Bruno (Bilco) 1-2
Le sue poesie - i suoi racconti

Strati di luce.

Le meteore del 98

Coincidenze

 

"Il buio è un peso è un imbroglio e brucia come il fuoco
le cose opache intorno si muovono
detta il ritmo lo smacco di ogni preghiera
e non c'è pace latente da cogliere" **

Strati di luce. E strati di neve.
Strati di nuvole pesanti sotto strati di nuvole leggere. 
Aria e tempi rarefatti, con montagne piegate su piccole strade tortuose che guardano ritorni all'alba in giorni sbagliati e confusi.
Colori mobili e vulnerabili che corrono veloci fuori dai finestrini della macchina fredda che arranca nelle prime curve in discesa e sembra tossire malata ogni volta che inserisco la seconda.
E nella macchina la radio canta canzoni invadenti che mi entrano dentro e raccontano esattamente come mi sento, usando parole e accordi che non avrei mai saputo trovare.
Strati di tempo, di spazio, di ricordi sovrapposti e mischiati. Frammenti di notti passate a nasconderci, a parcheggiare la macchina in angoli diversi di strade diverse, sotto cieli complici che ci calavano addosso fitte nebbie come se fossero pesanti coperte. Frammenti di parole scivolate in mezzo a pensieri frastagliati e sporgenti, ultimo confine reale prima di un oceano sconosciuto. Frammenti di frasi dette con occhi appoggiati ad altri occhi, cercando di spiegare ciò che neanch'io sapevo capire e aspettando che i suoi silenzi diventassero voci e le voci parole e le parole baci e i baci sorrisi e i sorrisi promesse. Discorsi su amicizie possibili e non possibili. Su situazioni a metà. Su colori che non sempre sono bianco o nero. E teorie quasi plausibili sulla quantità di sfumature di toni e di sentimenti esistenti tra quegli estremi. E ancora serate passate a parlare di sensazioni e di emozioni non decifrabili, di codici e parametri, cercando di definire la natura del nostro rapporto proprio mentre i nostri colori sembravano scivolare sempre più lontano da ogni possibile confine, come fossero in balia di un pittore eccentrico che si divertiva a miscelarli sulla sua tavolozza usando poca logica e poco gusto.
Frammenti di convinzioni diverse. Immagini di lei che diceva che potevamo essere solo "amici speciali" ed immagini di me che pensavo a come sarebbe stato "lo stare insieme", a quante e quali cose sarebbero cambiate, quali nuovi equilibri sarebbero nati e quali fili si sarebbero spezzati.
Poi una cena, un cameriere buffo che cambiava la lampadina sopra il nostro tavolo, una pizza che non voleva finire e del vino che bevevo solo io. E acrobazie di parole-discorsi-pensieri-e possibilità possibili, trapezista perfetto di un circo perfetto, leggero come brezza e fantasioso come uomo d'altri tempi.
Ricordi di una casa fredda come se fosse disabitata, di buio intorno, di paure nascoste male, di tempo fermato per un pò e portato in un'altra dimensione. Strati di coperte e di vestiti e di sensazioni sbagliate e di paure improvvise e di consapevolezze nuove.
Poi tutto sfuocato, come se il regista di questa storia avesse voluto confondere le immagini rendendo tutto atrocemente opaco e veloce, una discesa in un tunnel sotterraneo come se fossimo su delle montagne russe infernali e nessun controllo di niente. 
Certezze spente come le luci dopo una festa. Disordine in ogni angolo delle nostre menti, pezzi del nostro puzzle sparpagliati ovunque. troppa stanchezza per provare a mettere le cose a posto. E poi silenzi intermittenti come le luci di natale, sere passate a cercarci e a negarci giocando ad un maledetto nascondino, ed uscite con gli amici comuni appositamente alternate per evitare di vederci. Un paio di telefonate definitive, e poi i titoli di coda e il silenzio lacerante e lo schermo nero e la solitudine inquieta. E smarrimento, con notti consumate ad attraversare il buio, cercando sogni che non esistevano, su strade deserte, in canzoni arrabbiate, con amici di un tempo. Fino ad oggi, alba di una domenica di un week end che ho rubato al lavoro, trascinato da buoni amici a prendere fiato in mezzo a montagne che una volta frequentavo più spesso.
Fino ad ora, che non ho più tempo per stare male, che non ho più voglia di vedere il mondo continuare a correre nel suo forsennato ritmo e non ho più voglia di vedere me immobile e piegato su un passato che non posso ne cambiare ne comprendere, stanco di rivedere lo stesso film mille volte al giorno, stanco di sentire il desiderio di rimuovere la pellicola, manipolarla, cambiarle, strappare il copione al regista e riscrivere dei pezzi, stanco di battere la testa contro porte che non si aprono più...

"I nostri corpi arresi al gelo dell'apnea
pariranno un giro di vite ineluttabile
chili di silenzio sulla nostra pena
gran regina dell'incubo che verrà..." **

Strati di luce. E strati di neve sempre più sottili. 
Intorno il mondo sta cambiando colore. Gli alberi stanno lasciando il posto a case e villette, e più giù inizieranno i paesi e poi le prime fabbriche. Le curve e controcurve stanno diventando lunghi rettilinei pianeggianti e la macchina acquista altre velocità. Ogni tanto guardo il cellulare nella speranza di trovarci almeno un suo sms. Altre volte provo a spegnere e riaccendere raccontandomi che forse, visto il freddo e la batteria scarica, si potrebbe essere bloccato. Ci vorrà tempo, dice, poi torneremo amici. Io non ne sono così certo, almeno non come prima. E comunque non è una consolazione perchè mi sembra di aver perso in un solo colpo la mia migliore amica e la mia ragazza, anche se i ruoli erano meno delineati.

"Come girano i colori ed i sapori nella vita vera?
qui per ora è nero come Angoscia e amaro come fiele.
E lì"

Finisce la cassetta. Tra 3 chilometri c'è l'ingresso in autostrada e finalmente potrò guidare più rilassato. 
Le montagne adesso sono strisce innevate nel mio specchietto retrovisore, ed i colori mobili e vulnerabili di prima sono soltanto il fastidioso riflesso dei raggi di un sole che non si è ancora svegliato del tutto. Pigio l'autoreverse, la musica riparte, densa e compatta, e mi vengono alla mente le parole di un amico..."Durante una tempesta non è che puoi fare granchè. Devi solo cercare un buon posto per ripararti. Ed aspettare che passi..." Adesso dovrei cercarmi quel riparo, lasciando in pace me stesso ed il mondo intorno, ma ho la sensazione di non riuscirci e forse di non averne voglia. Forse perchè mi è sempre piaciuto sentire la pioggia addosso ed il vento che ti si infila dentro e vedere le nuvole dei temporali gonfiarsi e sgonfiarsi ed aspettare i lampi per contare quanti secondi mancavano all'arrivo dei tuoni... cose che facevamo a quindici anni al mare, nei giorni di burrasca.

"Distrutto baby, spossato mia piccola da ogni pietosa certezza
che una marmaglia di polli e caproni gestiva con ovvia sciocchezza
Vago nel folto di fronde in delirio" ***

Tra poco sarò di nuovo a casa. Suonerà il telefono che mi passerà voci che mi ricorderanno impegni e scadenze. La giostra riprenderà il suo frenetico girare costringendoci a seguire la sua folle corsa e toglierà fiato ed energie e voglie e capacità reali e potenziali.
Una voce, nel profondo, mi dice che dovrei tornare tra quelle montagne, in mezzo a ritmi rallentati e quasi fermi, tra strati di luce diversi ogni mattina, e vivere di vita nuova, sorridendo all'idea di tutti quei manichini che corrono affannosamente per prendere al volo code di coniglio penzolanti che danno diritto ad un altro giro gratis sulla divertente giostra. Ma razionalmente so che l'immobilità porta immobilità e correrei il serio rischio di arenarmi in sabbie mobili da cui non uscirei più.

Ho fatto quasi 240 Km. Tra poco sarò a casa.
In testa girano gli ultimi frammenti della sera prima passata a vedere la trilogia di "Amici Miei", incastrati sul divano, passandoci vino in bicchieri di carta e salame tagliato alto e pane molliccio. Risate. Ogni tanto qualcuno che anticipava la battuta (perchè sono film che conosciamo a memoria) e ogni tanto si rimandava la cassetta indietro per rivedere certe scene. 
Intorno tutto è familiare. L'edicola, il tabaccaio, la svolta a sinistra e il parcheggio davanti alla casa e i consueti strati di grigio che tolgono colore alle case e alle persone. 
Penso a lei e alla nostra amicizia che sembrava incredibilmente autentica, incredibilmente inossidabilie e certa, inattaccabile, si è rivelata una sorta di portaerei rovesciata dalla prima misera onda. 
Mi arriva un doppio bip sul cellulare. Un suo messaggio dimostrerebbe che ancora tutto è in gioco, che c'è ancora tempo e spazio e probabilità e interesse e affetto e necessità e tanti altri "e" ancora...
... ma è soltanto l'ennesimo addebito di L. 2.000.

Fine

 

Le meteore del 98

 

"Stringimi madre ho molto peccato

la vita è un suicidio e l'amore è un rogo

voglio un pensiero superficiale che renda la pelle splendida..."

 

Spengo la radio che sta masticando un'altra volta una cassetta degli Afterhours. Spengo la macchina che è stanca di essere trascinata e fatta vagabondare per la città. E provo a spegnere anche me.

Cerco le sigarette che ho scroccato a Comitato,  ma il cruscotto della macchina sembra il cappello di un mago... quello che ci metti scompare per riapparire dopo mesi o anni ed io, prima di trovare le strabenedette Chesterfield, ripesco un paio di occhiali da sole che davo per smarriti nell'estate del 95, un CD degli U2 che battezzavo a casa del Ducaconte, un Twix dalla consistenza di una big babol riportante scadenza Giugno 96 ed un post it giallo con un numero di cellulare a cui ora non saprei associare un nome.

Accendo la  strabenedetta ed esco. Fuori il freddo è un ago sottile ed insistente che inietta brividi fuori stagione e la notte è limpida acqua di oceano, incontaminata e trasparente, che accoglie vite e mondi sommersi. Mi appoggio alla macchina, stretto nel maglione di lana  e nel suo collo alto, stretto nell'utima boccata di una sigaretta che non fumavo da anni, stretto nell'idea che ancora tutto sia possibile.

Guardo il cielo. Sposto lo sguardo in ogni direzione cercando tracce di meteore o di stelle cadenti o di qualsiasi cosa che non sia un punto fisso, fosse anche soltanto un aereo di passaggio. E mi lego, per non perdermi, ai piccoli dettagli di un  presente lento e quasi immobile seguendo i fanali di qualche macchina che arranca sullo sterrato vicino, ascoltando il rumore di qualche motorino, sfiorando la luce pallida e quasi malata della cascina  vicina.  Mi aggrappo alle stelle e alle immagini che disegnano sui miei occhi cercando di dare loro un nome per non farmi trascinare nel buco nero del passato e dei suoi ricordi, per non ritrovarmi a diciasette anni, in una notte del tutto simile a questa eppure così diversa... Era la nostra festa, il nostro saluto, il nostro addio. Era l'abbraccio finale di una compagnia che ha passato insieme una decina di estati, gli anni migliori. Eravamo sulla spiaggia, davanti al mare che ci ha visto crescere e diventare grandi, il mare che ogni estate sembrava ci riconoscesse e ci sorvegliasse, come un occhio che non giudica ma che spia curioso. E quella spiaggia, nell'ultima sera in cui c'eravamo davvero tutti, era una piazza da cui partivano le nostre vite che avrebbero preso altre strade, alcune, forse, un giorno si sarebbero toccate o anche solo sfiorate, altre avrebbero camminato in direzioni opposte.

Ed io, con le parole che rantolavano in un abbaiare quasi soffocato, provavo a costruire castelli, con la sabbia bagnata che sapeva di umido e di salmastro, e li costruivo per lei, per convincerla che tutto era possibile, che ci si poteva vedere ancora, che niente sarebbe finito se soltanto lo avessimo voluto...

Mi cucivo le sue parole addosso per essere certo che non le avrei mai perdute. Poi rovesciavo su di lei programmi e progetti e possibilità in un affannoso tentativo di chiudere a chiave la porta delle paure.

 La notte passava, il tempo perdeva i sui contorni e l'entusiasmo del gruppo si trasformò in una tristezza figlia di una nostalgia prematura... Ci addormentammo in spiaggia, quasi tutti. Io occupavo metà del suo lettino. Provavo a tener aperti gli occhi, ogni tanto la guardavo e le rubavo un bacio, ogni tanto pensavo a come sarei stato quando l'indomani sarei salito sulla macchina dei miei per tornare a casa. Ogni tanto pensavo a come sarebbe stata lei. Ogni tanto si sentiva una voce che diceva "ne ho vista una!" Ed allora eccomi, con una speranza deviata a costringere gli occhi ancora verso l'alto, appoggiandoli al buio che ormai conoscevano a memoria, pregandoli di trovare uno straccio di stella cadente a cui affidare un desiderio ed un sogno, confidando che non fosse solo un messaggio in balia delle onde...

Sono venti minuti che sono fuori, e se venti minuti di freddo sono tanti, venti minuti di ricordi sono troppi. Risalgo in macchina senza aver visto le meteore, senza aver resistito al canto delle sirene del passato, senza aver cancellato il ricorrente pensiero che nulla sia andato come immaginavo. Accendo la radio su una delle quattro stazioni radio che sono riuscito a memorizzare senza leggere le istruzioni (prematuramente scomparse nel cruscotto) e trovo un collegamento con un gruppo di studiosi che passerà la notte sulle dolomiti a 2800 metri di altitudine e a 18 gradi sottozero. Il portavoce dice che ne hanno già avvistate una cinquantina e che è uno spettacolo incredibile. Io tiro giù il finestrino e mi sorprendo con lo sguardo che punta dritto al cielo in un ultimo e vano tentativo prima di arrendermi definitivamente...tanto tra centoanni ci sarà di nuovo lo stesso fenomeno, e qui, dove adesso c'è campagna e strada sterrata e argini del fiume e cascine da restaurare,  ci sarà una nuova zona residenziale con un centro commerciale che farà orario continuanto 24 ore su 24 e colorerà il buio della notte con fasci di luci di tutti i colori. E le meteore le vedranno su potentissimi schermi al plasma, comodamente sdraiati su poltrone ad acqua, grazie al nipote di internet che  consentirà di collegarsi con telescopi spaziali e con un click si riuscirà a sapere quanta distanza ha percorso la meteora in questione, la sua velocità e la sua dimensione.

Mi piace pensare che nel 2098 qualcuno possa immaginare le nostre  notti, e anche se di meteore non se ne vedono e sono solo le solite stelle che ci guardano, le possa addirittura rimpiangere.

Accendo la macchina e parto, calpestando lo sterrato che mi porta alla strada principale. Le luci dei lampioni spengono il buio e con lui svariate migliaia di stelle.

Arrivo sotto casa, ma prima di spegnere tutto infilo la cassetta che finisce di cantare....

"E passo le notti nero cristallo

a scelglier le carte che giocherei

a maledire certe domande

che forse era meglio non farsi mai

E voglio un pensiero superficiale

che renda la pelle splendida...

A salvarmi vieni a salvarmi

Salvami e bacia il colpevole

se dice la verità...."

 

...Coincidenze...
 
 
Intorno è nebbia. Una nebbia sottile, quasi trasparente. Una coperta sdraiata sul mondo circostante, troppo leggera per nasconderlo, ma troppo pesante per non alterarne i contorni.
Cammino sul molo del porto, con passi lenti e curiosi, cercando di trovare con lo sguardo dettagli e particolari che mi dicano dove mi trovo. Il mare è alto, un tumulto impazzito di onde per nulla lineari e geometriche, onde che nascondono il punto in cui nascono e si infrangono prima di arrivare alla battigia. Mi avvicino alla cabina telefonica che è vicino all'attracco dove dondolano battelli del tutto simili a quelli che vedevo passare da  Lerici quando ero bambino.
C'è una bicicletta appoggiata al lampione ed una signora anziana seduta su uno sgabello che mi dice di saper leggere la mano. Sento il rumore di un sasso e di vetro che si frantuma. La luce del lampione svanisce, la bicicletta cade. Compongo un numero di telefono ma non riesco a prendere la linea.
La signora  si avvicina e mi chiede se voglio conoscere il futuro. No grazie, le dico, ma lei mi segue e tira fuori un mazzo di carte e con fastidiosa insistenza mi costringe a pescarne una. Dice di non guardarla e di conservarla, ma io, forse per dispetto o forse per dimostrare che a certe cose non credo, la scopro subito e ci trovo raffigurata una quercia con soli due rami.
Accellero il passo in una specie di fuga dal nulla, dal deserto intorno, da assenze inquietanti...niente traffico, niente rumori, niente persone. Solo foglie morte che si inseguono spinte dal vento e cartacce che si trascinano pesantemente sull'asfalto. Solo strade che portano tutte lo stesso nome e palazzi e case e alberghi perfettamente identici gli uni con gli altri.
Arrivo in una piazza  circondata da palazzi di dieci piani, tutti uguali e tutti con le luci accese.Per qualche ragione questa immagine mi è familiare.  In mezzo alla piazza c'è una quercia secolare con soli due rami, completamente spogli, identica a quella della carta che avevo pescato. Mi avvicino e gradualmente i palazzi diventano i gradoni di un'arena che si popola di facce e persone. Riconosco i miei amici, la mia ragazza, la mia amica speciale, la socia, le mie ex, alcuni professori, alcuni parenti e ancora volti che ho incontrato più volte con lo sguardo ma a cui non so dare un nome.
Mi avvicino per rovesciare le domande che mi stanno tempestando la mente, ma, come se fossi un perfetto estraneo, come se non mi avessero riconosciuto o, peggio ancora, mi avessero cancellato dalla loro memoria, non mi parlano e si limitano ad indicare la quercia. Così inizio a pensare che il significato  possa essere proprio lì, sopra quell'albero così singolare. Mi arrampico a fatica. Il tronco, oltre che scivoloso, si rivela molto più alto di quanto sembrava. In cima ci sono i due rami e mi siedo su quello di sinistra. Poi, di colpo, l'arena ritorna ad essere una cornice di palazzoni,  le luci si spengono, la piazza si riempie di acqua fredda e diventa una specie di lago dalla corrente fortissima che sradica la quercia da terra.
Le finestre dei palazzi si sbriciolano e cade una pioggia di vetro sottile che mi punge mentre cerco di stare aggrappato a ciò che oramai è diventata la mia zattera.
Mi sveglio che sono sudato.
Non ho paura addosso, ma un mantello impermeabile di ansia e inquietudine. Ci metto un paio di minuti a capire dove sono, a ridisegnare i confini della realtà e buttare tutte le immagini nel ripostiglio dei sogni.
Guardo l'orologio. Le lancette non si sono fermate ad aspettare che finissi i miei pensieri e segnano un'ora che non mi aspettavo. Ho più o meno cinque minuti netti per vestirmi, usciredicasa-chiuderelaporta, toglierelamacchinadalgarage-attraversarelacittà,  aprire il negozio. Mi sento un trafelato incrocio tra "il secondo tragico Fantozzi" e il Siddharta de "l'Albero delle Pere", ma riesco ad aprire il negozio con soli dieci minuti di ritardo. Finisco di maledire l'unico parcheggio che ho trovato e le tariffe da usuraio di certi parcometri e penso che se il tempo non facesse così schifo potrei usare anche la bicicletta...."un Girardengo solo un pò più basso e rock...." (ma questo è un altro libro...)
Verso le quattro arriva Comitato che mi porta i CD che gli avevo prestato e mi allunga una cassetta con un giro di chitarra piuttosto semplice ma carino e mi chiede di scriverci sopra qualcosa. E' di corsa, come sempre, e nell'incredibilie quantità di cose che mi dice (concerto dei Negrita, dei Timoria, Festival Heiniken, cena per sabato, regalo per compleanno del Ducaconte, casini in famiglia) parla di uno strano sogno che aveva fatto, con un albero dai due rami, una piazza ed il mare. Vorrei farmelo raccontare ma sta già uscendo.
... Coincidenze...penso. Mi diverto a pensare che potremmo essere  in un film di Nightmare, che il primo sogno fosse il preludio all'arrivo dell'artiglioso Freddy e del suo inguardabile faccino che ci verrà a far visita nei prossimi sogni...
Un paio di sms dalla socia che mi scrive di un affascinante uomo e di una proposta interessante, mi distolgono dall'idiozia di certe fantasie, poi  una signora trafelata mi tiene in ballo mezz'ora per acquistare un'euroconvertitore da 5 euro, che le stavo per regalare pur di togliermela di torno.  
La giornata scivola in mezzo alle fotocopie e ai fronte retro, ai bambini che appiccicano le mani sulle vetrine e ai genitori che li trascinano via, agli ombrelli che picchiano tra di loro e alle macchine che passano a velocità troppo elevate per questa strada e alle ultime pagine di un libro che non riesco a terminare di leggere.
Spengo il registratore di cassa, la fotocopiatrice, le luci. Abbasso le saracinesche ed aspetto che la stampante finisca di inchiostrare l'ultimo foglio con il testo per Comitato. Ed in mezzo a questa briciola di tempo mi trovo a pensare all'albero con i due rami, alla vecchia vicino alla cabina telefonica e non posso evitare di chiedermi se davvero il sogno di Comitato fosse così simile al mio.
Arrivo alla macchina, parcheggiata in piazzetta, che sono fradicio per la pioggia che oggi non ha smesso di cadere. Tento di telefonare alla mia ragazza per sapere a quanto ammonta il quotidiano ritardo del treno, ma il cellulare non da segni di vita. Frugo nel portafoglio alla ricerca di una scheda telefonica e entro nella cabina vicino all'edicola. C'è una bicicletta appoggiata al lampione e uno sgabello vuoto poco distante. - Carta Esaurita - dice il display. Esco e una signora con i tratti da zingara mi chiede se voglio farmi leggere la mano. No, grazie, le dico. Poi mi mette davanti un mazzo di carte e mi dice di pescarne una, con la stessa ingombrante insistenza che avevo conosciuto durante l'imprevisto sonno pomeridiano...
- Almeno prendine una - dice
- NO, non voglio! Lo capisce o no. Non ne voglio sapere! - dico, cercando di mascherare l'incredulità con la determinazione
- Ma perchè?
- Perchè? Perchè questo sogno l'ho già fatto.... -
 
Bruno  (Bilco)
 

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