Montecristo 

SOPITO DINEDIA

ALLA FINE LA STRADA

Musa del Buio

Come strappo nella tela

E se il tuo volto perso nella sera

 

 

SOPITO D'INEDIA



E rimani seduto sopito d'inedia

Come anfora persa nel fondo del mare

Sbrecciata e di alghe vestita

Silente nell'eterno aspettare

Come ombre di statue di sabbia

Gli occhi svuotati dal troppo vedere

Fondali scenari di umida luce

Laddove s'è perso persino il ricordo, il rimorso

Riverbero vago di polvere d'acqua e silenzio , soltanto.

 

ALLA FINE LA STRADA


Alla fine la strada si schiude
E la scelta nasconde il tranello
Che ogni viaggio disegna

Da una parte il giardino dei sogni
E fontane di pioggia
Che il vento disperde sui fiori

E desideri nel fondo dei pozzi
Fatate vetrate coralli colori
E la luce che odora di sandalo e oppio.

Basta solo la mano a sfiorarla
E quel niente rimane sospeso


È più forte il timore, l'atroce sospetto
Che il sogno sia solo
Il cono di luce che il tuo cuore proietta
E per strano incantevole gioco l'inventa.


E dall'altra una strada di sassi
Di segni di carro sul fondo, di impronte
Di rabbie sopite al ritorno
Di un inutile giorno, di piaghe e ferite
Di pesi portati, di lacrime amare cadute
Di voci che aspre non cedono al canto

Ed è sempre per sempre il percorso

Percorrere stanchi quella strada terrosa

Che fa nebbia fa freddo e la sera e già nera

Ed il sogno inviolato rivive

Nel tuo intatto sognare dove il buio è più fitto


 

 

Musa del Buio



Ora sei lacrima, schianto, sei rabbia
Muto urlo gridato, gesto stanco
Fondale limaccioso, torbido tempo
Vetro infranto, polvere, flebile canto
Miraggio fatato, incidente
Rotto gioco di sabbia
Foglia caduta nella corrente

Sei quello che non è stato
E che rubato nel tempo, è stato

Passo morbido nel mio sangue
Carezza di fuoco
Breve intenso fervore
Fiamma estasi fragore
Di onda, di freddo sale, di sole

Fiore che lotta
Tra intrecci confusi
Di legno e corteccia
E profuma quel niente
Che colma, che è mare di sensi

Rapace che fermo maestoso
Da un cielo d'amianto, che guarda
E nido, e ritorno fatato
Cotone di piume di fieno di fango

Dedalo che la mente azzarda
Corpo odore vapore
Repentino cambio di vento
E tramonto e tempesta
Lenimento e dolore

Parola che resti impigliata
Tenuta, legata,
Tra coraggio e vergogna
Non restare da me
Perché forse vuol dire tradire
Perché là devi andare
Seguire un cammino
Irrisorio destino
Brillare un momento,
Esitare confusa, ribelle,
Per un tempo, che finisce nel dirlo
E sparire leggera
Come vento nel vento.

 

 

 


 

Come strappo nella tela


S'annullano deboli le forme
piano svapora il profilo, il viso
brulla steppa è il mio vedere
come strappo nella tela
sgretolati i contorni
vaghi, e gli sguardi scaglie di colore
lacerazioni, croste, buchi opachi
biancastre sbavature, inutili restauri
nebbie, vuoti e strane gobbe
e mi rifletto in quel deserto
senza rumore, senza effetto
sopravvissuto ignaro di una colpa non commessa
 

E se il tuo volto perso nella sera



E se il tuo volto perso nella sera,

profilo nell'ombra, fantasma, chimera


fosse il sogno che un altro sogna,
fosse il ricordo di un attimo perduto
fosse armonia che di contrasto regna
un frutto immaginato
un fiore insanguinato
strappato all'imbrunire
di un mondo immaginato.


seguire le gocce sui vetri

Seguire le gocce sui vetri
con le dita squagliare il vapore,
guardare nel fondo la notte
finchè anche lo sguardo si perde,
e nel buio imparare a sentire col cuore
e sei tu quella musica lenta profonda.

Riempirsi dell'aria pungente dell'alba,
sentire il silenzio del freddo
del sonno che ancora s'impiglia,
alzare le falde e sentire il calore
rifugio precario.

Sfiancarsi del sole e cadere nell'ombra
e vedere il riflesso dell'acqua
e la sete che brucia e sei tu il primo sorso.
E la sera finito e svuotato,
a volte seduto a leggere un libro
sei tu la frase che manca
e dormendo sorrido.

E se il tuo volto fosse questo
anch'io diventerei da me,
altro.
 

 

 

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