LITORALI
Fuggiasco da labirinti del pernicioso percorro litorali sorti dal fuoco per mezzo del fluido sono spericolato funambolo su equilibri di miracoli. Mi allungo tra lembi di terra perversa vedo le savane, le foreste pluviali dove un tempo gazzelle e leoni conoscevano le origini della pace. Addentratomi nello sfoggio del preistorico confino alle spalle inquinanti collettività spazio nell’universale tripudio del vivere giro e rigiro su me stesso, danza della gioia. Domani raccoglierò l’ultimo tramonto dal cielo della fantasia privo di stelle lo userò come lama per scontornare da opprimenti montagne i miei litorali.
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SCENE DA UN SOGNO FRIULANO
Guariscimi dall’insonnia quieta la mia fame di sogni dolce volto pennellato nell’aria. Profumo di primula carsica nel marzo di dossi floreali tuo il nome che scorre, saltellante tra l’acque renose traspare freschezza recita sincera da sapidi pascoli a pastose doline. Alle porte d’antichi invasori morbido il cielo degli occhi rimena seducente e turchino dalla foto del tuo mare giuliano. Faccio mia quell’immagine m’accubito tra rosee gote tra le pieghe del tuo sorriso alveo d’un Tagliamento ribelle. E vaghi pensieri per le andane del Tocai dove l’alpe cangia da bruna in verde, e qui conosco a tratti il tuo cuore profili meditativi posarsi su malghe. Sfioro faville della tua mente in versi io, alare del focolare reggo i ceppi tra il divampare del tuo comporre, giovane fuoco che ardi sull’altopiano mentre la neve va a spegnersi in mare.
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QUANDO IL GIORNO
Riflesse dai suoi contorni le pieghe del sogno sbocciano come fiori sulle altane oltre i muri quando il giorno s’addentra e ti sorprende solo. Il crocefisso dall’alto della scacchiera di luce si rallegra di un altro tuo risveglio. Hai dimenticato di metterti scarpe eleganti l’altra notte non sei tornato dove t’aspettavano. Hanno arso le pagine del tuo manoscritto ma le parole l’hai serbate nel chiaro dell’astuccio, tienilo nascosto ora, sotto il bavero liso del paltò non verranno a frugare dove ristagna amore. Per nulla peni nel non consumare frugali cene filigrana di ragnatele ingioiella angoli vuoti. Non ti curare della madia sghemba a barricare l’uscio e di armadi colmi di marionette appese per malinteso. Giù per la strada hai ceduto la tua libertà mani esili da riscaldare ti attendono ancora quando la sera smonterà e ti sorprenderà solo
ECLISSI
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(ai 90 anni di Mario Luzi)
Dal castello dell’alta maremma erano lontane invenzioni liriche. L’avvento dello scalpitare notturno ti condusse nel campo che fa da piazza novellando le avventure del Mauriac. E poi con vascelli a pelo d’erba in quel di Boboli tra alti domìni al circolo San Marco a coglier smorfie ciarlando dottamente d’ermetici verbi. Il tempo d’un brindisi e scrivesti di segni di guerra tra le pagine d’un gotico quaderno sfogliato all'ombra d'uno Gnomone, fiore del tempo. Ma non rinunciasti con attonito sguardo ad allargare la ragione raccontando storie di gente comune, pianta e sofferta, tra le più diverse voci del mondo. Toccasti persino l’animo abissale tra sonno e morte in accordo meditando vocazioni d’oriente, e pellegrino la notte a chiedere asilo nel vorticare di bambini e nottole tra lampi e flutti di viaggi spagnoli a lusingare grazie nell’unica tua fede. Mentre altrove i giorni lavano menti dove raramente qualche gabbiano appare
PREGHIERA del DECADERE
Credimi, Dio Nella prateria di padri senza figli ogni casa, ogni strada è frontiera s’assediano pozzi e nulla si concede. La terra è sordamente cinica, cupida venti variabili cambiano la tua veste diventi icona del bene e del male ed il nome tuo è gioco su troppe piste. Ricorda il colosseo dove il pagano gioiva del cristiano sbranato e lungo lidi d’Acri il mitico templare s’esaltava del sangue turco versato. Ed ogni giorno l’insipido cielo si condisce con brani di carne lacrime tra le tombe dei profeti ad irrigare l’odio germogliato prima che la sabbia incipriasse i palmi. Per colpa d’una kefia svolazzante quell’uomo ha perso il suo treno sulla terra piange le care nere ciocche svanite tra brusche nuvole ferrigne. Posso io tra tali nauseabonde ampolle avere ancora fede nell’azzurro tuo? Posso io, Dio mio?
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CRESTA ARGUTA
TRA CHIARO ed OSCURO
Quando la notte è chiara come l’alba il buio dà corpo al nulla dà al giorno ragione di esistere. Poi l’oscuro frappone al chiaro un velo sottile che s’assottiglia sino a divenire vuoto che attira a sé quel poco di tutto, pulviscolo d'umanità il meglio del vissuto trama di noi stessi.
SOTTO I PONTI Sotto i ponti passa l’acqua non scorre, un poco si divincola. Sulle rive ristagna la nebbia, rigida accarezza il greto affranto ed un’idea gelida d'orizzonte si cela più avanti, a valle. Tondeggianti colli tra sbuffi, schiume d’inconsulte immagini ed orgogliose serenità si stagliano nel cavo dell’inquieto. Tra primitive selve, turbolenta e glaciale, entusiasta e minacciosa l’acqua sinuosa giunge. S’insinua fra i pilastri sotto le arcate e poi senz’esitare si riversa nel decadere della civiltà dentro vicoli di mondi affollati ove l’umor nero riecheggia. Precipita, penetra le fessure intarsi murali di volti crepati dall'attonito contemplare, lambiti dal roco dialettare di giornate smorzate. Sì, sotto i ponti… sull’argine argilloso fantasticare è reale pur seguendo struggenti raggi nell’incantare del liquido, che non più limpido ma scuro ed ombroso sviolina canali al vento tra ville e stille…intirizzito. L’acqua prosegue accoglie fiori orfani ed occhiate meste sino a che le sponde, svaniti i colori si raccolgono al blando sollievo risalendo onde d’un ricordo rattoppato alle fronde di remote selve. Passato l’ultimo ponte solo scarabocchi, linee per niente geometriche s’addensano, bisbigliano al cuore appisolato gli oleosi, ultimi battiti prima d’affrontare il temuto amore paterno.
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COMPAGNA di MILLE NOTTI
OGNI 22 MINUTI
Di campi brulli ed incolti aridi di umidi stenti non di vitigni ben allineati ogni 22 disumani minuti parlano le fosse scavate e poi di nuovo riempite. Luoghi di passi attecchiti senza nome e preghiere, i contadini spingono aratri dietro macilenti bovi; i pastori accanto al gregge con un occhio all’agnello e un secondo al seno che allatta. E poi capanne per riposare. I loro figli a volte non tornano se vanno a cacciare ramarri, e se la fortuna li assiste useranno meno lacci da scarpe e di sedili si muniranno. Lungo il cammino di Mosè passano altri 22 minuti dal colmo della scalinata avverto sordo il boato e incido rocce per ricordare l’ennesimo corpo maciullato in nome di chi non so. Forse di fumose ciminiere dirimpetto le nostre case che ingrassano forzieri e regalano pandori a Natale.
Chiudo la porta
sbattendola in faccia al sogno. L’aquila e la volpe s’azzuffano infagottate tra le tinte di Ligabue, io mi dispenso dal discutere ermetico dentro sacri gusci. Adorabile solitudine il sipario s’alza e s’abbassa parte il monologo di Pinter nell’ombra di tendaggi si realizzano intangibili ideali. Amore ed odio fondono le miserie in figure volatili dopo già creati ed offuscati futuri non più prossimi. Radunerò nell’eremo del meditare le azioni che dominano i pensieri ed il pudore d’ogni movimento appannerà i riflessi vanificherà la vista. Allungandomi tocco il soffitto scopro dimensioni invitanti, sereno mi tuffo nel blu di Renoir ai sensi conciliati replico pigramente nella Senna accanto al trumò.
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NON PIU’
Non più profonde e chiare le arricciature che osservo. Esangui rigogli, torrenti ribelli meningi di rovo e teste arboree d’alce fanno frastuono nei pressi agitando acque pacate. Un vento tiepido ma tossico sputa caligini da levante abbruna foglie e rami liberando spazi imprevisti. L’anziano edicolante allontana stupori per le carenze del sole ed accartoccia giornali, per il suo falò serale. Mi ritrovo altrove in città che non conobbi in colline che non volli, oltre stuoli disadorni pennellerò ostiche dorsali imbastendo cime innevate vi giungerò, nel sereno alveolo io, granello del male di questo male...
MORTE sul PIAVE
Adesso più non sento lo sciabordio del Piave, un tappeto di foglie nasconde ogni sentiero. Ancora s’ode il rombo che sommerse case e grida l’eco di quella furia liquida bocca di uomini mai sazi. Giù da quella gola non fu solo un gelido vento ma una bàlia omicida, tumida di pietre e latte a sigillare canti inermi rei d’amare le valli tra gli arditi dirupi. Le tante mani dalla terra informe rimasero così protese additando il campanile a bronzeo monito serbato. Quanti sogni interrotti in quella notte di ceneri quanti abbracci spezzati in quell’insano gioco quanti rimorsi affogati nel trascinarsi d’anni. Solo undici tetti a ricordare nel mezzo d’un camposanto e su tra nubi immortalato lo spettro grigio d’avida miopia tende la mano all’arduo declivio
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IL
RIFLESSO
L’anima sorda rovescia di luce riflette oscurità nello specchio obliquo al mio cercarmi
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QUINDICI ANNI
L’altra notte la mareggiata ha sommerso la spiaggia cancellando i nostri nomi segnati sulla sabbia. Eravamo lì, quel giorno di fine estate a rincorrere arcobaleni mi tenevi per mano sorridendo ad ogni onda che spumosa allontanava sempre più l’orizzonte. Il sole andava e veniva in sella a destrieri di nubi, ma a noi non importò, lo sfavillio dei nostri occhi verso sera irradiò sul mare i guizzi dei mormori. Per anni la tua voce ha ammansito il vento delle mie vene, i ruscelli dalla tue labbra a scacciare scorpioni lontano dalla serra trasparente, nido di sguardi. Anni ancora a cullarsi tra gioie in piena e sorprese, carestie di bontà , orti alluvionati e uva passita. sognando oltre il visibile nel cuscino dell’altro. Quindici anni ed ancora rovistiamo il guardaroba per indossare nuovi abiti. Anni trascorsi a lievitare sotto una glassa croccante, sopra un velo di zucchero ad addolcire piccole muffe, poi nel forno delle solite cose a cuocersi adagio. Con attenzione… non bruciamo l’amato dolce, se cotto degustiamolo ora, finchè sarà caldo.. Domani a tempesta passata torneremo sulla spiaggia nel nostro castello tra i granelli ospiteremo conchiglie.
(alle due Simone rapite)
Sorelle di veglia a quella porta pur di tenerla sempre aperta teneste mani tenaci sul battente. Attraverso fiamme e fumi d'una dilaniata antichità eravate finestre sulle polveri di strade irrorate di rosso. Due donne a calcare deserti ignorati: l’una, labbra velate di blu andava per piazze a riempire visi anonimi e pozzi svuotati; l’altra, occhi amici ai più a tramutare miserrime aie in giardini di altalene e parole. Insieme uscirono dal guscio col coraggio d’un pulcino più alte del volo di un falco, ma all’angolo l’affamato lupo fiutò l’odio inciso sulle rovine. Occhi e labbra portò via nella sua tenebrosa tana di colombe senza piume. Due donne chiuse nella gabbia non potranno più cogliere fiori nell’oasi travolta dalle sabbie.
FIABA
d'AMORE
Forse non ti affiderò il ricordo di bianchi petali d’anemone in culle tra fili di seta rosa che alle mie arterie intrecciai. Non potrò mai svelarti d’assonnate soste fra le spighe ad un soffio dal tuo fienile per starnutire la tua allergia Mai saprai ch’ero catena del tuo campagnolo pedalare nel dilagare domenicale d’umide fughe tra sentieri. Non ti confiderò ch’ero allodola di stormi verso le campane e rasentando spari sopra il canneto ascoltai il tuo rintocco d’amore Forse mai ti dirò della romanza esser stato tra i candidi tasti un nero si bemolle appena sfiorato dal gorgheggiare del tuo cuore. No mia cara, non ti racconterò mai fiabe, come un raggio di sole mi poserò tra le tue ciglia illuminandoti il risveglio ancora con sogni schiusi. Sì amore..baciami di nuovo.
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OMBRE su di NOI
Siamo qui fiaccati di schianto teste marmoree con la fievole realtà svanita per sempre. L’ultimo spiraglio si curva arrampicato sull’estinguersi del verde soffocante, avanza l’ombra domina ogni angolo. S’amplia, fluttua come un’agitazione di spighe si trasforma in gioco ansimante: l’acqua si muta in olio abitati in semplici muri parole in nebbia frizzante e il tempo, sì anche il tempo in una magica nenia che stona al docile esistere. Rimarrà quasi nulla poche stelle tra occhi e lenti, poco amore tra palmi e petto. Restiamo nella magra luce tra l’erba, distesi licenziando il lontano estinguersi.
Della NOSTALGIA
Versi solo adesso composti s'addensano nel silenzio strappato alla mia voce. Pianto dolce e prezioso, sei un mare assassino in cui m'immergo con la timidezza di vivere. Resto naufrago nella vacuità d'emozioni e vivo tra prosciugate macerie come ammasso stanco del lieve trastullare ricordi.
TEMPERE d'OTTOBRE
Un greve mantello cala adagio tra abissi e case lieve si propaga. Sera mite d’autunno. Crocee tinte pennellano l’esanime quadro stremato dal bagliore, corrono le cupe strade cinte da smunti lampioni. Ovattato d’incanto il soffuso vespro. Ansiosamente covato il paesaggio attinge tonalità al letargo di nidi strecciati accorandosi all’opacità d’un dipinto intentato d’autore. Infine al cuore l’occhio ceruleo traduce messaggi sospesi,imbevuti dalla fradicia coltre.
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IN
GALLURA TRA RUGHE DI MONTE
Ad ogni ruga di monte inconsumato folclore d’aspre isole, annodati oceani di luna sospingono dal pianoro musica di balli spagnoli. Di ruga in ruga, spacco del monte corrugata fronte d’Atlantide sei aria, pulviscolo di saghe normanne. Mi cingo di goffi crinali tafonati massi sculture del vento a guarnizione d’ovili e porcilaie, nel disperdersi disseminati stazzi lacrimano; poi al ristoro d’un boschetto di sugheri le anziane zolle mi parlano di te della desolazione che monta di maestrale al passo, per scomposte vigne a terrazza. Giungo caldo d’amore su ombre d’affusolate stele che allungano l’esedra tombale d’atavica memoria, e appare tutto mio unico giaciglio. Sul saliscendi scabro del mirto, scendo che s’apre il fluttuare d’arcipelaghi… percorrendo transumanze orientali, risalgo una ruga di sobbalzi mi porta a contrade povere di pecorai e croci. La festa è finita, i pizzi appesi gocciolano di colori ravvivando l’opera di vecchi impagliatori impenetrabili nella loro storia mai stanca. Più in là, l’artigiano racconta la discesa a mare dei Lestrigoni dal costone alto sino al banchettare tra i fiordi bianchi d’ossa, ed in quell’istante mentre l’uomo le mani nodose rivolge al sole l’interminabile orizzonte veste l’abisso con nubi d’argento forma l’indefinito acrocoro. Sì…tra le rughe della Gallura vorrò esser sepolto dove la collina è un’ostile montagna.
TRAMONTO AD ALGHERO
L’iride pigra dei tramonti inanella i rosoni catalani in collane di corallo e turchese ed ogni incontro rimane desiderio di notti d’agosto Il sole affonda dietro promontori: tonalità d’ambra restano impresse su bombati intonaci, sfuggenti ed io sfioro teorie di bastioni a pelo d’acqua cerco nuovi profili La sera è magia di lanterne: spengono i silenzi delle case per accendere candele e caraffe sotto schive pergole arabescate ove m’inebriai di labbra imbronciate L’indifferente malizia dalle vetrine, congerie di folle e miele tra i chiassi cercando l’orlo della tua gonna gitana, dovessi ripescare dietro l’altura il sole cremisi che t’ha generata.
EQUILIBRI VARIABILI
Morbida nenia bitonale il lamento arriva sin qua ne sento il soffio fresco nell'oscuro giorno trascorso ad intuire memorie morte. Tocca in fronte l'ansia sorprende fitta con un bacio la statua di sale sul ponte, il chiaro di luna scintilla nel ribollire dell'insano rancore concio pensieri su inermi scogli. L'aliante plana vuoto sul tempo specchia l'anima su nastri d'onde sopra una suadente marea d'amore ch'ora m'inonda il petto arido. Trasformerò l'odio in tolleranza nello stupore di saper raccogliere le briciole del cielo avanzate.
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(A me stesso)
All’ultima curva l’intravidi lontano arrancava, ma reggeva il passo teneva in serbo l’ultimo guizzo. Non mi posso più voltare siamo oltre la metà troppi attimi vitali perderei, sarebbe subito col fiato sul collo. Riflesso nel lago, poco fa ho visto specchiata la sua immagine è impressa nella mia mente ma già non la ricordo più ! Ora, inizio a sentire una certa fatica la salita sarà sempre più dura sino all’erta finale , sulla rocca. Non la scorgo ma in realtà è vicina. Ho deciso ormai, sono stanco: all’ultimo ristoro l’attenderò, è troppo forte per me. Mi complimenterò! Le darò la mano guardandola negli occhi. Non vorrei…ma la luna ora si sta alzando in cielo dove la nebbia si dirada.. Qualcuno mi sveglierà prima o poi: Son Quarantuno!! Auguri! Non si direbbe…
OPUS INCERTUM
Ho fiori appassiti in balcone da allora non li annaffio più vedo le tue mani sistemare vasi e di cesoia ripassare cime. Al biancheggiare delle pietre il giardino vive d’una luce propria il passato splendore prende corpo dalle fessure dell’opus sectile i trifogli trattengono rugiada, l’umido ricordo di quando accudivi ad anime e piante. Il conforto delle parole s’avvolgeva attorno alle mie spalle, agra carezza d’un rimprovero d’alto fusto su rami inarrivabili. Dal dolce pendio del prato all’inglese malconcio di fronde troppo estese alla cantina di ruggini pencolanti, di arnesi poggiati alla rinfusa il rivangare di terreni incolti tra il secco incertum di muri mai completati, come quando seminavi solchi con inascoltate lezioni di vita. Le ortensie ancore vive al riparo di sottili cipressi profumano di quel santo ceffone che ancora duole di voci nel confidarti il mio esitare. In questo giardino sempre ci siamo incontrati e lasciati come la pioggia scivola sui petali. E sarei voluto essere ape briosa suggerti il nettare ma per deboli ali o per un falso sbocciare nella mia dispensa è mancato sempre il miele.
CONTEMPORANEITA'
Con lei immota vado in immersione nel tempo d'un lento scorrere d'altro verso balzi di rane il fossato vive ad ogni spruzzo un bagno di novità !
SETTEMBRE
Per questo sole ammantato senz’ombre t’ho atteso meriggio d’estate, Settembre ho atteso che ti lasciassero tutti in questa bruma che disegna ragnatele. Ritrovo paziente i miei passi corrosi adagiando l’occhio sull’arco lontano e acquieto i rampicanti pensieri appesi alle gronde lungo viali in fruscio nella luce che a sera s’arrende dilatati rumori di ieri arrivano appena. I giorni uno sull’altro, cantici fra l’edera danno spiraglio a chiarori stellari mentre mi lascio colmare dal vuoto senza angosce, né gioie vendemmio l’ore che il vento sfoglia senz'odio, né amore per qualsiasi decisione v’è spazio da qui non aspetto altro che Autunno.
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L'ATTESA
Ramoscelli rampicanti smussano le cisterne dal degrado di scambi. Seduto sul macerato scanno d’una stazione senza pensiline attendo invano il lento sbuffare colmo di teneri ritorni non conosciuti abbracci. Gli anni si dissolvono al di là delle rotaie incerte linee d’aquiloni vi tracciano ponti sospesi. Tra i grigi fumi , stasera andremo a ritirare le nasse in vetta alla palafitta sugli scogli a mare ed ancora ci racconteremo. Ma ora sono qui: Il bastardo della cantoniera mugola greve,non trova più la ciotola con avanzi di cene e si stira a prender fresco mentre io m’incammino deragliando tra i ricordi di treni perduti
TU COME LA MIA TERRA
Da terrazze muliebri gli acerbi oleandri non escludono lo sguardo al tenue degradare dentro i tuoi occhi Tu sei la mia terra valli e profumi pianure e colori dal mare alle schiere montane sei unica, aperta vista. I miti filari delle viti snodati tra arati colli come il nastro vermiglio a cingere i tuoi amati fianchi I flutti increspati d’azzurro mossi da marmorei dirupi dolce profondità a temperare l'estro dei tuoi occhi I crinali, boscose dorsali sembrano le tue agili mani quando lievi seducono con l'onda bruna dei capelli Poi fiumi di pianura che solcano medievali signorie vene sotto la tua pelle di perla foggia d’un indigena bellezza Bianche strade di podere con spighe spolverano ostelli come i tuoi docili gesti educano una voce di flauto E così...a rimirarti sporto dalla ringhiera tu avvinghiata al mio cuore come questa mia terra: fertile semenza dai raccolto all’amore per i miei pascoli.
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TELE di
RAGNO
Cadere nel vuoto e pure un filo di ragno può tentare la mano. Ho ali di tele di ragno intessute alle mani e... non sarà mai volare.
(ad Elena)
Oggi ho litigato con me stesso per nonnulla il cuore sobbalza quando il sole straripa sulla luna. Poggio i gomiti sulle saponate pagine ti fisso nel tuo vispo scrutare, calma l’indugio del gatto in agguato, fermo. Hai riposto nella cassa il gusto della vita, che zelante condisci, ogni giorno ma al tuo palato rimane insapore. Cresci lesta come le tue corse, giù nella terrazza afosa di compagnia ed io nascosto alla finestra a corroborarmi con la tua voce. Ti confondi tra i limoni , presto giunge il gonfiore agli occhi e piangi per non aver sfiorato scie del germogliare d’interi giardini. Poi, aspetto come sempre la sera d’amabili licenze di sorrisi porti a sorsi d’acqua, di paure intrappolate dal buio. Mio ninnolo che trabocca d’oro, non so quanto brillerai a me ma finché ti starò accanto, vivrò dei tuoi mormorii di tenerezza
FOTOGRAMMA
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(da Castelsardo)
A solleticare coloniche pareti voga il timoroso spiraglio di luce movendo tende appena rammendate. Il riverbero sussurra onde pigre al risveglio tra l’umide lenzuola; il mare ancora sbadiglia e l’aria si fa sobria di fragranze nell’inzuppare friabili pupille al di là del davanzale. Scorgo i gigli bianchi tra sabbia e verde sconfinare nella placida azzurrità e l’animo mio si rallegra del perdurare della vita; le isole alla deriva di nebbie e fuliggini di miraggi mattutini arrochiscono la mia voce rendendo così piacevole l’ascolto di sparsi respiri. Il mio corpo ha colto fremiti dimentico delle stanchezze di ieri a tirare di bordo e prolungare bracciate, aperta la schietta imposta cormorano sarà felice d’essersi appollaiato quassù; con l’ala ad ammorbidire stamani il crine della natura, allorquando la prima risacca è l’ultima di ieri. |
GRANITI DI CAPO TESTA
Assomiglia ad un giovane profilo teso nell’odorare aromi francesi a macchie sulle bianche scogliere al di là delle increspate bocche. Scapigliata dal lentisco è creta su cui la leggenda ancora decanta scaltri passatempi di giganti che di sassi tutta la cosparsero. Sassi variegati in scarmigliati graniti sagome di visi, animali parlanti dove ognuno a piacer nostro poserà sguardi a scrutare l’intimo con spatola su pose di graniglia. A perdita d’occhio granitici monoliti si mescolano al mare in intarsi continui da pieghe rosate di roccia a limpide dentellature marine. Cardine dell’argine di venti all’alte sponde mi fingo dattero di mare, cercatore di perle prigioniero di scolpiti modelli e sul pietrisco della cava rupestre che sbiadisce in fronte al faro desquamo il mio misero corpo. Tornerò vertebrato folgorato da lune tuffatesi a mare in questa terra di meraviglie di sasso serbato da posidonie, e montagna che volge all’acque microcosmi di popoli modellati dal granito fra inesplorati spazi.
(in ricordo delle piccole vittime di
Beslan)
Sono nato di nuovo quando
ho visto sfilare grembiuli azzurri, rosa e bianchi tralasciando sui banchi diari con griffe stampate. Ho colorato i loro cuori disegnati all’angolo di fogli, e parlavo della pace con forza delle foreste con mille animali, del chiarore dell’alba che oscura i rossi tramonti. La tenerezza dei loro canti mi incoraggiava a salire in alto e mai sono stato solo pensando le loro merende in cortile. Ho visto i loro sorrisi scacciare lacrime quando fuori piove, ho visto piangere per una carezza. Ascoltavano attenti, ieri ho detto loro tutto quel che so ma non ho parlato della morte… |
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