Adolfo
1-2-3-4-5-6-7-8-9
i
suoi racconti
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Sferrate
smanie da
dure membra traboccanti
di storie rincorrono
ricordi nel
perduto tempo. Furie
del germoglio che fu primo
alla funesta età scavalcano
montagne e
nelle profonde forre all’Averno
avverse incomplete
di note riportano
certezze. Calanti
giorni ricorrono a
malinconiche sere con
l’incerto somigliare dei
pensieri all’opaco velo della
fatale sorte. Chi
ci accompagna allora
lento fugge dall’ancor
più lento eterno
andare e l’errare smemorato
del silenzio ci
spinge ove intenerisce l’arcuare
dell’immenso.
|
|
Si
rinnovella la terra d’erbe
e calle nel
cadenzar di
rosa la sua passione nelle
ore mattutine. Smaniosaménte
va dall’estesa
attesa il
profumo dei cedri a
sfiorar le arance nelle
calde piane e
il mare crespo al refolo si
distende al sole con
le attrici ore per
il parnaso giorno. I
flauti del canneto cullano
nel campo gli
incantati girasoli da
racimolar la sera e
rivestir la terra. |
Tutto
di fuoco il sole con
ardore invade beffardo
il giorno e
con fine scivolar lo
tramuta in sera. Raccolte
si scrollano le cose in
quell’ora scesa scevra dall’esteso
sguardo stretto
al venturo sonno. Muta
nel silenzio con
il peso del passato cammina
la vita per la curva della
terra su sentieri bruni ignoti
al tuo pensar d’amore
a me lontano. Presto
scorre il tempo nella
futura sorte e
da una nebbiosa ansa dove
i ricordi incerti sfiorano
sgualciti sogni provvisorie
ombre vengono come
fardello da far greve il
ricordar di sempre. Dall’essere
tuo la mente allora
s’allontana scura, cara ad
inventar l’amore fermo ai
discosti giorni senza
memoria ma
non si raccolgono più grandi
cose nella luce lieve di
un morente stanco giorno. |
|
Stesa
terra stanca
ti
ponesti greve con
passo incerto al
tempo dell’immenso e
lenta nella
spenta luce ti
perdi ancora. Appariva
amore sempre
il patire all’istante
ch’era luce
il suo stare e
quel che da lei volli lei
volle ansiosa da
quel mio amare. Ma
un corto giorno strinse
curvo il quadrato del
largo orizzonte con
archi erosi e grigie brume
nell’invernale sera. La
luce giocò per lei estinta
tra le cose e
nella notte solo
rimane il
distrarsi scialbo del
quel che fu il
suo sorriso.
|
Il
segreto di bambino tra
verdi stretti bossi nascosto
nel vialetto del
giardino mira
in parte il cielo laddove
sta fermo con
gli alberi di melo. Sparisce
l’intorno assente
e presente s’intenerisce
altrove a
vagar col bosso tra
irti e duri rami per
un’immensa ora in cielo. E
quando dai covoni all’azzittir
delle cicale si
discosta il sole di
nubi e d’acqua si
gonfia il cielo. Allorché
la sera al
finito canto si
confonde a
un penoso pianto e
la gente stretta nella
carità si perde.
|
|
Sul
sagrato s’allarga il sole dall’ombra
del tuo passare e
nell’immoto ruota e freme a
ciancicare il vuoto intorno. Composto
il giorno appare e
cala nella scena avverso al
nulla del tuo cammino. Nascoste
ripetono smaniose le
stelle il sonno altrove dove
si trascina lenta e stanca la
vita con reagir sommesso. L’assenza
induce al morbo la
distratta e scomposta essenza finita
nel mare dell’oblio. L’illusione
nega al tempo impietosa
il muto parlare di
un orizzonte d’arse croci e
segna di forre i già aspri sentieri. Da
ondosi moti si leva l’ansia al
vento di memorie vaghe in
tronfi avanzi senza senso da
rivoltar fantasmi nella sera. Ma
taciturna un’ombra cede una
luce tenue da schiarir al
riverso sguardo aggrovigliato
al buio dell’abisso la
scena di un cammino per scivolar sicuro
nel tempo senza fine.
|
Al
declinare del giorno, libero con
il tuo venir mi spingo nel
roteare di foglie di
un disteso autunno e
nella dubbia illusione dell’eterno
penso quando
un tempo anch’io sarò
tra le vacue cose. Per
remote lontananze di
immutabili presenze odo
pensoso involontarie
voci e
fragili malinconie mi
fanno schiavo di
un mondo senza tempo. Nell’agrumeto
cadono le arance e
al refolo non trema il mare. Allorché
il sole più non copre le
pietre del sentiero per
i svelti passi del breve andare così
vanno vuoti alle indistinte foci i
fiumi nella sera a
segnare la polverosa terra.
|
|
S’esce
di rado la sera per
seguire lontano l’eco
di uno smesso giorno e
così si lasciano i pensieri alle
rughe della fronte come
noi alle nostre ansie. Un’aria
muta di tenui luci e
d’ombre discoste appena porta
il pensare oltre
il dirupato grigio del
passato a rivelare con
i mutati passi d’ora i
segreti in cui vivono le cose. Nell’oscuro
una trapiantata luce di
un ricordo chiuso s’apre e
il suo fluire lento s’attarda a
riscoprir il mestato tempo. Viene
un po’ di te e si schiude intenso
sommerso un senso proda
di una stanca prora. Ti
vedo e tra il lucido degli occhi splendi
ancora d’aurora e pace come
il giorno che ti arrampicasti per
un lungo sentiero strano di
un erto colle chiaro che
rosa t’addensò di fiori e luce. |
Nello
sbiadito inverno silenziosa
tra le case triste
si stende l’ansia in
una sera già vecchia di
sospiri e malinconie per
i mancati incanti di
un avaro sole. E
andando si scorge l’ombra della
vita che si smorza nelle
memorie grigie per
tracciare nel tempo la
brulla solitaria terra. Il
passato fa raro il
futuro dei spingenti giorni nel
lasciar con le secche balie il
lagnare dei sogni sulle
rive dell’averno e
gli affanni nelle forre in
quest’ora breve e antica fanno
dell’umano canto
|
|
Sbiadite
mute memorie si
distaccano inquiete dalla
vita e vanno per
erosi sentieri in
un’aria immota. Il
passato disteso travasato
dai muri intorno
a strette vie denso
urta il tempo e
l’ultima luce mutata ancora
affatica il
giorno che muore. Come
l’apparente onda del
fluttuante mare forse
è la certezza il
dubbio senza ombre che
corrompe la vita e
s’incava al tempo dentro
gli arsi muri per
annodar le troppe sole
cose vuote con
la secca calcina. Così
ogni dubbiezza divaga
muta nella cieca memoria
di una scialba vita.
|
Respiro
a volte gli umori del
tardo autunno attaccati agli
stecchi del fossato sceso
erto dietro le case immote forse
a stentar malinconie nelle
fioche brume del corto giorno. Allora
i pensieri del tempo andato nella
mente cancellano la noia senza
affondare nel grigiore di
rigide certezze la dubbiosa vita. Ma
non durano le sere e ogni cosa si
disperde nel folto della notte per
sollevar il mondo dalle valli e
sciamare nell’aria con gli astri camminatori
dell’immenso. Celati
in mesti suoni i
tremolii di scendenti acque traversano
l’aria dei fangosi campi come
anime penose senza pace perse
nel mare delle speranze. Da
sopra le frasche l’ignoto senso
della vita con un
fringuello fugge forse
per cercare l’alba sul clivo così
come la mente si districa lenta dall’arido
grembo dell’oblio e
l’albero per le sue foglie morte
|
|
Non
mi aspettare ancora se
non quando di questa vita sarai
memoria. L’universale
moto non cessò le
tante cose quand’ebbe dubbiezza
di sorte oscura nell’ignota
immensa proda. Ogni
creatura nella conca dell’eterno
il guardare scuote per
grandiose calle come le
greggi in fila dai mesti clivi alla
linfa dell’erbose piane. (di
un’erbosa valle) Un
suono frange lontano impetuoso
e immutabile un
ricordo discosto s’apre nella
districata mente che fitto aduna
all’esistenza il dubbio. Più
chiaro fermenta il senno nell’arsura
delle ombre è
l’ora che rovina l’indifferenza e
in un pulviscolo d’immenso
|
Nell’infinito
silenzio l’immanenza
dell’eterno scopre
con ciottolosa luce il
profilo di dilaganti giorni ma
del nostro incerto agrumeto senza
fiori non mostra i frutti. Piccoli
i giorni s’addensano e
frettolose ore si urtano tra
luci e ombre senza senso nello
sventolio di lontani sogni sulle
orme di assenze antiche. Il
breve cammino nel crepuscolo perpetuo
di un infinito andare erode
memorie troppo sottili per
l’enorme peso di una vita che
passerà i torvi confini. Forse
con un filo misterioso il
tessere sottile dell’eterno nell’immenso
ogni cosa annoda e
un’infima certezza pone accanto al
dubbio estremo che ci chiude. Mutano
con amarezza i sentieri nei
dirupi di un lembo di mare senza
proda per immergerci nell’umano
torpore che nel segreto dell’esistenza
trattiene il peso di
un momento senza luce. |
|
Irrequietudini
ricoprono di scaglie il cielo aperto
al vespro e nell’ingorgo mortale della
notte ogni cosa si dissipa. Discese
invisibili attendono dentro. Si
urtano fuori sconfinanti dal passato e
come afone ombre aggrovigliate da
un crepuscolo senza sera varcano secche
le memorie per le nostre noie. Ci
abbandona il giorno lacero e quel volto sbiadito
da un’avara memoria rincasa nel
passato con il peso della vita riflesso
in una breve malinconia. Persi
colori di un giardino sgualcito ritagliano
il profilo di rovinate mura e
oltre irrompe sterminato appena il
ricordo di una vecchia casa. Fatue
memorie s’accalcano attorno con
voci mute restituite al tempo impotenti
da respiri troppo ampi nati
dalle piaghe della mente senza greggi. S’affacciano
meste dall’oscurità più lievi nell’arcuare
inciso di vaghi gesti rari degli
umidi sguardi persi dal cuore nelle
case inerpicate tra fitte croci. Tutto
rimane tra i deboli argini della mente.
|
L’esistenza
dall’immoto pone
con la finita essenza l’essere
e il nulla nell’indifferente
domani.
Quel
che ora è
più non sarà. Come
vorrei che vacillasse l’ignoto
essere delle cose nell’incerta
rinchiusa anima al
principio dell’umana vita. Nel
vortice declina l’infimo spettro
dell’estremo nella paura come
il gorgo che congiunge al
profondo abisso il cielo dove
certo scompare il sole. Un
impreciso vuoto rimane senza
memoria nell’altrui quando
il tempo non avrà più per
noi pensiero estremo nel
sordo delirio dell’eterno. Forse
solo adesso tutto comincia
s’attarda
con la curiosa luna ad
ascoltare l’eco dell’eterno. Solo
forse attende l’unico certo
giorno alla fine della notte. Mite
un volto lo lega ad una carezza e
allora ogni cosa s’addolora in
quello sguardo amaro fermo sui
sperduti tetti delle case vuote. È
un passante malfermo…. geme spinto
dalla vita in una folla sfinita che
prima del tramonto ride ancora immobile
con la bocca chiusa.
|
Barbagli
nel buio, memorie, immagini, suoni,
da lontano il passato. Forse è lei. Ecco
tutto si confonde. In
un’aria rosa una zattera scompare mossa
dalla brezza del destino oltre
la soglia del limbo in un irreale senso della
vita che ignara si impiglia al tempo. Lo
schermo di ogni giorno si riempie di tinte tra
tremuli suoni e lontane voci perse nel
brivido degli echi di ieri che urtano i
sospettosi domani già vecchi nella memoria. Dove
non spira il vento ormeggia il male. Così
la vita prepotente rincorre nel passato forse
una diversa storia senza effigiati eroi che
anelano nel tempo erose glorie. È
triste il giardino dove i grilli mutilati tacciono
con le atterrite cicale e
ogni cosa si incrina vuota di passione e
nulla vibra per l’emozione di una sera. Vorticosa
la vita si ripete tra riflessi e spume
di
acque mulinanti di un fiume senza sponde che
lontano si scioglie tra sfilacciate canne piegate
da stanchi uccelli senza terra. L’architrave
dell’eterno innervata nel passato a
sbalzo sulla vita sobborgo dell’immenso s’annerisce
al tedio di un vagare lento e forse anch’essa si scompone sulla sponda
dell’Averno.
|