Giovanni
Maria Mischiati 1-2-3
Torino
TEMPO | L'ALBICOCCA | E' QUI | VISTA SUL LAGO | 1974 |
AL SOLE, LE VIBRISSE DEL GATTO... | NEVE AD APRILE | RISTORANTE | OZONO | EINE KLEINE NACHTMUSIK |
RORA? | HAMELIN | FILM | SORRISO DI LINCE | AMFRIBOGAR |
Un
fresco ozio fra giovani tigli è
la mia speranza di ricordo per
i paesaggi a venire e
la mia voglia di canzoni. Solo
per oggi è l'autunno che
fruga la piega amara, il lento bere: domani
sarà il cielo curvo sotto
una gioiosa fascina d'azzurro e
quei gatti della mia infanzia con
le loro ombre meridiane e
gli occhi rubati. Solo
per oggi le caldarroste della tenerezza mi
solleticano il cuore col profumo d'angoli
improvvisi, mai più trovati: domani
sarà la cicala ubriaca nel
palpito del mio sorriso ed
il fiore scucito d'una vecchia ragnatela sotto
la tettoia sbrecciata.
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Lasciarti.
Col buongusto e la misura e
le parole calibrate, morali e
la saggia, diciamo, malinconia con
noi che passeggiamo perché
è tutta una canzone francese e
dentro ci stan le foglie morte e
quelli come noi dicono: c?est la
vie (ma
già, la vita, capisci, loro l'han
aperta come si apre un'albicocca d'un
colpo, tante panchine fa). E
il tuo ombrello grigio, lasciarlo all'angolo
d'una strada o di un ricordo con
te nel vento, in ogni caso e
la pietà, la pietà è una foglia comunque
morta: il grande autunno c'impone
il contegno degli amanti remoti. Lasciarti
è una promessa per l'indomani e
l'indomani è un treno che ho perso tanti
addii fa.
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Devasta
l'uomo una
preghiera infame di
abbacinare gli occhi con
l'estremo sorso di progresso. E
le voci, tant'è scorrano
pure lungo le estati desolate per un fremito di case.
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Vorrei
trovare parole così
da scavarmi una nicchia nelle
tue lunghe palpebre e
sorridere alle rughe del tempo come
si sorride a un'amante così
io così
tu che mi sfuggi scendere
nella valle e
cogliere gli aghi di pino per
farne un letto casto dove
lentamente morire.
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L'operaio
ha in mano l'arma per essere poeta. Viene
lo studente e gliela strappa il
suo grido è: uguaglianza fra noi e voi. Le
case con le moquette possiedono
un'ombra troppo corta per
coprire l'inesorabile flusso delle vite scagliate
sulla giostra. Lo
studente sale i gradini sotto la benedizione degli avi diventa
lo stimato professionista l'abile
avvocato che difende tutti con
eguale onorario il
sagace giornalista che scrive di verità e
poi mente in famiglia il
capace medico che cura tutti i mali fuorché
la povertà dei suoi clienti. E
l'arma per strada si è spuntata si
è rimpicciolita nella
misura della finestra di chi la usa. Passerà
fra le mani dei figli romantici
Chopin della rivoluzione e
avrà uguale sorte finché
un giorno non si stanchi uno
dei degni rampolli di famiglia borghese e
non la getti tra i rifiuti. Là
verrà un cane d'operaio cacciato
dalla stufa del padrone a
frugare in cerca del coraggio. Là
una prostituta conoscerà il bohémien rotto
ai geloni sotto i piedi e
redimerà le proprie frasi sciogliendo
gli occhi al sole. Là
Dio vuoterà la clessidra e
tirerà fuori la bilancia più grossa da
una parte la mela dall'altra
chi non l'ha mai gustata e
il sapore zuccherino si
vestirà a lutto per
quanti saran trovati superbi. L'arma
sarà bruciata e
con lei l'usurpatore quando sarà compiuto l'anno
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AL SOLE, LE VIBRISSE DEL GATTO... |
NEVE AD APRILE Neve ad aprile. E il lontano furore delle campagne e il passo lieve della pioggia. Uomini ancora in lotta tra i fiori. E morire come la neve ad aprile appena esplode il davanzale mentre il mondo procede con faccia da monello nel cuore intimo di una pozzanghera.
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RISTORANTE Loquaci a sfiorarci, insieme, e con quieta febbre tutta nei silenzi di sigarette - le tue - e nel coltellìo su cibi gemelli per guarire la vita di entrambi, o per entrambi guarirne |
OZONO Finirà la pioggia nella sincerità d'un thé, nell'eleganza d'un pernod. E rimarrà questa luna a scivolare nelle pieghe dei cuori. |
Guizzi
nella notte d'afa tra
un sorso e un desiderio e
luci disfatte d'abat-jour e il dondolio e il miagolio. Che
sia l'estro d'una canzone -
non l'arcuata poesia d'un
palpito ruffiano - ad
illanguidirsi nella danza dei
tuoi occhi musicanti, promessa
di tamburelli per
il figlio dell'alcalde.
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Voglio
sfibrarmi nell'ardesia dei
miei pensieri, fuggiti per ogni dove al
pari, forse, dell'autunno sconosciuto le
cui tracce residuano nelle
spoglie sconsacrate dei
ricci: calcherò
l'erba e la pietra nell'esile
tepore dell'aprile conoscendo
una lontananza simile
a graffio dell'oltremare. Dove
sei, non ignoro: da
un grappolo d'ore avrò
spremuto il vino della nostalgia e
sarà giusto berlo in
un angolo dei tuoi occhi.
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Altro
dalla pietra dei sensi, primitiva
e sciamana, madre
di scintille che
sé stesse incendiano -
domanda o risposta, non conta: non
hai incanto, se non appunto questo
che dico, miele acre di
pianura e di selva, per confonder i miei pensieri unni.
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Si
finirà tutti per
inseguir torme di parole voraci
d'un loro senso in
turpi mattini nebbiosi figli
dell'insonnia o
dolenti di stimmate: in
viso a bambine viziose raccoglieremo
lacrime per
fingere riscatto. Ma
sarà un altro nulla a
sfregiarci i sogni.
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Non
incolpar piogge o venti per
l'agonia dei fuochi o
il rancore brado di
stelle deluse sposate
a calli in abbandono -
indugio veneziano o
Asia corrosa: angeli
pigri color pastello e
vino freddo portoghese a
tutelarmi i sogni forse
invocai. Li
ebbi quale
sorriso di lince.
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Ci
sono tracce di labbra in
remoti camerini e
specchi di noia presi
nella ragnatela degli
angoli bui pause
fumate e samovar di silenzi e
reggicalze dimenticati e
la pioggia tropicale che
s?impingua fra le lancette. C'è
l'orgasmo muto di
un'Afrodite del Bronx.
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