi corrode
e incancrenisce anche la tua volontà di viverci
dentro, e disperati, anche per un istante ?
Chiudo ormai gli occhi alla speranza
di traghettare sulla tua sponda queste nevrosi
e mescolarle con la tua risata e con la voce
che talvolta invoca ancora la carezza.
Guarderai un giorno con disincanto
la fila dei tuoi vestiti nell'armadio
dubbiosa se calzare prima o poi
quel paio di di scarpe vagamente trasgressive
e non vedrai dentro lo specchio
la mia figura sopra la tua spalle.
Ti cingerò la vita e sarà sera.
14.9.04
|
Haiku
Ti assaporo
mentre distillo
sogni adolescenti
Ho scavato
la nicchia per mettere
la tua gioia
Ci oltrepassa
l'opaco silenzio
ed il mistero
Mi assopisco
al profumo sottile
del tuo sguardo
La tua voce
incanta i serpenti
nel mio cuore
La tua mano
dentro la notte calma
placa ferite.
|
Un pomodoro rosso
( E'
ancora per te. )
Coraggio, alzati e vieni
incontro
al mio sorriso stanco che scompare,
senza tristezza va e non lasciarti
avviluppare dal mio riflesso
opaco come uno specchio
che ha sfogliato tutto l’argento.
Lascialo a me quel cuore
un po’ dolente che tu ed io,
gli altri e il tempo, abbiamo
maltrattato senza clemenza,
ed io ne avrò cura ed attenzione
quanta ne ho dei pomodori d’orto :
vi scaccerò gli afidi del malumore
irrorerò le sue radici per farlo forte
e poterò i primitivi getti per rimandare
l’energia verso la mente e il cielo,
poi, rosso nell’agosto, te lo renderò
bello e trionfante come il tuo seno.
Ma ora va, senza voltarti
a ripensare a noi disperate
fiammelle della notte e cela
sempre l’ago che ti pungerà
all’improvviso dentro la risata
piena della tua gola,che m'allietava,
ed io ti cingerò le spalle
come sognavi quando nel buio
sussurravi “ dolce, sei dolce “.
E quando il quotidiano fare sarà
l’unico metro del nostro agire
sosta talvolta lungo la tua spiaggia
e osserva l’onda che spande
la frangia bianca della spuma,
sentila dolce come la mia mano
quando cercava lenta la tua pelle.
27.8.04
|
L'ultima lettera di
Aberlardo a Eloisa
Si
son cercate le nostre anime, Eloisa, sai ?
E poi si son trovate, incastrate e perse
ma si riprenderanno perché occhio umano
non afferra tutta la volontà che lo circonda,
ma la mente vede ed il cuore sente
ciò che ragione prima disprezza e poi esclude.
Non ci fu pace dentro noi, solo fantasmi di sorrisi
angosce di passione, strappi e riconciliazioni
perché la profezia di Simeone al tempio
si fece carne viva dentro noi due amanti
divorati da un'unica passione e da una sola fede.
E ora che le tue caviglie sono arrossate
dai rovi che ho disteso sul tuo sentiero
per renderti il mio amore più crudele
io amputerò l’ involucro di questa pelle
che si rinnova ad ogni luna e l’offrirò
con grido lacerato a quel Signore Iddio
che ci sedusse con un disegno
che il nostro sguardo non contempla
perché impostato con mano di sapienza.
Sarà un corpo mutilato, mia dolce Lisa,
quello che troverai nel Suo Regno
ma sarà tuo, come lo fu quaggiù,
e capiremo perché Dio ci dilaniò la carne
ma ci concesse un amore così grande.
28.8.04
|
Un anno sabbatico
( per te, ancora )
Hai chiesto un anno sabbatico
per andare in solitari spazi
come uno storno quando
il suo gruppo l’ ha distaccato
migrando prima dell’inverno
e vuoi volare con quelle ali
piccole ma forti che
hanno sorvolato questo tetto
senza sostarvi per tirare il fiato.
Con occhio intenerito ti seguirò
fino a quando non sarai
che un punto nero
lontano sull’orizzonte,sopra
terre nuove dove l’autunno
è un pensiero già passato.
Arresta allora la tua fuga
riposa l’ala e disseta la tua gola
sul bordo dell’oasi che cercavi,
ma fa attenzione, la caccia
laggiù è sempre aperta,
pur senza alcun fucile
usano reti per catturare
uccelli al passo ed addestrarli
per far richiamo ai falchi.
|
Pietà l'è morta
In fondo, laggiù
dove la strada fa uno slargo,
resta l’odore dopo i fuochi d’artificio
della polvere pirica e qualche cartuccia sull’asfalto.
Che fu dello splendore delle notte
delle palme luminose, degli zampilli d’iride ?
Che è del tuo e mio contemporaneo gioire
dei nostri corpi tesi e poi distesi sopra un letto ?
L’aria della notte estiva rinfresca l’epidermidi
porta suoni di danza sopra l’assito d’una balera
tu mi giaci accanto e scrivi con il dito
sulla mia schiena “ luiss, dolce luiss “
ma il tuo pensiero già s’allontana ed insegue
memorie solo tue dalle quali io sono escluso.
Tu m'accarezzi ma io ti vedo con le mani
attorcigliate dentro una preghiera
davanti a sacchi grigi allineati, a mucchi
di corpi oscenamente mutilati, e vaghi
e cerchi disperata l'anima mia dispersa
tra le macerie di quella scuola, punto
sconosciuto sopra un pianeta ch'è morto
malato d'anoressia d'amore e di giustizia.
No ! grido, io non ho il diritto a questa felicità
anche d’un quarto d’ora rubato al tuo destino
non posso credere che Marzabotto e Sant’Anna
sono di nuovo qui, rivedere l’ebreo bambino alzare
la manica stellata di fronte allo sten nazista,
l’ Enola Gay volare sopra Hirohima,
la bimba nuda ed ustionata correre per Saigon,
le stragi di Mi-lai, gli autobus saltati,
il volo della freccia infuocata dentro le Torri,
no, non posso dimenticare tutto quest’odio
e colpevolizzare quel poco amore che ci doniamo.
Scrivilo sulla sabbia del deserto il nome mio
ma ora alziamoci e raccogliamo le nostre povere catene
abbandonate ai piedi di questa zattera noleggiata ad ore
e lascia ch’io t’aiuti a rivestire con dolcezza
il tuo ampio seno, libera dentro l’abbraccio
anche il tuo pianto soffocato da un mondo
dove pietà l’è morta, come cantavano gli alpini,
lassù sul Carso.
5.9.04
|
Lasciami qualcosa di te
Scalerò il tuo corpo dalle
pendici
con la devozione d'un pellegrino
alla scala santa,
e tu sarai la luce d'un cerino
dentro la nostra notte di dimissioni.
Sarà una breve fiamma :
il tempo d'illuminare i desideri,
cicale che incendiano l'estate,
e poi avvolgerò dentro le cocche
d'un fazzoletto a quadri
l'eco della tua voce un po' accentata
e non mi volgerò a riguardarti,
ma lasciami, ti prego, la certezza
di ritrovarti dentro l'esitazione
d'una foglia secca prima del salto.
|
NATURA MORTA :
un'Atala nera, sigaro e bocce
Era
un’ Atala nera,
versione " turism “oggi si direbbe ,
il mezzo che dopo la guerra
l’ amministrazione comunale t’assegnò
per gli spostamenti verso le frazioni.
Ti accompagnò, spesso condotta a mano
come una parte del tuo corpo,
fino alla pensione, tant’ è che mamma
quando mandava me a rintracciarti
diceva “ sèrca la bicicleta, al sarà
al Venezia a zugà al bucc “.
*****************
Ogni volta l’accarezzavi quella sfera tonda
per togliervi la sabbia, quasi dovesse
correre sopra d’un panno, poi ti chinavi
verso terra, la mano accanto al suolo
e davi l’onda inviando la tua boccia
verso il pallino per calare il segno
a volte solo di due dita, misurando
le due distanze con un tralcio di vite.
“ Dàg un po’ da sponda “ e la facevi scivolare
sull’asse divisorio fino all’appoggio
sopra il boccino, spesso coperto alla vista,
oppure “ ad bott “, e allora alzavi
le due sfere davanti agli occhi
per mirare l’obiettivo, poi due passi
di rincorsa o tre e la tua palla
s’alzava in semicerchio
e si schiantava al suolo
scacciando l’altra dal posto suo,
poi……………..
**********************
Non fumo più da anni, perciò non so
se li vendono ancora quei piccoli cerini
dentro un scatoletta di cartone
che, fatto il punto, estraevi dalla tasca
per attizzare il Garibaldi spento
da un pezzo tra le labbra,
quasi per darti un premio
assieme a un sorso di Malvasia secca.
Te li tolsero di brutto il mezzo toscano
e il bianco secco con quella diagnosi
senza delicatezza “ signora, è tardi “
ma gli anni erano scorsi,
il vecchio Venezia trasformato,
gli amici quasi scomparsi,
ti rimase solo l’orto e la bici
che hanno rubata a me
- la tenevo come una reliquia-
e ora che la distanza tra noi due
s’è assai ridotta, io ti rivedo
Giùvann, quando mi sollevavi da terra
e mi accompagnavi a scuola seduto
sulla canna della nostra Atala nera.
|
Come un cielo del nord
Al nord del mondo vi sono cieli
che mutano con l'ispessirsi delle ore
e nubi che si scavalcano
come emozioni di ragazza:
subito appare un sole d'ospedale
poi è di settembre lungo la laguna
ma è più tardi nube di novembre
che si allunga sopra vigneti in lutto,
ed è anche luce dell'aprile
quando Pasqua è in ritardo
e l'aria graffia la pelle, la mattina.
Cielo del nord mi sento
quando sprofondo e annaspo,
e poi, come nube che s'increspa,
corro lontano e mi racchiudo
dentro i miei umori di ragazza.
|
I viaggi di
Gulliver
Moldavia
A tratti piove sotto lo struscio cittadino
nella provincia di confine ad est, e palpi
nell'aria la mestizia delle donne accovacciate
sui gradini, l'abbandono dei vecchi appisolati
accanto alla catena delle scarnite vacche
al pascolo sui terreni invasi dalle capre
e dai cavalli dalle zampe impastoiate
.....nella domenica la strada si distende piana
tra le querce, e sotto nuvole di Constable
s'allunga la pianura dove l'occhio annega,
fluttua dentro lo spazio e poi fonde l'infinito
con lo sfarzo dei girasoli che sfumano
nel grigio perla dell'orizzonte basso
...e poi carri, carri dalla ruote disassate
che ondeggiano nello sguardo di chi osserva,
portando in viaggio un mondo al quale
i jeans colati a pelle su perizoma inesistenti
e le magliette strizzate all'ombelico
stanno murando i più sperduti accessi
ove la povertà nasconde dietro un velo
i molti desideri indotti e insodddisfatti.
Dacia
Accanto alle nervature d'un ponte in ferro
in quell'estate del sessantadue
avevo accantonato le tue lentiggini,
ragazza con il nome da indossatrice,
e non pensavo di rinvenirle nella notte
in questa terra d'ozio per i legionari di Traiano.
Gilla - dai capelli biondi e anche un po' rosati-
nella ragazzina che versava il vino
ho riscoperto il tuo sorriso illuminante,
la stessa occhiata diretta e maliziosa
che minacciava di fare i conti " dopo "
se accorciavo i tempi del tuo cottimo.
Altri ponti da quell'estate ho attraversato
ma la fitta amara di quando accanto al fiume
mi dicesti - mi spiace, presto mi sposerò -
l'ho rammentata tutta e per intero, questa sera
dentro gli occhi della bionda cameriera.
la capitale ( mall )
Nella regione più a ovest del vecchio impero
consuma la sua vendetta, l'Occidente,
dentro questo anfiteatro commerciale di cemento,
di vetri e riflettori da Yankee Stadium o Coliseum.
E' questa la rivalsa per gli anni del silenzio
dietro il MURO, per le merci un tempo inesistenti,
i cessi in comune coi vicini, le notti oscurate
all'imbrunire, e per quella gioventù pioniera
a lungo offerta in olocausto all'IDEA.
Tracima il lusso da dietro le vetrine lampeggianti
e si dimena la cantante dal nome verginale
dentro una MTV che scivola ininterrotta
e fascia il modo di bisogni mai avuti.
Qui la tigre asiatica nasconde l'antica nostalgia
di convertire al credo ma senza le guardie rosse
offrendo merci prodotte da salari a costo zero,
e piega adulti e adolescenti a divorare avidamente
cosce di galline allevate nell'oriente estremo
e poi vendute dalla multinazionale del pollo fritto
nel Kentucky, o da quell'altra con la grande M
Lungo le spiagge di quel mare che ascoltò Ovidio
declamare l'ARS AMANDI, pur se in dispregio
al DOUBLEYOU d'allora, scavallano miriadi
di push -up a balconcino delle giumente giovanili
che sognano lussi sardanapaleschi
per essere affrancate da salari da Bangla Desh.
|
Nel giardino del museo Gulbekian
Qui nel giardino la luce accende il grembo
d'una reclinata figura di Moore,
qui si inseguono neri germani astiosi,
qui è pace
Nello stagno il verde è giallo di sole
ed è un poco più blu, giù nell'ombra.
Il mistero dei quadri
vive dietro
le tende sollevate dal vento
e m'invade
assieme alla nostalgia del nulla.
Passa
un immobile fiato che attraversa la vita
con il passo lento dei sorveglianti
dove
l'immenso e l'eterno mi sfiorano
assieme
alle cure dell'oggi
all'angusto domani.
Ci sarà mai un luogo in cui appagare la sete
d'essere stati ansiosi di te ?
E' il mistero nel beccare dei piccioni ?
Sta forse nel grembo delle donna di Moore
che sembra sperare che una mano
le sollevi la veste?
E' racchiuso nel gorgoglio del bimbo
che una nonna scarrozza ?
Forse il mistero è Qualcuno che vive
al di là delle tende e le fa oscillare
senza senso apparente
lasciandoci invano cercare
la pace lasciata con il primo vagito.
|
M M - stazione Romolo
Guardo le bianche lapidi ai crocevia
delle tue strade, città che ti distendi
oltre la massicciata della ferrovia
che porta a Nord, dentro la cinta urbana
cosparsa d'escrementi dei tuoi cani.
Ove un tempo qui erano gli orti e
le basse ciminiere, il bus raccoglie
le casalinghe dopo l'Esselunga,
il metrò imbuca stormi dolenti
e sovrappone visi a volti dopo scalini
scolpiti nella terra da passi abituali.
Nasce dal freddo del linoleum la paura
d'avviarsi dentro il buio nel giorno pieno
dove il rombo si fa vortice verde
che, frena -s'apre- si richiude- e- parte.
I passeggeri d'un viaggio occasionale
occasionali viaggiatori dal dentro al fuori
alzano scudi muti e indifferenti
contro i lamenti dei clandestini slavi
le russe fisarmoniche e le gitane
che ti scoprono il destino sopra il palmo.
La sciocca tenerezza tra due ragazzine
si perde in fondo alla vettura, travolta
dietro sguardi che trapassano
l'indifferenza e la quotidiana polvere
voci esortanti a vigilare sui borseggiatori
parole oscene graffitate sopra i muri
mentre nebbiosa appare un po' l'uscita
nella luce d'un mattino di fine inverno. |
Assedio notturno
Imbevuta la mente d'insonnia
filtra l'alba dai vetri con occhi grigi
sopra un sogno che passa già oltre.
Nel buio più non cerca la mano
l'antica compagna di giochi,
la mente inventa solitarie evasioni,
ed il mattino fugge sulla fine del sonno,
il piede riconduce allo specchio
a contare le pieghe e le piaghe
su visi provati e anime stanche.
Sguardi ripiegati nella memoria
oppiano la coscienza
e mentre la mano cerca
improbabili contatti, il corpo
filtra le follie dello spirito.
Profondi tagli sui palmi
hanno lasciato gli assalti,
la stanchezza fa l'assedio
più lungo. Già dentro le mura
si parla agli specchi, mentre
pochi e bagnati rami di fumo
e neri tizzoni di brace
non arrossano più le stanze
nel ventoso novembre.
|
Omaggio ad un castrato
Non hai fatto la scuola di
scrittura
nè conosci ( te beato! ) D'alema e Berlusconi,
Mozart lascia le tue orecchie indifferenti,
ti fai due baffi del Cavaliere Azzurro
e quando la tua pancia è satollata
t'importa poco del terzo o quarto mondo.
Amo la tua flessibilità ( poco sindacale )
metafora del futuro per i giovani dell'oggi,
le gatte sono per te, maschio sterilizzato,
compagne di ricerca, ma non ne ammiri
le movenze dell'incedere, e non sdilinqui
per le loro secrezioni, nè alzi lai
alla luna nelle notti di febbraio.
Della tua natura primitiva è rimasto
l'istinto per la caccia a ciò che vola :
mosche, farfalle, grilli o pargoli d'uccelli
che talvolta afferri con balzi da felino
senza sapere che con gli artigli
tu dai la morte, ma è per gioco
quel tuo acquattarsi e poi balzare.
Ti stendi accanto alla tua preda
e la ammiri come un innamorato la sua donna,
gli fai carezze riponendo l'unghie,
ti butti a pancia in su facendola danzare
poi fingi di morderla sul collo
e lei squittisce di gioia o di paura,
poi la deponi sotto le coperte
e tieni il braccio teso sopra lei,
ma presto t'allontani, perso
dietro un nuova farfalla colorata.
Non sai di Mozart e di Kandinsky
e non conosci D'alema e Berlusconi
ed il tuo hobby non è la poesia,
non cerchi nè gatte o signorine
non sei né triste né felice,
eppure ti voglio un bene
che solo io conosco, chissà
forse è per compensare
quello che t'ho rubato
portandoti quel giorno
a far castrare.
|
Vita che te ne vai
Vita che te ne vai e passi oltre
questa luce che divora il giorno
dietro le tende di vuote stanze
dove s'è spento ormai il desiderio
nell'abitudine che gli alberi travalica,
fammi morire dentro il colore
di questa tardiva primavera
che s'assopisce nell'ombra dei giardini
dentro il bisbigliare delle ragazze
e sui loro tatuaggi incandescenti,
perchè con me c'è un vuoto d'amore
senza più tutori e volontà.
Voglio così assorbire l'ansia
e rallentare i battiti
sotto il verde blu pacato
di questo slargo tra le case,
voglio fermarmi qui ad ascoltare
il silenzio della mia vita
tra due doppie parentesi
ed un punto di domanda.
5.6.04
|
La gita a
Verona
La notte aveva malamente sognato
ed avrebbe sperato un risveglio
con parole bisbigliate all’orecchio
una mano leggera sui seni
un tocco alla tempia o due labbra
sugli occhi per dir loro d’aprirsi.
L’uomo che aveva inventato
la gita con un gruppo d’amici
per vedere i cavalli e gli attrezzi
la toccò con un breve
“ fa presto, ci stanno aspettando “.
Lei fu subito dentro a quell’ora
nella quale il mattino d’inverno
è un rantolo grigio che non prende i colori.
E sfilarono dietro a garretti,
incrociando culatte e criniere
escrementi ed odore di stalla,
e l’idea d’essere solo una parte
di un ricamo intrecciato da altri
s’infilò nella mente di lei.
Si sentiva vicina alla donna
che calava nel presepio la secchia
ma senza sapere se nel pozzo
ci fosse dell’acqua.
“ Sto pensando che il mio pozzo sia secco “
rispose all’amica che le stava chiedendo
il perché dell’asprezza tra lei e il suo uomo.
Se guardava ai gesti di lui
si sentiva la camicia di forza
e vivergli assieme era solo l’attendere
d’essere presa e poi messa da parte.
Al ritorno per strada lui chiese
se le fosse piaciuta la gita
e, mordendosi il labbro inferiore
lei disse “ E’ stato stupendo,
come essere stati di fronte
al balcone di Giulietta e Romeo.”
|
Sogni Nutella?
Ti penso rannicchiata come un
gatto
le mani ben racchiuse tra le cosce
che dormi con le gambe ripiegate
le palpebre distese sopra gli occhi
che chiari più non guizzano
nell’attimo di stizza.
Ora non pensi più di essere usa e getta
non ti maltratti la zazzeretta bionda
come ragazza alla colonia estiva,
scalza ed un po’ imbronciata
col volto appoggiato sui ginocchi.
Forse sogni NUTELLA
o sogni forse un mondo grande
che possa stare dentro un abbraccio.
|
Il cielo sopra noi a primavera
Dal cielo che sta sopra le colline
a primavera scende una trasparenza
sulle cose che si diffonde intensa
prima che la calura dell’estate
offuschi i chiaroscuri dei boschi
e confonda il ruggine dei tetti
sotto i riflessi acciaio che il sole ha
quand’è a picco sopra la valle.
Lontano sfuma il giallo del crescione,
più sotto il rosso arancio dei papaveri
vibra nel verde veronese del grano
ancora in erba, ed in primo piano
il fiore rosa chiaro d’una vite
dalla caviglia contorta e vecchia
nascosta appena dall’erba a mucchio.
E nuvole sfilacciate, gettate come sassi
nell’azzurro, chiazzano d’ombre anche
quel cimitero di campagna ove c’è
un angioletto in pietra d’arenaria,
al quale gli anni e le intemperie
hanno smussato i bordi delle ali
ma non quell’aria impertinente che suona
“ posso andar via per un
istante ,
state qui voi a fare compagnia ? “
|
Delusione
Cinguettava da dietro il banco della
farmacia
protetta da un grembiule bianco e sbottonato
esile, graziosa, fragile, perbene come la Minnie di Topolino.
Dissi il none delle medicina, senza la ricetta,
fantasticando su improbabili rendez-vous
dopo l'ora di chiusura, di fiori da farle avere
senza mittente, almanaccando sull'anonimato
da portare avanti ma con trent'anni in meno
nella testa, e non m'accorsi che l'astuta Minni
s'era preso il ticket dalla scatoletta
per applicarlo, forse, sopra un ricetta
da incassare al netto delle imposte.
|
Omaggio a Dora
Ancora ti
rivedo passeggiare
dentro la risacca che inanella
bianca schiuma attorno alle caviglie
ed assapori con la guancia
il profumo d'un'assopita assenza
racchiuso in un pile color corda.
Chissà se ancora quando pilucchi
un certo tipo d'insalata
tossisci sempre, e se la mano
come allora corre verso la fronte
a sistemare occhiali e frangia.
Tutto è fermo nel ricordo come
dentro una natura morta di Morandi
oppure nel taglio di luce ferma
che ha Hopper nei sui interni:
quella gelateria dove ti iniziavi
ai tuoi pensieri solitari,
il treno regionale del mattino
che accosta al marciapiede
con un fischio secco e breve,
la pioggia che lenta rivola
sopra le foglie del tuo banano
come l'acqua salata dai tuoi occhi
che vivono dentro questa stranza,
intensi
come il blu del cavallo di Kandinsky.
|
Il
canto di Madre Coraggio
Dalla
finestra solo le grida dei ragazzi
ed il profumo dei
bianchi gelsomini, ora.
Intristiscono le mura
per la tua assenza
figlio mio, mio diletto
figlio che hai
gettato il tuo corpo in
faccia al mondo.
Nella foto alla parete
la tua testa rasa
che sfioro con le mani,
stretta dalla benda
del martirio. Sei tu con
quell’arma tra le mani ?
Tu , uso solamente a
lanciar sassi ai crocevia ?
Alzo i miei lamenti,
grida silenziose,
e una domanda mi
accartoccia il cuore :
se il pesco nel giardino
ha messo i fiori
in questa avanzata
primavera, a chi
porterà frutti quel
fiore che hai gelato
prima che la sua
stagione fosse piena ?
Non mi resta neppure un
corpo lacerato
per avvolgerlo nel telo
e ricondurlo a casa,
non c’è che una fionda
appesa, la guardo
e fingo felicità
perché ti sei donato,
ma non credo al paradiso
dei caduti
ed alle vergini in
attesa, odio la menzogna
che ci avvolge e la
pazzia che ci circonda.
O mio Allah che reggi il
nostro mondo
e quello di coloro
che stanno di fonte,
tu che sai dove il vento
s’addormenta
e dove corrono le nubi
quando non piove,
tu che leggi i pensieri
più nascosti
anche quelli dentro le
menti più malvagie,
riportami gli occhi
scuri del mio ragazzo
i mostri hanno accecato
nell’abisso.
Ridammi quella gioventù
e la sua rabbia
ed io le coprirò con
abiti di pace,
gli metterò nel cuore
quel miele dolce
che non gli ho saputo
dare allora,
lo cullerò con la voce e
col pensiero,
sarà una vita nuova , ed
un aiuto
per i miei vecchi anni,
gli parlerò
solo di pace e di
perdono, ma non
lasciare, o Allah,
questa madre sola
dentro una stanza con
tutto il suo dolore.
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