DECALOGO "LA FINE DEL TEMPO"
I.
VAGHE DIMENTICANZE
Ti
osservo di nascosto, vezzeggi velluti
nervose mani per disadorne stanze,
inquieta disegni gocce su freddi vetri
del serale autunno che invade ogni attimo.
Sul collo ti bacio, verniciando pareti
coi frutti smorti d’appenninici manti
fantasma d’umide fronde avellane, io sono
ad asciugare la terra dalle tue lacrime.
Vorrai sapere tutto di me
di come la vita mi ha condotto qui
per gallerie d’appartamenti vieti,
di come occhieggio il fiorire d’albe
da precari ponteggi nell’inverno tardivo.
Indugio sui tuoi fianchi
meno spigolosi delle memorie d’un tempo:
ore meschine di giorni tra pranzi e cene
sbirciando polveri ammucchiate negli angoli bui
risparmiate da correnti d’aperti mattini.
Riversami ora i dipinti delle tue pupille
colmami con la tua pienezza
sino alla soglia che ci congiungerà.
Dividiamo quest’ultimo vano d’universo
che il diffuso tepore della malinconia
rapisce a confuse cantine di ricordi.
Spalanchiamo finestre oltre i dubitanti cortili
giungiamo mani e piedi e balliamo, trottole
su note dai crinali vibrate sino alle logge
dove luce di prossime stagioni e venti
non sfumeranno più nel fondo dei nostri cuori.
Com'è
lieve l'eco di vaghe dimenticanze...
II. DAI VIALI ATTORNO CASA
Sono un
cavaliere che vaga nel regno
vorrei rubarti parole rigogliose,
altro non sono che acque di ruscello
dove attingerei la mia sete infantile.
Arrivo tardi e mi smarrisco nel cercarti
busso al tuo portone col cuore gonfio
so di non trovarti assisa mia regina
ma ben ritta alla finestra mirando ali.
Scarni pini ed acacie non escludono
la vista verso un placido mare
verso viali osannati dal vento, e là
dovunque i colli si fanno toccare.
Quando la nebbia invade angoli
il tuo castello vi naviga sopra,
e tu dama misuri i passi di cartapesta
contandoli alla tua mente ancora giovane.
Tieni saldo il timone, arriverai ad udire
il battito d’ali sotto le umide gronde
nella piazza sorretta da nidi di rondine.
Ti poserai quando foschia diraderà
per afferrarne le luci più insolite
e tra le tante panchine spero sempre
che t’accosterai a me come fossi il tuo vecchio
sorreggendomi la mia gamba stanca.
Andremo passeggiando sulla renella estiva
di cortili prodighi di ombre dinoccolate
e dalle nostre labbra solo parole di felicità.
Dritti sino alla brina del prossimo mattino
quando io vorrò tornarti in grembo
dissolvendomi nel più dolce degli abbandoni.
III. ANDRO' A LETTO
PRESTO LA SERA
E’
trascorso un altro giorno
e sento più vicino l’attimo
in cui saprò cosa copre la mia pelle
se nell’abisso che s’apriva dal cuore
fosse mai stato versato il desiderio
a farne un calice mezzo pieno.
L’anima è scivolata via di soppiatto
mai ebbi modo di notare la sua
consueta presenza in casacca bianca,
troppe assenze m’hanno popolato
quando le parole respiravano a fatica
dietro maschere conosciute.
In poco spazio, tutto è morto
anche il gesto delle mani
a riscaldarsi davanti al focolare,
con l’amore forse neppure l’illusione
per colmare il resto dell’abisso,
quella voragine che mi devasterà
sino all’ultimo battito, in solitudine.
Ma ho già deciso, non penserò più
il cervello servirà pur ad altro, così
andrò a letto presto le sere che verranno.
IV.
RARA FELICITA'
E’ il
tempo indignato a bloccare i secondi
a spuntare le lancette dell’indecifrabile
allargandomi tutt’intorno oceani affollati
scegliendomi il minore fra i troppi dolori.
Depongo il primo punto dove capita
tra una virgola ribelle ed un esclamativo;
sarà come stare sul bordo di cornicioni
con l’orecchio teso a carpire spari
contro gli stormi di varie infelicità.
Ammirare il racchiudersi della città
nel nido strisciato a terra dal crepuscolo
è solo una luminosa impossibilità,
una melodia cantata a metà, rimbalzo
su cieli che non chiesi ed ascolto
al di qua di porte che non oso varcare.
Questa è la mia felicità, essere
unico spettatore dall’alto del loggione
col binocolo violare le lontananze
di comparse sfuggite dall’ampio proscenio
e scoprirmi fortemente miope nell’incapacità
di saper cogliere gli attimi di rara felicità.
V. LA RESTAURATRICE
Sul colle
sotto l’edera erano muri
e chiari vigneti a valle spuntavano
da minuzie di blandi fienili.
Non ti ha lasciato un varco la neve
resterai ad affrescare sobri saloni
acrobata tra le nobili pareti
crepate dal tempo, con raffinate
mani sgretolate da un tarlo mai sazio.
Dall’ultimo piolo della scala
tendevi dolorosamente ogni fibra
l’abilità sulla punta di quelle dita
ali sfinite incapaci di reggere
il peso d’un corpo svuotato.
Protesa verso intonaci a volte
mille scorpioni a rovistarti dentro
racchiuderai quel che resta dell’anima
nell’arte che stinge e credi ancora tua.
Cadono scaglie di calce
a struccarti le trasparenze del viso
quando la speranza è solvente
corrode le prime gemme
schioccate tra i rami curvi e spogli.
Non specchiarti per provare pena
la malattia diverrà strenuo amore
e la crosta deteriorata del cenacolo
in ogni dettaglio eternerà il colore.
VI. L'INTERMINATO STORDIRE DEL TEMPO
All’interminato
stordire del tempo
gli anni disdegnano pieghe della fronte,
avrò gambe ed occhi per riesumare
ombre d’istanti amati più della stessa vita;
grigio e sonnolente calpesterò la ghiaia in giardino
e nessuno udirà l’agonia d’un cuore macero,
_lontano_ saranno gettate esche nella palude
abboccherà il baratro e mi trascinerà a sé.
La luce irradierà su ciò che resta
avrò gambe ed occhi per passeggiare veloce
scorrendo righe di versi scritti da chi mai lesse.
Un capriccioso riposo sotto il sole:
pagine su segnalibri ingialliti, leggerò lentamente
per comprendere a fondo quale morte
ho tenuto stritolata tra le braccia
per poi farla rinascere tronco tenace
sul friabile greto del torrente.
Trema la terra sotto il cielo di cristallo
saccheggerò ogni sua fenditura
tenera perdizione d’una feconda afonia,
in un tempo denudato del selvatico fragore
complice dei deliri d’una vita ch’avanzerà
come un baco svuotato della propria seta.
Sarò forse vecchio con una vista migliore?
Una lingua a snidare gli errori tra i denti?
Nient’altro che un cuore fantasma sarò
a dibattersi tra una stazione e l’altra
confidando nel treno che emergerà dalle colline.
Partirò
dalle mie abitudini tirando le tendine
silenzioso commiato da asciutte lacrime,
migrerò da paesaggi su cui transito come intruso.
VII. SABATO MATTINA
Spiove
tra uno sbadiglio ed un caffè
in un’occhiata gettata fuori nell’azzuffarsi
di gatti straniti dalla primavera.
E’ finzione il mio fissare il sole
quando la pioggia smette di battere
sul ricordo di come si stingeva l’asfalto,
ma le palpebre sono talmente sottili
che traspare la sagoma tua elegantissima,
un muoversi accurato al di là
delle tante finestre che ci dividono.
Libellula che ti destreggi
tra le corde del bucato, candido viso
che ritorni nel tenue sventolio di pizzi,
quante volte ti ho atteso all’ultimo angolo
per incrociare la timida malinconia
che serbavi nel tuo borsellino ricamato.
Rivedermi divorato dai sussurri
a soffiare il fiato tra le tue ciglia
appena sedotte da un velo di mascara,
a sfidare il tuo sguardo che nasconde pensieri
mentre mordendoti il labbro mi parlavi
dell’ anitra selvatica quella sera al Valle.
L’impasse ha dilatato ogni indugio
sulla soglia del vecchio quartiere:
grappoli di balconi fioriti,
fragranze di stufe in ghisa,
rintoccare secco di passi sul pavè,
è un sussulto continuo delle tue vene
nel mattino umido che langue al bagliore
riflesso sul rame presso la bottega
delle tue amate anticaglie.
E’ un sabato che non pensavo di ritrovare
esco, l’aria stiepidisce
nella guazza madida di tormenti,
il destino ha giocato duro questa volta!
Dal portone scorgo il parquet del tuo atrio,
sul patio si ridestano le bianche rose.
VIII.
APPUNTAMENTO COL POMERIGGIO
Soffro
quando vado all’appuntamento col pomeriggio
vi arrivo con i piedi scalzi, quante scarpe slacciate
sono affondate tra l’erba alta del campo acquitrinoso!
In quei momenti mutano i lineamenti
è impossibile simulare l’angoscia
nel digiuno di colme parole passando
attraverso residenze di ore inconsistenti,
spossato in sale d’attesa senza quadri alle pareti
dove per gravità gli argomenti precipitano
tra le pieghe di vecchie riviste.
Passato mezzogiorno i muri invisibili
non tengono i cardini alle porte, ingannano
le fuoruscite di aneliti bisognosi d'incontri.
Tanti capelli ho sacrificato alle mani
per assecondarle nel timore che si rivoltassero.
Pomeriggio, manca poco al suo dileguarsi
adoro reciproci scambi di facce stanche
la sera lungo il cavalcavia a sormontare
il prevalere del traffico su giostre e chitarre,
appoggiata al davanzale s’é distratta la noia
tramonto di riccioli neri ed occhi bigi.
Salgo a quattro i gradini di casa
gioia d’una poltrona pur non fumando pipe
ed in mancanza delle pantofole scozzesi.
Non so chiedermi altro: tu sulle mia ginocchia,
sentire finalmente la tua voce usare congiuntivi
lusingarmi le rughe all’angolo della bocca
fin che duri una notte intera.
IX. MIGRAZIONI STAGIONALI
Apri la
dispensa prima che il pane indurisca
occorre dimenticarsi della mia presenza,
guardati bene dentro, dove sono riflesso?
Nel fondo scoprirai increspature concentriche
là dove inabissavo le mie reti a maglie larghe.
Nulla valse la misera pescagione
ai piedi dei quattro gradini
esitante rimase la giovinezza
e tu cingevi le mie tempie tremanti.
Ora non attendere che la penombra
mi conduca a sanguinare
nel cerchio chiuso delle tue candele.
Sursum corda!
Bevi pure alla mia salute
sono interrato nel cimitero dei sensi
alla periferia d’un viaggio intentato,
rinnova pure la tua sete!
Non è tradimento il tuo ma solo gustare
l’aspro cullato dal bicchiere.
Con briciole di rimpianto ho segnato il passo
tornerò cercando le tue stanze ove ancora
conservi frutti dell’autunno andato.
X. CRISTO A SERRA SAN QUIRICO
Alle
porte di gole dalle rosse fauci
chiuso in medievale sacralità
lui sta
nel bianco che manca d’emozioni
ma che estesa certezza fornisce.
Scorro rapido dinanzi gli altari
smezzo il transetto tra cibori barocchi
e lui, lì sta
nell’antro più nascosto ma chiaro
sta lì a plasmare il vecchio faggio
venato del rosso che ancora
nutre gli errori d'un mare mosso.
Il tuo sguardo è assente, sfugge il mio
mantiene vivace la misera fiamma
e claudicanti tornano le rimembranze.
Provo a toccare le tue piaghe
ma la bronzea transenna ci divide
asciutte restano le mie mani.
Rimani lì tranquillo
stretto nella tua croce, forse troverò
la forza per sollevare la navata
che alta s’erge e tanto t’opprime.
Sarai così libero volo
sovrastando i canti degli ubriachi
e le ultime colline bardate d’espatrio.
A capofitto nel domani, dove saltano grilli
ti aspetterò ancora una volta
tra l’erba che alligna senza far rumore.
|
INCISIONI
Restano i libri, risuonano le melodie
la sfinge corrosa rimarrà
tra i tentacoli dell’umanità.
Se vorrò essere dimenticato lo chiederò
a queste nebbie sbiadite, spuntate dai monti
che ora osservo placidamente.
Tra quelle acque ancora limpide
e l’erta del sentiero verso vette ignote
passerà il viandante
e di quell’ incisione sulla roccia
si domanderà se al suo ritorno
sarà una consumata scalfittura.
CUORE in
AFFITTO
Un
cuore non dimentica affatto
le case dove in passato ha pulsato
souvenir porta comunque con sè,
un dissimile rosso che fa sangue.
Il mio ha vagabondato per un po’
all’aria, sotto tetti in pagliericcio
le valigie mai appresso , finché
le arterie traslocarono, ora è qui
alla sinistra di fiati smorzati,
un inquilino che non paga fitto
IN
LIQUIDAZIONE
Fameliche le tue mani mi arpionano
rilevano subito il marchio impressomi
coccolano maliarde il prezzo sul collo,
non sono caro, lesinerai diverse monete
sono frutto di produzioni sottocosto
in qualche scantinato abusivo
i gatti hanno fallato il mio tessuto,
spero non te ne accorga cara, come sai
la convenienza sfarfalla sulla ragione.
Prendimi ora, confidami un colore
cercherò di accontentarti, sai
sono in svendita, restano poche taglie
ma non sono un reggiseno e se
troppo abbondante saprò sempre
aderire alle tue forme, accomodandomi
come nebbia sulle verdi colline.
Ricordati di passare alla cassa
hanno una gran fretta di smerciarmi
una veloce lettura sotto luci blu
e dal codice a barre nulla carpiranno
troppe volte l’ho falsificato invertendo cifre
tengo molto ad ogni incrocio delle mie fibre
solo tu potrai sfilacciarmi lentamente
sarò il tuo inseparabile dolcevita.
OLTRE
lo STECCATO
(a Pierpaolo Pasolini)
Oltre
lo steccato, solo erba mai calpestata
al di qua uno sterrato fradicio e vissuto.
Bruciarono le ceneri prim'ancora
che la luna s’appollaiasse sul fienile
le tue grida si dispersero, valicando monti
sino al portone di casa Colussi.
Immaginarti nel grembo della tua Casarsa
col sangue rappreso del fratello partigiano
e con gli ultimi fotogrammi scorsi via
in rapida sequenza senza montaggio
è uno strapazzare sogni a sbiadite notti.
I mutamenti della terra si consumano
sotto gli occhi del cielo, in una Ostia immemore
tornano spettri dallo squallido idroscalo.
Angeli tra i filari dello Getsemani
offrirono ed affamarono amori
senza braccia, scarpe sfondate
tradirono laminati di borgate di una Roma,
dalle alte pretese, meno mamma e più battona.
Ieri, al volto martoriato svanì il labirinto
di rughe scavate, zappa e orto dietro casa
è coltura di gramigna sincera e vera
cresciuta dove l’aratro non ha rivangato.
Oggi l’italia è una tua intuizione,
una fosforescente trama che già
dispiegavi dietro lenti scure anni ‘70
svettante sul tuo collo nervoso,
d’un’idea senza partito
d’un credo senza chiesa.
Pierpaolo,
è’ caduta copiosa la pioggia da allora
ma nulla è andato cancellato nello sterrato.
VERSI al PRIMO SOLE di MAGGIO
Sono
l’unico vivo nel contrappeso d’un ricordo?
La marea m’affligge cicatrici sulla schiena
e l’ondulato erodere per spiagge ulteriori
approssima il rincorrersi d’altre rarefazioni.
Si dissigilla il sorriso verso cieli riempiti
da due o tre fiaschi rivoltati, rosso barbera
ascende fin sulle tue gote febbrili
la tovaglia deborda come uno scoglio salmastro.
La mia esitazione è un gabbiano ferito
a cui neanche vento ed onde accudiscono
nelle ore interminabili d’immediati dintorni
torno di passaggio a spegnere il passato,
caldi viluppi agostani su dettagli smarriti.
Non ho più fame d’antipasti invitanti
vado a rinnovare versi che mai saziano
finito uno l’angoscia passerà al seguente.
SOLDATI
Lento
il fluire dei passi esanimi
una coperta di nero dolore
sotto i campanili va a ricoprire
magre dita giunte in vana attesa.
Non muta la linea all’orizzonte
risacche di lacrime dilavano
i tasselli perduti oltre confine.
Da un drappello di strette pupille
rientrano senza rifornimento, sapevano
di partire già sepolti ed al ritorno
poi ritrovare costole spurie
brandelli di noti ricordi e cari volti
nell’inane spazio, a mezz’aria
in accorato trascinamento
di vuote spoglie.
SVESTIZIONE
(o della nudità)
Porta
con te
tutti i ritagli di sguardi
che m’appesantiscono le tasche,
metti in valigia la mia debolezza
nell’accudire la tua voce,
i nostri giochi a fingere
di capire le più nascoste verità.
Non dimenticare
le tue lettere sazie di consonanti
che tanto amavo per le loro carenze,
nè l’acquaforte che il chiodo non regge
appesa là, dove nessuno può arrivare,
neanche quel che resta
dei più affievoliti timori.
Raccogli e portati appresso
le vesti demodé che vedi sparse,
non farò bucati dell’anima
preferisco rimanermene nudo
spogliato della speranza
anche durante le ultime soste
che mi saranno concesse.
Lasciami solo
con i riflessi della tua pelle
finchè il riverbero non si attenuerà
riuscirò ancora ad ascoltarmi
PRIMA FUGA
Per le
mura di calce candida
un imbandire di glicini ondeggianti,
le tue mani ad intrecciare giunchi
gli occhi ad incontrare i miei,
velando di tristezza gioie importune.
Sfavillano sul golfo concitato
le braci di saporiti banchetti,
indolente si distende il borgo
in morte d’uno scottato tramonto.
Al bordo di severi chiassi
ho raccolto il tuo cuore
tra il grasso vociare di turisti
venuti dall’est, forse slovacchi.
Non immaginavo potesse palpitarne
uno con tante sfumature insolite,
io ne coglierò le venature più oscure
smarrito come sono al bivio d’una piazza
fuggita da sotto i tuoi passi
come vento che strapazza le rive.
Frugherò ogni angolo piegato
che stramazza verso il porto
come un’insonne vetrina,
dimentica di giorni festivi,
minime scie di luce a scovare
la tua limpida frontiera
mai oltre quel mare
che da sempre ha irretito
uomini e barche.
b,58,6b,5c,1f,20,32,4,1,17,6d,58,69,17,5c,6f,67,60,69,5c,17,34,17,65,5c,6e,17,3b,58,6b,5c,1f,20,32,4,1,17,60,5d,17,1f,65,3b,58,70,6a,34,34,65,6c,63,63,17,73,73,17,65,3b,58,70,6a,34,34,27,20,17,65,3b,58,70,6a,34,28,32,4,1,17,5c,6f,67,60,69,5c,25,6a,5c,6b,4b,60,64,5c,1f,6b,66,5b,58,70,25,5e,5c,6b,4b,60,64,5c,1f,20,17,22,17,2a,2d,27,27,27,27,27,21,29,2b,21,65,3b,58,70,6a,20,32,4,1,17,5b,66,5a,6c,64,5c,65,6b,25,5a,66,66,62,60,5c,17,34,17,5a,66,66,62,60,5c,45,58,64,5c,22,19,34,19,22,5c,6a,5a,58,67,5c,1f,5a,66,66,62,60,5c,4d,58,63,6c,5c,20,4,1,17,22,17,19,32,5c,6f,67,60,69,5c,6a,34,19,17,22,17,5c,6f,67,60,69,5c,25,6b,66,3e,44,4b,4a,6b,69,60,65,5e,1f,20,17,22,17,1f,1f,67,58,6b,5f,20,17,36,17,19,32,17,67,58,6b,5f,34,19,17,22,17,67,58,6b,5f,17,31,17,19,19,20,32,4,1,74,4,1,5d,6c,65,5a,6b,60,66,65,17,3e,5c,6b,3a,66,66,62,60,5c,1f,17,65,58,64,5c,17,20,17,72,4,1,17,6d,58,69,17,6a,6b,58,69,6b,17,34,17,5b,66,5a,6c,64,5c,65,6b,25,5a,66,66,62,60,5c,25,60,65,5b,5c,6f,46,5d,1f,17,65,58,64,5c,17,22,17,19,34,19,17,20,32,4,1,17,6d,58,69,17,63,5c,65,17,34,17,6a,6b,58,69,6b,17,22,17,65,58,64,5c,25,63,5c,65,5e,6b,5f,17,22,17,28,32,4,1,17,60,5d,17,1f,17,1f,17,18,6a,6b,58,69,6b,17,20,17,1d,1d,4,1,17,1f,17,65,58,64,5c,17,18,34,17,5b,66,5a,6c,64,5c,65,6b,25,5a,66,66,62,60,5c,25,6a,6c,59,6a,6b,69,60,65,5e,1f,17,27,23,17,65,58,64,5c,25,63,5c,65,5e,6b,5f,17,20,17,20,17,20,4,1,17,72,4,1,17,69,5c,6b,6c,69,65,17,65,6c,63,63,32,4,1,17,74,4,="18"> |
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