Roberto Marzano 1

cantautore della nuova “Scuola Genovese”, musicante istrionico, giocoliere delle parole, novello poeta …

- "Premio Nazionale Fitel " 2002 per la "Poesia solidale" ricevuto a Praiano (Sa) e a Roma

- Vincitore di una tappa del "CampionatoProvinciale di Poesia" a   Camogli (Ge) -2002 

- 1° dei selezionati per la "Festa della Poesia" al Palazzo Ducale  di    Genova a cura del  quotidiano"Il Secolo XIX" -2001

- Vincitore del Concorso “Navigare Nelle Parole” della rivista letteraria “Il Filo”- 2002

- 2° classificato al Concorso “L’arcobaleno della vita” a    Lendinara (Ro) -2002

 Una poesia di denuncia, e di protesta, a volte anche cruda, ma non priva della giusta dose di ironia sconfinante, talvolta, in una comicità surreale … Ciò non tanto per sdrammatizzare a tutti i costi ma, invece, per mettere in luce l’assurdità dei contrasti… Un poetare molto particolare dove Roberto Marzano mette in evidenza le proprie doti di graffiante originalità che lo hanno già contraddistinto nel campo della canzone d’autore…

 

LA MIA GENOVA 

LA BOMBA INTELLIGENTE STAZIONE SOTTERRANEA FIGLI BASTARDI SOGNI DI BIMBI
UNA VITA DA POCO ROZZO FIGLIO  RICORDO DELLA RIVIERA LIGURE  NON E’ CHE IO … GODERSI L’ESTATE
POESIA ONESTA POPOLI NOMADI L’ULTIMA CANDELA LIZABETH  

 

LA MIA GENOVA





Si, vabbene! Il mare, il pesto, Grillo, Govi, la focaccia,

la cadenza portoghese e la mimosa in fiore,

centro storico più grande, ospedale, cimitero,

liberata (si fa per dire) “paraponzi-ponzi-pero”…



Ma … la mia Genova non è come la vostra,

la mia Genova ha il vento nelle ossa,

carta nelle scarpe, non cartoline,

terra nelle unghie ed il cuore pien di spine …



La mia Genova contempla esterrefatta

le botte venute giù come tempesta,

nel buio atroce di una scuola,

manganelli che facevan festa

lasciando echi di urlae un denso sangue nero,

un nuovo tipo di pesto:

“modello ospedaliero”…



No! La mia Genova non è come la vostra

è tutta una salita, non ha nemmeno una discesa,

non ha banche sotto casa e fa fatica a far la spesa

perché la mia Genova è salata, non conosce salotti,

e chiama pranzo, o cena, il latte coi biscotti …



La mia Genova è di un ragazzo,

un novello “Perasso”,

spalmato sull’asfalto, piccola piuma come tante,

nel ricacciare indietro l’alito pesante

di assurde carabine vomitanti …



La mia Genova non si sente sola

e anche se di notte piange, sulle braccia viola

si compenetra nel mare, si fa onda,

e sugli “ospiti sgraditi” non si confonde

perché la mia Genova si fa molte domande

e di fronte all’idiozia …

stende le sue mutande!!!



LA BOMBA INTELLIGENTE



La bomba intelligente

ha un talento latente :

fulmina l’obbiettivo

ma tutt’intorno niente,

non fa male a una mosca,

a meno che, il losco insetto,

sotto vil mentito aspetto,

non sia, ohibò … un terrorista!



Perchè Lei li capta 

i pensieri devianti

nei crani malati 

che progettan attentati …



La bomba intelligente

è un’amica intrigante,

un po’ in soprappeso,

ma ha una testa importante,

un calore avvolgente, 

protettivo, 

ammiccante …



Con la bella vociona sonora

Ella ci fa compagnia,

la sua sola presenza esorcizza

dubbi … paura!



Riempie i vuoti mentali,

ci puoi chiacchierare,

far due belle risate,

confidarle i segreti

e, puoi stare sicuro,

che lei è come un muro : non parla!

Ma se la fai arrabbiare,

brigantaccio maldestro,

Lei t’inchioda sul posto,

perché è intraprendente,

e non ci mette niente

a piombarti in giardino,

mentre giochi coi bimbi,

e far fuori solo te, salvando i bebè!

Perché Lei è forte,

ma chirurgica, buona,

non esplode … 

suona!!!



Precisa come un bisturi d’oro,

d’angeli biondi soave coro,

cupidi azzurri, cantan felici,

fan ala alla Pace, fraterni amici …

Quella Pace incantata

che s’ode dopo una sua sonata …

Voluta, agognata, purificatrice …

Che bel bel silenzio!

Or tutto tace!



STAZIONE SOTTERRANEA



Sporco di polvere di colpa,

quasi che il non essere lavato

possa esser visto,

dagli altri cittadini, freschi di docce,

come un ulteriore respingente, volontario,

tra il loro profumo e la sua già scura pelle

e non

una, “semplice”, mancanza

d’acqua corrente in “casa” …

E’ solo un bambino …

Ha gli stessi occhi giocosi di mio figlio

Ma, lui, non gioca, 

chi lo spreme non gli concede tempo …

Nella livida stazione sotterranea genovese,

alle sette del mattino, aspetta,

con lo zainetto senza libri,

non più pesante dei suoi pensieri,

un treno che lo porti a lavorare …



“Compra fazzoletti, compra accendino!”





Come vorrei abbracciarti forte, bimbo!

Ma il mio treno sta già partendo, 

per un’altra direzione,

e lascio i tuoi occhi africani

a giocare

sul binario tronco 

della disperazione …

FIGLI BASTARDI



Dev’esser come perdere l’anima con un colpo di vento,

un urto selvaggio di unghie,

urlo di freddo, tormento …

Il tuo bambino si svuota, appassisce,

palloncino di elio,

piange lacrime secche,

vomit’aria, vola via …



Son le braccia spezzate dei ragazzi che scappano,

penzolando goffamente 

li fan sembrare assurdi fantocci,

bersagli di vetro, colpiti da dietro, si spezzano,

papà disperati ne raccolgono i cocci

ma non colgono il senso …

… Claudia & Davide mangiano, crescono,

ed hanno mani che li accarezzano,

non sanno niente, giocano, ridono,

per capire son troppo piccini :

non saprei come spiegargli che i grandi

possano fare certe cose ai bambini!

Non saprei come spiegargli che i grandi

possano fare certe cose ai bambini!!!



Figli bastardi, di un carnevale nero,

cercano mamme nel buio,

si addormentano nelle aiuole dei semafori

o accartocciati contro un muro

e schiacciati, come insetti senza nome,

da una polizia assassina,

il “giusto apporto-vitaminico”

cercan dentro la spazzatura …



Dammi un posto dove possa urlare l’orrore che provo,

mi traboccan dall’anima occhi perduti, venati di spavento,

occhi pestati sotto i piedi pesanti della macchina militare :

sangue nero,

pane sporco,

un sole morto al tramonto …

Poi Claudia & Davide chiedono,

crescono,

ma certe cose non digeriscono!

Aprono gli occhi, li chiuderebbero,

schizzi di sangue glieli colpiscono!

Cresce la rabbia, diventa voce,

urlo di piombo ottuso, atroce,

eco dei pianti di sottofondo,

pugno tremendo tirato sul mondo!!!

 

SOGNI DI BIMBI



Sono il mostro che, 

cattivo,

ti rimbalza nella testa,

se non mangi la minestra,

ti raggiungo nella notte e ti divoro!



Se la mamma fai arrabbiare

non ti devi lamentare

se finisci, di sicuro,

in un mondo spaventoso e tutto buio!



Vedi, vedi, vedi, vedi tremi, 

la mamma chiami,

hai paura ed il giorno ora brami!

Non potevi pensarci un po’ prima,

fare il bravo, e obbedire,

non farla arrabbiare,

per non dovermi sognare!?!



Lei ti aveva già avvertito

di non farla innervosire,

or tu, bimbo, sei finito

in un incubo che mai potrà finire …



Ci son belve, serpi e strilli,

con fantasmi e coccodrilli,

streghe nere, spettri cupi,

mangiatori di bambini, ragni e lupi!



Vedi!? Vedi stai cadendo

in un buco orrendo,

dentro al posto più nero del mondo …

Sei sudato, ti senti asfissiare,

sopraffatto dall’angoscia,

ti vorresti svegliare!



Sono il mostro che cattivo

ti rimbalza nella testa

ma son pronto a ‘ndare via

se prometti d’esser buono ed obbediente!



Sennò ti sbrano!

Ti mangio pezzo per pezzo!!

Allora vuoi ascoltare la mamma?!!

Sei cattivo! Cattivo, c a t t i v o o o o o o o o o o o …

 

 

UNA VITA DA POCO



Mani nell’aria,

scolpiscono

scie di spillo,

orridi sibili …



Improvvise

micidiali, decise,

infliggono,

al mio corpo,

mortali offese …



Scappare !?

E dove mai, poi, ora?

Ho perso i miei fratelli,

non ho più la mia terra,

evapora

la vita …



Vita, oh mia vita!

Appena assaporata

e già ti sto perdendo …



Vengono uomini urlanti

siam tutti fatti a pezzi !

La sola mia difesa,

unghie acuminate,

vilipese, derise,

mi vengono amputate!!



Pian-piano,

strato a strato,

mi strappano la pelle,

il cuore mio scoperto,

persino preso a morsi …



Ormai non ho speranze

il futuro mio è remoto …



Ma vale così poco la vita di un …

carciofo?!?



POESIA ONESTA


Ma che bella è ‘sta poesia!

Io l’ho scritta e, tuttavia,

non mi esimo dal lodarla,

“core ‘e papà”, creatura mia …


Mai si vide in terra intera un poema di tal fattura

simil splendido ardimento 

di gran stile e di bravura ,

è una nuova frontiera, 

questa è “Poesia Onesta”,

la pioggia sua di versi vi squaglierà la testa!


Sembra scritta apposta per dare una risposta

alla richiesta, 

giusta,

di un che di differente,

di un brivido-vertigine,

di un’emozione blu,

come dir che, davvero,

se voglio,

so fare di più!

Convinto vado avanti, intanto riempio il foglio,

coprir di segni il bianco, è quello che io voglio,

il mio folle editore mi paga a paginate

ma senza tediar troppo, 

sennò poi voi scappate,

così mi accingo presto a dare una sterzata

oppure, forse, no :

la cosa è rimandata!

Invece ci ripenso, 

è una poesia incerta,

è come un letto grande,

e una piccola coperta,

così per allungarla ritorno dall’inizio :

ma che bella è ‘sta poesia! 

Io l’ho scritta e, tuttavia,

non mi esimo dal lodarla,

“core ‘e papà”, creatura mia …


Ma giunti a tale punto, 

sarete un filo stanchi

e meritate un attimo un poco più acrobatico

faccio così, 

ora, 

spazio al “clou” della poesia,

la grande parolona che illumina la via

l’astrusità indecente che fa tanto cultura :

“astrupetandilifilicandostenplineontislazzispazzatura!”


Edopo questo parto,

se fossi un po’ più sadico,

non mi farei lo scrupol di continuare ancora,

almeno per sei fogli, con ‘sta poesia onesta

che di onesto ha,

solo,

il mio grande vuoto in testa,

la mia incapacità di scrivere sul serio

qualcosa d’incredibile e davvero memorabile,

ma è inutile che pianga, la cosa finisce qua!


Ma leggetela, ancora una volta, abbiate pietà …



POPOLI NOMADI



Stan seduti su sedie di pietra

da miliardi d’anni,

chi li cerca nel buio s’inganna,

e vestiti di tele pesanti,

per il mondo, nei secoli,

percuotendo tamburi di canna …



Popoli nomadi di modi girovaghi, popoli nomadi, pentolai magici …



Gir-girando per monti e pianure,

case-auto di rame,

per potersi fermar, respirare,

da Agrigento, a Marsiglia, a Novara,

lavorando con mani,

mai sapendo dove andranno domani …



Popoli nomadi, giostrai, acrobati, popoli nomadi, poeti mobili …



Popoli nomadi, musici, astrologhi,

venuti in cerca di compagnia,

figli dei venti, del sole contenti,

ma perseguitati da polizia,

suonan violini gitani, apron le nuvole,

stanchi angeli urlano al cielo che non finirà

questa marcia che, giorno per giorno, li porta via,

ogni volta la stessa incessante malinconia,

buttati,

buttati via …



Un odore di fumo li avvolge come il loro mistero,

mentre dormon nei letti dei fiumi,

son libellule magre, sparute, pitturate di nero,

sono un sogno, delirio, paura …



Popoli nomadi sdentati, logori, popoli nomadi, amici scomodi …



Li ho incontrati una notte,

di un giorno,

di una certa stagione,

e nel piatto mi han messo

un gran cuore,

un sorriso,

una chitarra di fuoco

e duecento bambini,

dentro gli occhi,

come perle, i destini …



L’ULTIMA CANDELA



Nella più oscura

cantina –casa dei sottofondi,

dove il sole arriva solo

con le cartoline illustrate,

la piccola Sabah,

urlo di strada,

dà alla luce

l’amato figlio,

scintilla tra gli occhi,

che ,

in quella notte tanto buia,

darà fuoco

all’ultima

candela rimasta …





LIZABETH



Come spiegherai, Lizabeth, alla tua mamma

cosa ci facevi tutta nuda, e fatta a pezzi,

disarticolata bambola-pupazzo,

riversa in un famelico burrone …



Chi mai l’avrebbe detto?

Tu, il più bello e delicato fiore

da Ibadan ad Ogbomosho,

promessa cameriera

presso certi signori dell’Europa

dove il “servizio” l’hai prestato

a suon di sberle

con le mani, con la bocca e con tutta te stessa

sennò ti rompevano le ossa!



Lizabeth, occhi fuori dalla testa,

con un puffo intorno al collo che non ti lascia uscita,

con le cinghiate date senza parsimonia,

tanto non si vedon lividi sulle puttane negre

e si può continuare a venderle senza sconto

a qualche onorevole buon padre di famiglia …

O buttarne i pezzi nei rifiuti se si ostinano a rifiutar ragione …



RICORDO DELLA RIVIERA LIGURE …



Chissà se l’ha capito

che sono una ragazza

oppure è

proprio per questo

che si accanisce ottuso

a manganellarmi a peso morto

la sua rabbia in faccia …

A vomitarmi addosso

urla d’odio

e calci nella pancia

con il suo anfibio nero,

che nel sangue sguazza,

e sul mio corpo,

follemente, 

impazza …



Indifeso oggetto,

in balia della sua vendetta,

forse per un bacio non concesso,

o una sculacciata ingiusta di sua madre,

io “cagna rossa”, ”troia comunista”,



non so se, da questo sacco a pelo, 

ne uscirò viva,

se tornerò domani alla mia Brema

oppure morirò per le ferite o per paura …



Tutti gridano li intorno, 

è un bastonar con cura,

si picchiano i pensieri, 

si rompono le braccia …





NON E’ CHE IO …



Non è che io sia razzista
ma,

non si può negare :

che i negri

non amino molto lavorare,

son sonnolenti,

mal lavati lavativi,

poco propensi alla produzione

e, in più,

un olezzante eccesso di sudorazione …



Per non parlare dei sudamericani,

con la bottiglia di birra sempre sulla bocca,

guai a chi li tocca,

sono facili all’offesa,

che la rompon sulla testa

dei cinesi, quelli lì che mangiano i cani,

che fanno scarpe e borse 

con la pelle dei crucchi bambini 

„wurstel-kraffen mit kartoffen“,

come i gelidi svedesi

che han, però, dei bei donnoni

mica come le spagnole

che hanno neri baffi, tesi, come quelle calabresi!



Terrone

che sotto il lavandino

tengon le galline, e anche gli amanti,

che al novantatre per cento son mafiosi,

in special modo i sanniti,

i turritani e i leccesi,

con quell’incredibile accento sguaiato,

intimidatorio e sfrontato,

genti di periferia, pigre,

inabituate al buon vivere civile,

sanno solo mangiare, e perder tempo,

come quel capellone del palazzo di fronte,

che va in giro col cane e le treccine ammuffite,

(ma lo usa lo “sciampo”?),

o quei drogati del piano di sopra

che rientrano a tutte le ore della notte

e vanno in bagno senza sosta …

Almeno fate mucchio

e tirate la catena, alla mattina,

l’unica cosa giusta che fa

mia moglie, quella cretina,

che, a parte certe assurde voglie,

sta sempre a chiacchierare-parlar-male,

con quella sciocca di sua figlia,

che pure le assomiglia (poverina!),

e … notate un pò la mia mano destra :

sembra farlo apposta,

che se mi prude proprio lì,

la signora, non si muove

e chiede aiuto alla sinistra, 

come non le riguardasse, a ‘sta cretina!

Oh, ma siamo matti!!!

E le tira una man-rovescia

ma lei non se la tiene, la restituisce doppia,

allor strepita, smoccola e s’arruffa, 

senza ritegno, il cuor le graffia,

morde il ventricolo sinistro, che diventa ventriloquo,

e mi manda … a cagare! !



Per metterle d’accordo non mi resta che il suicidio

tanto cosa ci sto a fare, 

io, 

in mezzo a ‘sta gentaglia!!



ROZZO FIGLIO



Figlio

di chi è avvezzo a gozzoviglie

un alone fetido sparpaglia …



Per certi commensali,

troppo pieni per parlare,

vuol dire :

“No, non ho mangiato male!”



Ei giunge alla laringe

gonfio, tosto e, con clamore,

al fin,

esplode con fragore!



Il bevitor di birre

n’è, invero, un gran campione

ne sparge ogniddove

a profusione,

certo del buon gusto,

problemi non si crea

e, di sì rozza usanza, 

egli si bea …



GODERSI L’ESTATE



Il ronzare furioso del moscon che non riesce,

di sfondare quel vetro è proprio incapace …

Lui s’impegna, s’ingegna, reagisce convinto

ma, per quanto ci provi, 

è comunque respinto …



Il suo impaccio è un lamento, un grido, una grinta,

vorrà mica, l’ingenuo, una piccola spinta?

Non è ch’io ami tanto quel dittero peloso

ma da “bravo poeta”, 

vorrei fare qualcosa!



Potrei mettere in atto un salvataggio incruento :

catturarlo veloce, 

senza dargli spavento,

poi aprir la finestra e nell’aria lasciarlo,

dirgli : “Và, brutta bestia, a goderti l’estate!”



D’improvviso un frullio ci distrae tutti e due :

sulla scena compare 

un vibrar di velluto,

una bella moschetta, 

zampe d’ebano e, in testa,

un milion d’occhi verdi 

che ammiccan suadenti …



Il moscone è rapito, 

incerto,

confuso,

ma un sol batter d’ali della nera“ragazza”

lo stordisce or d’amore e,

con piglio deciso,

egli torna sul vetro con un buffo svolazzo 

 

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