E’ natale. Piccole gocce di neve sul tuo albero luminoso Un pettirosso sui rami, cerca riparo qualche minuscolo chicco di grano I bambini aspettano, silenziosi incuranti del freddo, nel fango
E’ natale. Il barbone si nasconde dentro un misero cartone colorato dalla pubblicità e dalla opulenza L’occhio scruta gli emisferi non vede gli angoli di strada
E’ natale. Verrà di nuovo il babbo sulla seggiola di legno, trascinato dalle stanche renne. Porterà milioni di doni piccole illusioni, un po’ d’amore e noi, distratti, ci sentiremo più buoni
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Feudatario
Barone
feudale proprietario
onnipotente Retaggio
spagnolo decrepito,
morente Diritti
infami rinnovata
schiavitù Contadino
a fatica per
il misero grano l’ombra
dei cani per
la gioia della terra e
dei frati questuanti
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Cixirau
(dolce
sardo) Chissà
chi ti ha portato sin qui Forse i saraceni o altri
popoli arabi Sei buono, comunque. Con quel tuo vestito nero
che sa d'abbronzatura, di deserti o di mari
sconfinati Hai la dolcezza infinita
del nettare delle api la saporosità delle
nostre arance Chissà come sei arrivato
qua Se di quelle genti, come
te, si può serbare il ricordo
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La
conferenza
Nella
sala dell’opulenza ride la classe eletta La musica si fa attraente:
è l’unità degli intenti Il miliardario beve Rhum
nel teschio bianco Il burocrate non sbaglia
mosse: è attento Il violino scandisce note
melodiose donne affascinanti
incantano nuovi e vecchi invitati Fuori fa freddo e piove,
tace il cane l’uomo a brandelli,
tirato dalla fame si dispera Urla di rabbia, scuotono
le vetrate dei sordi Ombre di mura, fatiscenti,
umide e stanche Mondi di fango, di fame,
di mille malattie Esili bambini scheletrici,
privi di vita Nella sala dell’opulenza
la farsa del grano indivisibile I rappresentanti del
benessere giocano i dati a dadi Caos, paure, poi il rapido
plasmare dello status I popoli laboriosi,
milioni d'uomini, la produzione Tanti, i miserabili, sì
perdono nelle loro scorciatoie fantasma Il gomitolo ingrossa, gli
occhi spesso non vedono Le donne scavate avanzano
in un calvario di spine La certezza si sgretola su
torrenti di sangue L’esercito di sporchi,
incolti ed erranti circondano le nostre case Come in un gioco ci
rincorre beffarda la storia Intransigenza e regole
rigide frantumate dalla miseria Nella sala
dell’opulenza, dell’incrocio dei poteri e dei giullari la musica si fa dolce,
malinconica, solita litania Il miliardario bevve rhum
nel teschio bianco Il burocrate non sbaglia
mosse è attento Fuori fa freddo, piove,
urla disperate, notti insonni.
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Il macchioneCoricato
su un letto di foglie al
caldo tepore del fuoco Il corbezzolo brilla di
rugiada profumi di ginestre
variopinte Poi un bagliore, un lampo, da un muretto messaggi di
morte rumori di un cavallo in
corsa Di nuovo il silenzio, l’ondeggiare del
lentischio e del mirto un leggero alito di vita |