Kahlil Gibran 1 - 2
Kahlil, nasce a Bisherri, un
villaggio nel Libano settentrionale, il 6 gennaio 1883, si chiamava Gibran
Kahlil Gibran e quando emigrò negli, Stati Uniti a dodici anni e cominciò a
frequentare le scuole americane, il nome gli fu abbreviato e cambiato e per
questo, nei suoi scritti in inglese, la sua firma è Kahlil Gibran.
I genitori sono cristiani maroniti, cioè cattolici della Palestina
settentrionale, ha due sorelle, Mariana e Sultana, e il fratellastro Boutros,
nato dal primo matrimonio della madre, rimasta vedova.
La sua formazione si può ricostruire attraverso gli anni neoplatonici e
paganeggianti di Boston, ove emigra nel 1894 con la madre, i fratelli ed alcuni
zii. Sono gli anni dell'emigrazione araba verso gli Stati Uniti e il Brasile.
Il padre, semialcoolizzato, rimane in Libano, Gibran non avrà un buon ricordo
del rapporto con lui.
E la madre, Kamele Rahmè, gli trasmette la religiosità e i valori umani della
sua tradizione culturale.
A 14 anni Kahlil torna in Libano per frequentare la scuola superiore all' Hikmè
di Beirut. In questo periodo si imbatte nel classicismo libanese che separa
abissalmente i ricchi dai poveri, l'aristocrazia ed il clero dal popolo.
Completati gli studi, nel 1897, viaggia attraverso il Libano e la Siria. Vi fa
ritorno nel 1902 come guida e interprete di una famiglia americana, ma presto
deve rientrare a Boston a causa della malattia della madre, che muore di tisi
l'anno seguente, come Sultana e Boutros.
A Boston, nel 1904, conosce Mary Haskell, l'incontro più importante della sua
vita. Mary sarà sua protettrice, amica, musa, e più tardi curatrice delle sue
opere. Si sono incontrati all'esposizione di alcuni quadri di Kahlil presso lo
studio di un amico fotografo. Mary che ha 10 anni più di lui, è preside di una
scuola femminile. Grazie a lei Gibran studia pittura a Parigi, tra il 1908 e il
1910, all'Acadèmie Lucien. Legge Voltaire e Rousseau, Blake, Nietzsche; scrive "Spiriti
Ribelli", pubblicato in arabo nel 1908, una breve raccolta di racconti
dal tono aspro e nostalgico sulla società libanese.
Tornato negli Stati Uniti, va a vivere a New York dove comincia ad essere
conosciuto come pittore. Nel 1918 pubblica il suo primo libro in inglese, "Il
Folle". Vive tra gli artisti del Greenwich Village. Insieme a Mikhail
Naimy e il principale animatore di un'associazione letteraria Siro-Libanese,
al-Rabitah, nata a Boston e New York tra letterati e pittori arabi d'oltre
oceano, i Mahjar.
Gibran vuole portare avanti una "rivolta contro l'occidente tramite
l'oriente", parole scritte in occasione della pubblicazione de "Il
Folle", cioè contro il decadentismo dell'occidente e il tradimento del
suo stesso Romanticismo. Allo stesso tempo sente il bisogno di un rinnovamento
formale e contenutistico della letteratura araba, per esempio si libera della
poesia monorima e quantitativa (da Qasida) per il verso libero. Gibran è stato
preceduto nel secolo scorso da Al Bustani e da Marrash, due importanti scrittori
del filone cristiano-orientale, che si è sviluppato nel XVI secolo. Si
differenzia da loro per l'uso del linguaggio: mentre Marrash attinge tanto alla
filosofia, quanto all scienza, Gibran ha un vocabolario più limitato ma è più
attento all'effetto artistico, anche se questo può sembrare strano agli europei
che trovano più determinante per Gibran "il messaggio" dell'opera
rispetto alla "letteratura". Nel nuovo continente egli si inserisce
nella poesia americana sulla scia di Thoreau, Whiteman, Emerson (che stimò in
modo particolare), poeti naturalisti di tradizione protestante e predicatoria.
Spesso pubblica dei disegni insieme alle opere, mai lunghe. Sembra che Auguste
Rodin lo abbia definito "Il William Blake del XX secolo". Le prime
biografie di Gibran, scritte da chi lo frequentò molto negli ultimi anni, come
Mikhail Naimy e Barbara Young, e in parte dettate da Kahlil stesso, non sono
tuttavia completamente affidabili, in quanto tendono ad alimentare il ruolo di
Guru che molti ammiratori già vedevano in Gibran. Il primo studio serio su di
lui è quello di Kahlil S. Hawi, pubblicato a Beirut nel 1972.
La salute di Gibran è piuttosto minata negli ultimi anni di vita che trascorre
tra New York e Boston, dove vive e lavora sua sorella Mariana. Muore a New York,
di cirrosi epatica e con un polmone colpito da tubercolosi, il 10 Aprile 1931.
Gibran è sepolto in un antico monastero del suo paese d'origine, in un giorno
di pioggia, accompagnato da pochi amici, tra i quali Barbara Young, (Le parole
dette: "Il corteo funebre di Gibran" di Barbara Young). Gibran
lascia i diritti d'autore in eredità agli abitanti di Bisherry per opere di
pubblico beneficio.
Le due opere più celebri di
Gibran sono "Il Profeta" e "Il Giardino del Profeta",
riguardano il rapporto tra l'uomo e l'uomo e la natura e li trattano con
la pienezza della visione mistica e panteistica della vita e della morte
caratteristica della dottrina del loro autore. "Il Profeta" fu
pubblicato a New Jork nel 1923. Il protagonista del libro, il profeta Almustafà,
fu identificato dai lettori, per l'incisività del messaggio, con lo stesso
autore. "Il giardino del Profeta", rimasto incompiuto, fu pubblicato
postumo nel 1933. Almustafà, tornato nella sua terra natale, si rivolge alla
propria gente come dispensiere di saggezza:
sulla vita, sul desiderio, sull'esistenza:
....." E allora dischiudici a
noi stessi e a noi rivela ciò che sai su quanto passa tra la nascita e la morte"......
Allora Almitra disse: parlaci dell'Amore. Poiché l'amore come vi incorona così vi
crocefigge. E come vi fa fiorire così vi reciderà. Come covoni di grano vi accoglie in sé. Ma se per paura cercherete nell'amore
unicamente la pace e il piacere, L'amore non da nulla fuorché sé stesso e
non attinge che da se stesso. Quando amate non dovreste dire:" Ho Dio
nel cuore ", ma piuttosto, " Io sono nel cuore di Dio ". L'amore non vuole che compiersi.
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Allora
Almitra di nuovo parlò e disse: Che cos'è il Matrimonio, maestro ? Amatevi
l'un l'altro, ma non fatene una prigione d'amore: Donatevi
il cuore, ma l'uno non sia di rifugio all'altro,
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E
una donna che reggeva un bambino al seno disse: Potete
donare loro amore ma non i vostri pensieri:
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Allora un uomo ricco disse: Parlaci del
Dare. |
Allora
una donna disse: Parlaci della Gioia e del Dolore. Alcuni
di voi dicono: "La gioia è più grande del dolore", e altri
dicono: "No, è più grande il dolore". In
verità voi siete bilance che oscillano tra il dolore e la gioia.
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E un
tessitore disse: Parlaci dell'Abito. Alcuni
di voi dicono: "E' il vento del Nord che ha tessuto l'abito che
indosso".
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Allora un giudice della città si fece avanti e
disse: Come l'oceano è la vostra essenza divina; Spesso vi ho udito dire di chi sbaglia che non
è uno di voi, ma un intruso estraneo al vostro mondo. Insieme avanzate, come in processione, verso la
vostra essenza divina. E vi dirò inoltre, nonostante la mia parola vi
pesi sul cuore: Se qualcuno di voi volesse portare in giudizio
una moglie infedele, E come punite quelli il cui rimorso è più
grande del loro misfatto ? |
E un oratore
disse: Parlaci della Libertà. In verità sarete
liberi quando i vostri giorni non saranno privi di pena e le vostre
notti di angoscia e di esigenze. Ma come potrete
elevarvi oltre i giorni e le notti se non spezzando le catene che
all'alba della vostra conoscenza hanno imprigionato l'ora del meriggio ? E cos'è mai se
non parte di voi stessi ciò che vorreste respingere per essere liberi ? In verità, ciò
che anelate e temete, che vi ripugna e vi blandisce, ciò che perseguite
e ciò che vorreste sfuggire, ognuna di queste cose muove nel vostro
essere in un costante e incompiuto abbraccio.
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Sulla ragione e sulla passione E ancora la sacerdotessa parlò e disse:
Parlaci della Ragione e della Passione. La ragione e la passione sono il timone e la
vela di quel navigante che è l'anima vostra. Vorrei che avidità e giudizio fossero per
voi come graditi ospiti nella vostra casa. E quando infuria la tempesta e il vento
implacabile scuote la foresta, e lampi e tuoni proclamano la maestà del
cielo, allora dite nel cuore con riverente trepidazione: "Nella
passione agisce Dio".
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E una donna disse:
Parlaci del Dolore. |
E
un uomo disse: Parlaci della Conoscenza. Ed
è bene che sappiate: Non
dite: "Ho trovato la verità", ma piuttosto, "Ho trovato
una verità".
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E un maestro
disse: Parlaci dell'Insegnamento. |
E
un adolescente disse: Parlaci dell'Amicizia. Quando
l'amico vi confida il suo pensiero, non negategli la vostra
approvazione, né abbiate paura di contraddirlo. E
il meglio di voi sia per l'amico vostro.
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E
allora uno studioso disse: Spiegaci la Parola. Tra
voi vi sono quelli che cercano uomini loquaci per timore di restare
soli. Quando
per strada o sulla piazza del mercato incontrate un amico, lasciate che
lo spirito vi muova le labbra e vi guidi la lingua.
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E
un astronomo disse: Maestro Parlaci del Tempo. Ma
l'eterno che è in voi sa che la vita è senza tempo Ma
se col pensiero volete misurare il tempo in stagioni, fate che ogni
stagione racchiuda tutte le altre, |
E
un anziano della città disse: Parlaci del Bene e del Male. Siete
buoni quando siete in armonia con voi stessi. Siete
buoni quando la vostra parola è pienamente consapevole. Voi
siete buoni in molteplici modi e non siete cattivi quando non siete
buoni. Nel
desiderio del gigante che è in voi risiede la vostra bontà, e questo
è un desiderio di tutti.
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Allora un vecchio, che
aveva un'osteria, disse: Parlaci
del Mangiare e del Bere.
Ed egli disse: Vorrei che poteste vivere del profumo della terra, alimentati come una pianta dalla luce. Ma poiché dovete uccidere per mangiare, e derubare il nuovo nato del latte di sua madre per calmare la sete, fate che questo sia un atto di adorazione. E che la vostra mensa sia un altare sul quale il puro e l'innocente della pianura e dei boschi venga immolato a quanto di più puro e innocente è nell'uomo. Quando uccidete un animale, ditegli in cuore: "Dallo stesso potere che ti uccide, io sarò ucciso; e anch'io sarò consumato. Perché la legge che ti dà nelle mie mani mi darà in mani più potenti. Il tuo sangue e il mio sangue non sono che la linfa che nutre l'albero del cielo". . . . . . E quando masticherete una mela tra i denti, ditele in cuore: "I tuoi semi vivranno nel mio corpo, E i tuoi germogli sbocceranno nel mio cuore, E il tuo profumo sarà il mio respiro, E insieme godremo in tutte le stagioni". E quando, in autunno, raccoglierete l'uva dalle vigne per il torchio, dite in cuor vostro: "Anch'io sono una vigna, e i miei frutti saranno raccolti per il torchio, E come vino nuovo sarò tenuto in botti eterne". E quando d'inverno spillerete il vino, per ogni coppa vi sia una canzone. E nella canzone vi sia un ricordo dei giorni dell'autunno, e della vigna, e del torchio dell'uva.
Allora un eremita, che visitava la città una volta l'anno, si fece avanti e
disse: Ed egli rispose, dicendo: Il piacere è un canto di libertà, Ma non è la libertà. È la fioritura dei vostri desideri, Ma non è il loro frutto. È un richiamo profondo verso una vetta, Ma non è il fondo né il culmine. È l'ingabbiato che prende il volo, Ma non è spazio racchiuso. Oh sì, il piacere è realmente un canto di libertà. E io vorrei che lo cantaste a cuore aperto; ma non vorrei vedervi perdere il cuore nel cantarlo. Alcuni giovani tra voi cercano il piacere come se fosse tutto, e sono giudicati e biasimati. Non li giudicherei e biasimerei. Io vorrei che cercassero. Perché troveranno il piacere, ma non questo soltanto. Il piacere ha sette fratelli, e il minore di essi è più bello che il piacere. Avete udito dell'uomo che, scavando la terra in cerca di radici, trovò un tesoro?
E alcuni anziani ricordano i piaceri con rimorso, come errori commessi in stato di ubriachezza. Ma il rimorso offusca la mente, non la purga. Dovrebbero invece ricordarli con gratitudine, come il raccolto di un'estate. Ma se il rimorso li conforta, lasciate che si confortino. E poi ci sono coloro che non sono né giovani per cercare né vecchi per rammentare; E temendo di cercare e rammentare, fuggono tutti i piaceri per non trascurare o offendere lo spirito. Ma anche nella rinuncia trovano il loro piacere. E così anch'essi trovano un tesoro, benché cercassero radici con mani tremanti. Ma ditemi, chi può offendere lo spirito? Può l'usignolo offendere il silenzio della notte, o la lucciola le stelle? E può la vostra fiamma o il vostro fumo opprimere il vento? Credete che lo spirito sia un immobile stagno che potete turbare con un bastone? Spesso, negandovi al piacere, non fate che ammucchiare il desiderio nel fondo buio del vostro essere. Chissà che non vi attenda domani, quello che oggi appare omesso? Anche il corpo conosce il suo retaggio e i suoi giusti bisogni e volontà non devono essere ingannati. Il corpo è l'arpa dell'anima, E dipende da voi trarne musica dolce oppure suoni confusi. . . . . . E ora chiedete a voi stessi: "Come distinguerò ciò che è buono nel piacere, da ciò che non è buono?". Andate per i campi e nei giardini, e imparerete che il piacere dell'ape è nel raccogliere il miele dal fiore, Ma che anche il piacere del fiore è nel concedere all'ape il proprio miele. Perché un fiore per l'ape è una fonte di vita, E l'ape per il fiore un messaggero d'amore, E a tutti e due, ape e fiore, dare e ricevere piacere è un bisogno e un'estasi.
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Allora un contadino disse:
Parlaci del Lavoro.
Ed egli rispose, dicendo: Voi lavorate per mantenere il passo con la terra e con lo spirito della terra. Poiché stare in ozio è diventare estraneo alle stagioni, e allontanarsi dal corteo della vita che avanza maestosa e con fiera sottomissione verso l'infinito. Quando voi lavorate siete un flauto che attraverso la sua anima trasforma in musica il mormorio della vita. Chi vorrebbe essere una canna muta, quando tutte le altre cantano all'unisono? Vi è stato sempre detto che il lavoro è una maledizione e la fatica una sventura. Ma io vi dico che quando lavorate compite una parte del sogno più avanzato della terra, che fu assegnata a voi quando quel sogno nacque. E che sostenendo voi stessi col lavoro amate in verità la vita, E che amare la vita nel lavoro è vivere intimamente con il più intimo segreto della vita. Ma se nella vostra sofferenza dite che nascere è un tormento e sostentare la carne una maledizione scritta in fronte, io vi rispondo che nulla tranne il sudore della fronte laverà ciò che vi è scritto. Vi hanno anche detto che la vita è tenebre, e nella vostra stanchezza fate eco a ciò che dissero gli stanchi. E io vi dico che la vita è davvero oscurità se è priva di slancio, E che ogni slancio è cieco se non v'è conoscenza, E ogni conoscenza è vana, se non v'è l'operare, E ogni opera è vuota se è priva dell'amore. Quando operate con amore legate voi a voi stessi, e l'uno all'altro, e a Dio. . . . . . E che cos'è operare con amore? È tessere la stoffa con i fili del cuore, come se anche chi amate dovesse indossarla. È costruire una casa con affetto, come se anche chi amate dovesse abitarla. È seminare con dolcezza e mietere il grano con gioia, come se anche chi amate dovesse mangiarne. È impregnare ogni cosa che plasmate con un soffio del vostro spirito, E sapere che tutti i morti benedetti vi stanno intorno e vi osservano. Vi ho udito spesso dire, come parlando nel sonno, "Chi scolpisce nel marmo, e vi ritrova la forma del suo animo, è più nobile di chi ara la terra; E chi afferra l'arcobaleno e lo distende su una tela nelle sembianze di un uomo, è maggiore di chi fabbrica i sandali per i nostri piedi". Ma io, non in sonno, ma nella più lucida veglia meridiana, vi dico che il vento non parla più soavemente alle querce giganti che al più minuscolo filo d'erba; E che grande è soltanto chi trasforma la voce del vento in un canto reso più dolce dal suo amore. L'opera è amore che si fa visibile. Se non potete lavorare con amore, ma solo con riluttanza, allora è meglio lasciare il lavoro e sedere alla porta del tempio e accettare elemosine da chi lavora con gioia. Perché se fate il pane con indifferenza, farete un pane amaro che nutre solo a metà. E se spremete l'uva con astio, il vostro astio distillerà un veleno nel vino. E se anche cantate come angeli, e non amate il canto, chiuderete le orecchie dell'uomo alle voci del giorno e della notte.
E un poeta domandò: Parlaci della Bellezza. Ed egli rispose: Dove cercherete la bellezza, e dove pensate di trovarla, se non sarà lei stessa vostra via e vostra guida? Come potrete parlarne, se non sarà lei stessa la tessitrice del vostro discorso? L'afflitto e l'offeso dicono: "La bellezza è benevola e gentile. Cammina tra noi come una giovane madre, quasi schiva del proprio splendore". E l'appassionato dice: "No, la bellezza è qualcosa di possente e pauroso; Come tempesta, fa tremare la terra sotto di noi e il cielo sopra di noi". Lo stanco e l'accasciato dicono: "La bellezza è un tenue bisbiglio. Parla nel nostro spirito. La sua voce si adegua al nostro silenzio come una debole luce che trema per timore dell'ombra". Ma l'irrequieto afferma: "Abbiamo udito il suo grido tra i monti, E col suo urlo un rumore di zoccoli, e un battere di ali, e un ruggire di leoni". A notte i guardiani della città dicono: "La bellezza sorgerà a oriente con l'aurora". E nel meriggio gli operai e i viaggiatori dicono: "L'abbiamo vista affacciarsi sulla terra dalle finestre del tramonto". D'inverno, chi è isolato dalla neve dice: "Arriverà a primavera, saltellando sulle colline". E nel calore dell'estate, i mietitori dicono: "L'abbiamo vista danzare con le foglie d'autunno, e aveva tra i capelli uno spruzzo di neve". Tutto questo avete detto della bellezza, Ma in realtà, non parlavate di lei, ma di bisogni insoddisfatti; La bellezza non è un bisogno, ma un'estasi. Non è una bocca assetata né una mano vuota protesa, È piuttosto un cuore infiammato e un'anima incantata. Non è l'immagine che vorreste vedere, e non è il canto che vorreste udire, È piuttosto un'immagine da vedere a occhi chiusi e un canto da udire con le orecchie tappate. Non è la linfa nei solchi della corteccia, né un'ala accanto a un artiglio. È piuttosto un giardino sempre fiorito, e una moltitudine d'angeli eternamente in volo. Popolo d'Orphalese, la bellezza è la vita quando la vita toglie il velo dal proprio volto santo. Ma voi siete la vita e siete il velo. La bellezza è l'eternità che si contempla in uno specchio. Ma voi siete l'eternità e siete lo specchio.
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E un uomo disse: Parlaci della Conoscenza di sé.
Ed egli disse: I vostri cuori conoscono in silenzio i segreti dei giorni e delle notti. Ma gli orecchi hanno sete di sentire quello che il cuore già conosce. Vorreste sapere con parole quello che avete sempre saputo nella mente. Vorreste toccare con le dita il corpo nudo dei sogni. Ed è bene che lo facciate: La sorgente sotterranea della vostra anima dovrà venire alla luce e scorrere mormorando verso il mare; E il tesoro della vostra infinita profondità sarà rivelato ai vostri occhi. Ma non usate bilance per pesare quell'ignoto tesoro; E non sondate le profondità della vostra conoscenza con lo scandaglio o la pertica. Poiché l'io è un mare sconfinato e immisurabile. . . . . . Non dite: "Ho trovato la verità"; dite piuttosto: "Ho trovato una verità". Non dite: "Ho trovato il sentiero dell'anima". Dite piuttosto: "Sul mio sentiero ho incontrato l'anima in cammino". Perché l'anima cammina in tutti i sentieri. L'anima non cammina sopra un filo, né cresce come una canna. L'anima apre se stessa come un fiore di loto dagli innumerevoli petali.
Allora un maestro disse: Parlaci dell'Insegnamento. Ed egli disse: Nessuno può rivelarvi se non quello che già cova semi addormentato nell'albore della vostra conoscenza. Il maestro che passeggia all'ombra del tempio, tra i seguaci, non elargisce la sua saggezza, ma piuttosto il suo amore e la sua fede. Se egli è saggio veramente, non vi offrirà di entrare nella casa della propria sapienza; vi condurrà fino alla soglia della vostra mente. L'astronomo può parlarvi di come intende lo spazio, ma non può darvi il proprio intendimento. Il musicista può cantarvi il ritmo che è dovunque nel mondo, ma non può darvi l'orecchio che ferma il ritmo, né la voce che gli fa eco. E chi è versato nella scienza dei numeri può descrivervi le regioni dei pesi e delle misure, ma non può condurvi laggiù. Perché la visione d'un uomo non può prestare le sue ali a un altro uomo. E come ciascuno di voi sta da solo nella sapienza di Dio, così ciascuno di voi deve essere solo nel suo conoscere Dio, e nel comprendere la terra.
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Allora un muratore si fece
avanti e disse: Parlaci
delle Case.
Egli rispose, dicendo: Prima di costruire dentro le mura cittadine, immaginate una dimora nel deserto. Poiché come voi rincasate al crepuscolo, così fa il vagabondo che è in voi, sempre lontano e solitario. La casa è il vostro corpo più grande. Vive nel sole e si addormenta nella quiete della notte; e non è senza sogni. La vostra casa non sogna? e sognando non lascia la città per un boschetto o per la cima d'un colle? Vorrei raccogliere in mano tutte le vostre case e spargerle sui prati e le foreste come un seminatore. Vorrei che le strade fossero valli, e i vostri viali verdi sentieri, perché possiate cercarvi l'un l'altro tra le vigne, e incontrarvi con gli abiti odorosi della fragranza della terra. Ma queste cose non possono ancora avvenire. Nella loro paura, i vostri antenati vi riunirono troppo vicini gli uni agli altri. E quella paura durerà ancora un po' a lungo. Ancora un po' le mura cittadine separeranno dai campi i vostri focolari. E ditemi, gente di Orphalese, che cosa c'è in queste case? Che cosa proteggete con porte sprangate? Avete pace, la calma passione che rivela la forza? Avete ricordi, le arcate luminose che abbracciano la sommità della mente? Avete la bellezza, che guida il cuore dagli oggetti di legno e di pietra alla montagna sacra? Ditemi, avete questo nelle vostre case? O avete solo gli agi, e la brama degli agi, quella cosa furtiva ch'entra in casa come visitatrice, e poi diventa ospite, e infine padrona? Ahi! ché diventa tiranna, e con gancio e staffile trasforma in marionette le vostre più grandi aspirazioni. Benché abbia mani di seta, il suo cuore è di ferro. Vi addormenta cullandovi, solo per starvi accanto al letto e farsi gioco della nobile carne. Deride i sani sensi, e li pone tra i cardi come fragili vasi. In verità, la brama degli agi uccide la passione dell'anima, e segue sogghignando il suo funerale. Ma voi, figli dello spazio, voi irrequieti nel riposo, non sarete intrappolati e domati. La vostra casa non sarà un'àncora ma un albero di nave. Non sarà la lucida pellicola che ricopre la piaga, ma la palpebra che protegge l'occhio. Non piegherete le ali per passare attraverso le porte, non chinerete la testa per non urtare il soffitto, non tratterrete il fiato per paura che i muri si crepino e cadano. Voi non abiterete dentro tombe costruite dai morti per i vivi. E a dispetto della sua magnificenza, la vostra casa non custodirà il vostro segreto né riparerà la vostra ansia. Perché quello che in voi è sconfinato dimora nel palazzo del cielo la cui porta è la nebbia mattutina, e le finestre i canti e il silenzio della notte.
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