Mirko

La stagione dei colori 

D’innanzi all’immenso 

Il nostro futuro 

CONFRONTO

Stille

Spegnersi volando Come cuccioli, noi. L'ultimo volo del gabbiano

Mare 

Notte d’inverno

La stagione dei colori

 Camminare tra gli alberi,

di verde composti

su prati verdi riposti,

s’accingono al riposo

imposto loro

dallo scorrer del tempo.

S’alza d’un tratto,

gentile,

la brezza crepuscolare,

convertendosi però in un attimo

in gelido vento,

poderoso e tagliente

che strappa

con mano severa,

la veste ormai trascorsa

da ciascun arbusto,

da ogni chioma,

e che s’accumula

come cataste di giocattoli,

nelle camere dei bambini,

ognuno con la propria storia

tutti con la loro anima.

Le vedi, le calpesti

e sbriciolandosi sotto i piedi,

t’accorgi che parlano,

sussurrandoti il loro ultimo

sconsolato alito di vita

e cambiano la sfumatura,

s’accostano ancor di più

al colore della terra.

Ed infine giunge come un manto,

il panno bianco della neve

che porta monocromia al quadro

e tu ancora lo guardi seduto,

col fuoco alle spalle

e provi ad immaginarti fuori,

sotto le nude fronde,

come unica sfumatura di colore

nello stinto e freddo sopraggiungere,

dell’inarrestabile inverno.  

D’innanzi all’immenso

O fratello mio sconosciuto,

che pacato m’accogli

quando in te m’immergo

e nei colori e col contrasto

sai dar valore alla vita,

e rischiari di pace l’oblio ricorrente

di nostra sorella luna.

Non ti conosco,

confuso sogno di molti,

ma nel tuo movimento eterno

ritrovo me stesso

che ricerco nell’esser vivo,

scintilla per continuare

e brama di dar forma al nulla.

Mi scompigli i capelli

col tuo fluido d’intorno,

e mi riempi di sale

per lasciar nuovo il tuo segno

sul mio corpo ormai stanco.

E poi ti lasci tagliare

da lame bianche fendenti,

senza mai rilasciar

dal tuo corpo pur colmo,

segno certo di linfa,

mai lamento all’udito.

Ed ancor e sempre ti ricuci

attendendo,

nell’alba futura,

un momento migliore

per dar vita alla vita

per indurre sogni ai poeti

e creare passioni a chi in te,

d’amor sopravvive.

 

Il nostro futuro

  Quanto v’amo, cercando di seguire i passi

senza superare la linea di confine,

e quanto v’amo restandomene in silenzio

ad annotare gli inverni trascorrer continui.

 

Quanto v’amo proteggendo i sonni lievi

dall’intrecciarci d’incubi orrendi,

e quanto v’amo potendo solo guardare

tesser gli sguardi vostri con altrui sorrisi.

 

Quanto v’amo, soffrendo, sprovvisto d’espressione

sentendo di non esser compreso dal vostro linguaggio,

e quanto v’amo,

tentando di farmi capire con frasi concilianti.

 

Quanto v’amo, amando anche per voi

facendomi amare anche per voi

quanto v’amo forzandomi d’odiare

solo per proteggere il futuro d’ognuno.

 

Quanto v’amo ed ancora quanto v’amerò

parti viventi di parti d’essere vivente.

Quanto v’amo, ignorato, disilluso, incompreso,

e quanto v’amo, cattivi, inquieti, egoisti,

onnipresenti, profumati di vita, dolcissimi, insostituibili…

figli miei.  

Spegnersi volando

 Navigando su strade conosciute,

con la fretta che t’impone

di giocarti la vita ad ogni incrocio,

ogni tanto rallenta,

soffermati ad ascoltarti

e guardati d’intorno.

Lascia che sia il tuo cuore,

finalmente,

a scandire il tempo

che ti separa dalla meta conclusiva.

E poi guarda,

a lato della strada.

Vedi l’abete centenario,

scorri con lo sguardo il tronco

annota nella mente quel nodo,

grossa ruga,

non forgiata dal tempo,

ma limite finale di una vita

interrotta dalla fretta.

Poi riparti, ma ricorda,

ogni strada un abete,

ogni abete un nodo,

ogni nodo una vita.

 

Stille

 Cade da occhi ricolmi,

fragile luccichio d’amor spezzato.

Indugia incerta,

smarrendo parte di sé

su guance scarlatte,

rese ruvide da giorni di dolore.

Scivola via

su quel corpo sfibrato,

per confondersi discreta

tra gemelle sue,

viventi,

future generatrici d’esistenza.

E solo noi sappiamo dar vita,

alla sua parte salmastra,

disposti a soffrire

per un rifiuto,

per un amico,

per un attimo,

incompresi fardelli d’emozioni,

creatori incessanti

di minute gocce d’acqua,

che ricolme d’emozioni

si tramutano in…

lacrime.

 

CONFRONTO

 

Era lì, di fronte a me

con la sua età indefinita, millenaria.

“I giovani”diceva,

”teste piene d’idee e riempite di confusione”,

“quando la gioventù me lo consentiva,

solo la notte metteva fine al viver gioioso”

e guardandosi d’intorno, con il viso opaco mormorò

“ora essa pone termine solo alla vita stessa”.

S’avvicinò,

mi cinse le spalle con quell’esile braccio,

e con la mano ossuta indicò l’orizzonte,

“vedi”, “il tramonto di un giorno,

lascia speranza per il giorno a venire”,

“ma il tramonto di una vita vissuta,

non sa più trasmettere la forza del ricordo,

la concretezza dell’esperienza,

la gioia del tempo trascorso”.

“I giovani, non ci credono più,

si lascian morire solo per voler provare”.

S’abbassò ancora, il sole,

su quel capo malfermo

e con un sorriso a metà strada col pianto,

socchiusi gli occhi sussurrò,

“questi giovani,

hanno tutto…

e tutto gli manca.”.

 

Come cuccioli, noi.

Cercava, il fanciullo
con lacrime di cucciolo,
il ventre di qualcuno, un seno qualunque.
La tranquillità del mare
gli lasciava scoprire l'orizzonte lontano
oltre il bene, oltre il male, dentro di sé.
Aveva perso da poco
il suo porto naturale,
il suo unico appiglio alla vita
strappato via da un ago
imbevuto di quotidiana, ordinaria follia.
Temeva l'infante la solitudine,
ma ad un tratto la vide,
maestosa nell'onda
col suo piccolo accanto
e come un richiamo,
da lei uno sbuffo salì verso il cielo
ed un sorriso rivolse
a quel piccino ormai stanco.
Scosso da ciò,
s'alzò traballante sul tronco,
mosse i primi passi tra i flutti
e come d'incanto si ritrovò a casa.
Rivide la calda dimora, la perduta famiglia,
e verso di essa col barlume di forza rimasta,
si slanciò, radioso.
Non s'accorse dell'acqua che gli riempiva i polmoni
né del sale che gli bruciava gli occhi,
salì d'un balzo sul dorso della madre
e lei come un lampo,
si lanciò nell'abisso.
Poi, giunti nel buio, nella tranquillità,
lei s'accorse che stava dormendo
e cominciò a cullarlo,
rendendolo finalmente felice
per quell'ultima volta,
cucciolo d'uomo vissuto soffrendo.

By IKKO


L'ultimo volo del gabbiano

Ad un tratto, smise di volare
e dolcemente scivolò verso il mare,
trasportato da un calmo fluttuare,
che piano piano,
il suo dolore cominciava a lenire.
Non s'accorse della notte,
che le sue ombre
su di lui portava a frotte;
non gli importò neppure del giorno
di cui le grida dei fratelli,
annunciavano l'imminente ritorno.
Solo un pensiero lo fece rialzare
dalle grandi onde
di quell'immenso mare,
la sua casa,
quel nido sulla bianca scogliera
dov'anche nel grigio inverno
sembrava primavera,
dove iniziò il sogno
per poi finire quella triste sera.
Volò per giorni in un vorticare d'ali
sopra città, campagne e grandi canali,
non ricordando quel che era stato,
senza accorgersi che il bel sogno
era presto finito.
Sgusciò lesto sopra i tetti delle case
sfiorando col becco i campanili delle chiese
con un incosciente ed ampio cerchio,
come inebriarsi col dolce mosto del torchio;
assaporò a lungo il fresco nettare
finché ad un tratto gli arti smise di battere.
Il pensiero che l'aveva fatto rialzare
scendeva ora veloce verso gli abissi del mare;
egli l'inseguì incosciente
fino a che il suo corpo
non toccò la linea dell'orizzonte.
Poco dopo, solo penne increspavano le onde,
come petali sulla tomba
di un amore troppo grande.

Mare

 

… e competi con gli astri

ignaro simbolo d’amore,

che c’appaghi ogni giorno

fornendo rami e radici al cuore.

 

Notte d’inverno

 

Quand’anche l’occhio del sole

s’è posato là, dietro il monte,

scende il liquido metallo,

all’interno

della sua gabbia di vetro

e parti di tormento divino,

sotto forma di cristalli gelati

s’adagiano,

sulla crosta del mondo

sottraendo agli occhi

le forme originali degli esseri,

delle cose e dell’anima.

Gela ogni fluido

fuori e dentro i corpi,

uomini e cose rallentano

attenuando il ritmo della vita

racchiudendosi nelle pieghe

della propria pelle,

sia essa vera o plagiata.

Come gli esseri arcaici

alla perenne caccia di un fuoco,

prìncipi e mendicanti

si confondono tra loro,

alla ricerca di quel calore

che otterranno solo

alla venuta dell’aurora,

costeggiando ognuno,

la glaciale e notturna via

che porta,

in un intervallo di lancette,

al cospetto del mattutino

ed esiguo tepore astrale.

 

 

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