Rosario Alfano


Ci consumiamo. 

Avere due gambe infinite

 

Ci consumiamo.

 

Ci nutriamo, ci curiamo, sopravviviamo,  ma solo per continuare a consumarci.

Attraversiamo le stesse  stanze, guardiamo dalle stesse finestre,  a volte cerchiamo di darci per tutta una vita alle stesse persone,

e alla  fine sappiamo solo restare estranei: a quelle mura, a quel paesaggio, a loro.

Noi, che non sappiamo attraversare, guardare, offrirci.

Situati in mezzo a tutto, ad una distanza minima  da ogni cosa,

 ma, legati a noi stessi con una corda ancora più breve di quella distanza.

E così, da tutto, separati.

 Protesi verso l’esterno, come fiori fatti di una carne che sa ricordare,  avidi di essere raccolti, ma da nulla e nessuno  strappati a noi stessi.

E nell’attesa consumarsi.

Incapaci di evaderci, cerchiamo la salvezza negli angoli reconditi della nostra cella di ossa e muscoli, vi cerchiamo un Dio, che ci prometta un premio per il nostro esilio, e che  ci faccia ripensare come santo martirio la nostra imperfezione. 

La solitudine a volte diviene  un altalena dalla quale dondolando,  persa la terra sotto i piedi, sfioriamo l’impalpabile, l’invisibile.

In essa allora anche Dio è possibile che appaia.

E a volte, infatti, oscilla con noi, seduto al nostro fianco, anch’egli col braccio allungato e con le dita della mano tese nello spazio avanti a noi, a cercare qualcosa che gli apparteneva, nella nostalgia di quell’impalpabile da cui lo abbiamo rapito

Ma un Dio generato dalla solitudine non può alleviare da essa.

Un Dio così è soltanto un altro  prigioniero, un altro nostro fratello.

Ma in fondo non è neanche questo. In fondo non è niente, in sé. Tolto dalla nicchia dell’invisibile, non è altro che noi.

  Col tempo,  sempre scopriamo che ha i nostri  bisogni, i nostri stessi fallimenti, la nostra stessa voce.

Prendiamo atto, allora, di avere chiesto aiuto ad un’eco.

Di avere pregato un ritorno ritardato di noi stessi a noi. 

E allora taciamo a noi stessi, con tutto l’orgoglio superstite.

In attesa di arrivare al limite,  a quella soglia oltre la quale, esausti, veniamo finalmente divorati dall’insopportabile.

Due gambe infinite,

che possono calpestare tutte le terre,

ingravidando

 con le scorie dell’una i solchi dell’altra

senza,per questo, peccare.

 

 

 

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"#FFCCFF" size="3" face="Georgia">senza fretta di andare,

in nessun luogo,

perché se vogliono,

 dovunque,

gli è permesso di andare.

Felici dell’immobilità,

perché pronti a scattare.

Due gambe infinite,

che possono calpestare tutte le terre,

ingravidando

 con le scorie dell’una i solchi dell’altra

senza,per questo, peccare.

   

 

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