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i suoi racconti

 

giorni d’autunno il vecchio pianeggia tra i navigli silenzi d’estate si dice i girasoli vagheggiare l’eterno avanzare
la terra senza memoria Stesa terra il canto  la vita involontarie voci  s’esce di rado la sera in quest’ora breve e antica
la certezza l’ignoto senso della vita non mi aspettare ancora nell’infinito silenzio  memorie forse solo adesso un vecchio stanco
l’architrave dell’eterno..

 

giorni d’autunno

Sorpresi nei colori

i giorni d’autunno

rapiscono i sentori

come il morir le foglie

nel cader dai rami

sulla grigia bassa terra.

Nel silenzioso vagare

tra i rossi orti

rada s’incontra

l’estrema estate

come il ricordo

spento della tua bocca

dalle rosse labbra

schiuse.

La gioia che fu nel petto

s’inarca sola

tra le sponde

perse in stupide cadenze

senza ferire

altri che noi

segni imperscrutabili

del mortale eterno.  

Così si ripete l’ansia

per privare dalla noia

i tardi scorci della vita.

 

 

il vecchio

Di notte

il ricordar m’è triste

e il tuo venire

mi strugge

in un incauto dormire.

 

Riposto

raro riemerge

risoluto al senno

stremato scorta

il sonno stracco

tra strani tremori.

 

Ma l’alba la notte leva

con il calmo fluir del sole

per insolute e caste storie

di giovani affollati di vita.

 

Allora vecchio

sorrido

del mio tempo pago

al tuo venire

con l’ombra in mano.

 

 

pianeggia tra i navigli

Pianeggia tra i navigli

la terra lilla d’erba

in tarda primavera

 

piatto incantato resto

nell’arcuata luce

 

alla frescura di ombre

immote e mute.

 

La terra così vestita

proda sicura appare

per l’incerto vagar

di questa vita.

 

Nulla più declina

al salire del vento

dai prati d’acqua

se non il fiume al mare.

 

 

silenzi d’estate

Ritto di sole

d’agosto il controluce

rovente brucia

e la terra increspa.

Monti pesanti

cromati di giallo

scorrono erosi

in greti di pietra.  

Dal colore arso

sotto il muro

duro e secco

dell’erto sentiero

stride la serpe

tra contorti rami

strisciata dall’acqua

della molle pozza

nella logora forra.

Addensate farfalle

dai greppi del fosso

a frotte schiuse

trapassano l’afa

per migrare al sole.

Dall’ulivo trilla l’eco

di un romito cicalio 

che scorta il giorno

nel fermo aranceto

largo all’orizzonte

come una rada muta

nell’ondulato mare.

 

si dice

Si dice

     di un’antica storia.

Alla sera la racconta

la montagna al mare

per trattenere il sole.

Il vento sospeso tace

e si dipinge

di quel colore

che s’incantano le cose.

Che strana sera!

Da lontano tornano

le malinconie

a scolorare il cielo.

Muto mi raccoglie.

Fa nebbia sulla montagna

e in mare affonda il sole.

Forse dell’antica storia

non si dice questa sera.

 

i girasoli

Senza gravar le membra

con l’ansia del declino

un arduo dormir si posa

tra i grandi girasoli

per girar il tempo al sole.

 

Estremo è l’affanno

dell’incerta luce

al morir del giorno

mentre la sera

nell’ampio buio

il pensiero congiunge

alla tristezza.

 

Piegato sul greppo

s’accomiata il vento

impavido e sordo

dall’ombroso fosso

per varcare la muta notte

e rimestar le sparse cose

con un irrequieto soffio.

 

vagheggiare

L’aria della sera

punta dai pini

in cielo s’accalora

per l’immenso filar

degli astri in fila.

Le stanche membra

seguono il moto

della pesante terra

e ogni cosa si distrae

a vagheggiare

nel nodoso tempo

silenziose storie.

Spento si duole

il ricordare solo

nel dirotto sonno

certo della certa fine. 

 

 

 

l’eterno avanzare

Sferrate smanie

da dure membra

traboccanti di storie

rincorrono ricordi

nel perduto tempo.

 

Furie del germoglio che fu

primo alla funesta età

scavalcano montagne

e nelle profonde forre

all’Averno avverse

incomplete di note

riportano certezze.

 

Calanti giorni ricorrono

a malinconiche sere

con l’incerto somigliare

dei pensieri all’opaco velo

della fatale sorte.

Chi ci accompagna

allora lento fugge

dall’ancor più lento

eterno andare e l’errare 

smemorato del silenzio

ci spinge ove intenerisce

l’arcuare dell’immenso.

 

 

la terra

Si rinnovella la terra

d’erbe e calle

nel cadenzar

di rosa la sua passione

nelle ore mattutine.

Smaniosaménte va

dall’estesa attesa

il profumo dei cedri

a sfiorar le arance

nelle calde piane

e il mare crespo al refolo

si distende al sole

con le attrici ore

per il parnaso giorno. 

I flauti del canneto

cullano nel campo

gli incantati girasoli

da racimolar la sera

e rivestir la terra. 

senza memoria

Tutto di fuoco il sole

con ardore invade

beffardo il giorno

e con fine scivolar

lo tramuta in sera.

 Raccolte si scrollano le cose

in quell’ora scesa  scevra

dall’esteso sguardo

stretto al venturo sonno.

 Muta nel silenzio

con il peso del passato

cammina la vita per la curva

della terra su sentieri bruni

ignoti al tuo pensar

d’amore a me lontano.

 Presto scorre il tempo

nella futura sorte

e da una nebbiosa ansa

dove i ricordi incerti

sfiorano sgualciti sogni

provvisorie ombre vengono

come fardello da far greve

il ricordar di sempre.

 Dall’essere tuo la mente

allora s’allontana scura, cara

ad inventar l’amore fermo

ai discosti giorni

senza memoria

ma non si raccolgono più

grandi cose nella luce lieve

di un morente stanco giorno.


Stesa terra

Stesa terra

stanca

ti ponesti greve

con passo incerto

al tempo dell’immenso

e lenta

nella spenta luce

ti perdi ancora.

 

Appariva amore

sempre il patire

all’istante ch’era

luce il suo stare

e quel che da lei volli

lei volle ansiosa

da quel mio amare.

 

Ma un corto giorno

strinse curvo il quadrato

del largo orizzonte

con archi erosi e grigie

brume nell’invernale sera.

 

La luce giocò per lei

estinta tra le cose

e nella notte

solo rimane

il distrarsi scialbo

del quel che fu

il suo sorriso.

  

il canto

 

Il segreto di bambino

tra verdi stretti bossi

nascosto nel vialetto

del giardino

mira in parte il cielo

laddove sta fermo

con gli alberi di melo.

Sparisce l’intorno

assente e presente

s’intenerisce altrove

a vagar col bosso

tra irti e duri rami

per un’immensa ora in cielo.

E quando dai covoni

all’azzittir delle cicale

si discosta il sole

di nubi e d’acqua

si gonfia il cielo.

Allorché la sera

al finito canto

si confonde

a un penoso pianto

e la gente stretta

nella carità si perde.

 

 

 

la vita

Sul sagrato s’allarga il sole

dall’ombra del tuo passare

e nell’immoto ruota e freme

a ciancicare il vuoto intorno.

Composto il giorno appare

e cala nella scena avverso

al nulla del tuo cammino.

 

Nascoste ripetono smaniose

le stelle il sonno altrove

dove si trascina lenta e stanca

la vita con reagir sommesso.

L’assenza induce al morbo

la distratta e scomposta essenza

finita nel mare dell’oblio.

 

L’illusione nega al tempo

impietosa il muto parlare

di un orizzonte d’arse croci

e segna di forre i già aspri sentieri.

Da ondosi moti si leva l’ansia

al vento di memorie vaghe

in tronfi avanzi senza senso

da rivoltar fantasmi nella sera.

 

Ma taciturna un’ombra cede

una luce tenue da schiarir

al riverso sguardo

aggrovigliato al buio dell’abisso

la scena di un cammino per scivolar

sicuro nel tempo senza fine.

 

involontarie voci

Al declinare del giorno, libero

con il tuo venir mi spingo

nel roteare di foglie

di un disteso autunno

e nella dubbia illusione

dell’eterno penso

quando un tempo anch’io

sarò tra le vacue cose.

 

Per remote lontananze

di immutabili presenze

odo pensoso

involontarie voci

e fragili malinconie

mi fanno schiavo

di un mondo senza tempo.

 

Nell’agrumeto cadono le arance

e al refolo non trema il mare.

Allorché il sole più non copre

le pietre del sentiero

per i svelti passi del breve andare

così vanno vuoti alle indistinte foci

i fiumi nella sera

a segnare la polverosa terra.

 

 

s’esce di rado la sera

S’esce di rado la sera

per seguire lontano

l’eco di uno smesso giorno

e così si lasciano i pensieri

alle rughe della fronte

come noi alle nostre ansie.

 

Un’aria muta di tenui luci

e d’ombre discoste appena

porta il pensare 

oltre il dirupato grigio

del passato a rivelare

con i mutati passi d’ora

i segreti in cui vivono le cose.

 

Nell’oscuro una trapiantata luce

di un ricordo chiuso s’apre 

e il suo fluire lento s’attarda

a riscoprir il mestato tempo.

Viene un po’ di te e si schiude

intenso sommerso un senso

proda di una stanca prora.

 

Ti vedo e tra il lucido degli occhi

splendi ancora d’aurora e pace

come il giorno che ti arrampicasti

per un lungo sentiero strano

di un erto colle chiaro

che rosa t’addensò di fiori e  luce.

  

in quest’ora breve e antica

Nello sbiadito inverno

silenziosa tra le case

triste si stende l’ansia

in una sera già vecchia

di sospiri e malinconie

per i mancati incanti

di un avaro sole.

E andando si scorge l’ombra

della vita che si smorza

nelle memorie grigie

per tracciare nel tempo

la brulla solitaria terra.

Il passato fa raro

il futuro dei spingenti giorni

nel lasciar con le secche balie

il lagnare dei sogni

sulle rive dell’averno

e gli affanni nelle forre

in quest’ora breve e antica

fanno dell’umano canto

il pianto dell’eterno.

 

 

la certezza

Sbiadite mute memorie

si distaccano inquiete

dalla vita e vanno

per erosi sentieri

in un’aria immota.

Il passato disteso

travasato dai muri

intorno a strette vie

denso urta il tempo

e l’ultima luce mutata

ancora affatica

il giorno che muore.

Come l’apparente onda

del fluttuante mare

forse è la certezza

il dubbio senza ombre

che corrompe la vita

e s’incava al tempo

dentro gli arsi muri

per annodar le troppe

sole cose vuote

con la secca calcina.

Così ogni dubbiezza

divaga muta nella cieca

memoria di una scialba vita.

 

l’ignoto senso della vita

Respiro a volte gli umori

del tardo autunno attaccati

agli stecchi del fossato

sceso erto dietro le case immote

forse a stentar malinconie

nelle fioche brume del corto giorno.

Allora i pensieri del tempo andato

nella mente cancellano la noia

senza affondare nel grigiore

di rigide certezze la dubbiosa vita.

Ma non durano le sere e ogni cosa

si disperde nel folto della notte

per sollevar il mondo dalle valli

e sciamare nell’aria con gli astri

camminatori dell’immenso.

Celati in mesti suoni

i tremolii di scendenti acque

traversano l’aria dei fangosi campi

come anime penose senza pace

perse nel mare delle speranze.

Da sopra le frasche l’ignoto

senso della vita  con un fringuello fugge

forse per cercare l’alba sul clivo

così come la mente si districa lenta

dall’arido grembo dell’oblio

e l’albero per le sue foglie morte

avrà la tristezza dell’inverno.

 

 

non mi aspettare ancora

Non mi aspettare ancora

se non quando di questa vita

sarai memoria.

L’universale moto non cessò

le tante cose quand’ebbe

dubbiezza  di sorte oscura

nell’ignota immensa proda.

Ogni creatura nella conca

dell’eterno il guardare scuote

per grandiose calle come

le greggi in fila dai mesti clivi

alla linfa dell’erbose piane.          (di un’erbosa valle)

Un suono frange lontano

impetuoso e immutabile

un ricordo discosto s’apre

nella districata mente che fitto

aduna all’esistenza il dubbio.

Più chiaro fermenta il senno

nell’arsura delle ombre

è l’ora che rovina l’indifferenza

e in un pulviscolo d’immenso

al dubbio tutto accomuna.

 

 

nell’infinito silenzio

Nell’infinito silenzio

l’immanenza dell’eterno

scopre con ciottolosa luce

il profilo di dilaganti giorni

ma del nostro incerto agrumeto

senza fiori non mostra i frutti.

Piccoli i giorni s’addensano

e frettolose ore si urtano

tra luci e ombre senza senso

nello sventolio di lontani sogni

sulle orme di assenze antiche.

Il breve cammino nel crepuscolo

perpetuo di un infinito andare

erode memorie troppo sottili

per l’enorme peso di una vita

che passerà i torvi confini.

Forse con un filo misterioso

il tessere sottile dell’eterno

nell’immenso ogni cosa annoda

e un’infima certezza pone accanto

al dubbio estremo che ci chiude.

Mutano con amarezza i sentieri

nei dirupi di un lembo di mare

senza proda per immergerci

nell’umano torpore che nel segreto

dell’esistenza trattiene il peso

di un momento senza luce.

 

memorie

Irrequietudini ricoprono di scaglie il cielo

aperto al vespro e nell’ingorgo mortale

della notte ogni cosa si dissipa.

Discese invisibili attendono dentro.

 

Si urtano fuori sconfinanti dal passato

e come afone ombre aggrovigliate

da un crepuscolo senza sera varcano

secche le memorie per le nostre noie.

 

Ci abbandona il giorno lacero e quel volto

sbiadito da un’avara memoria rincasa

nel passato con il peso della vita

riflesso in una breve malinconia.

 

Persi colori di un giardino sgualcito

ritagliano il profilo di rovinate mura

e oltre irrompe sterminato appena

il ricordo di una vecchia casa.

 

Fatue memorie s’accalcano attorno

con voci mute restituite al tempo

impotenti da respiri troppo ampi

nati dalle piaghe della mente senza greggi.

 

S’affacciano meste dall’oscurità più lievi

nell’arcuare inciso di vaghi gesti rari

degli umidi sguardi persi dal cuore

nelle case inerpicate tra fitte croci.

Tutto rimane tra i deboli argini della mente.  

 

 

forse solo adesso

L’esistenza dall’immoto

pone con la finita essenza

l’essere e il nulla

nell’indifferente domani.

 

Quel che ora è

                     più non sarà.

 

Come vorrei che vacillasse

l’ignoto essere delle cose

nell’incerta rinchiusa anima

al principio dell’umana vita.

 

Nel vortice declina l’infimo

spettro dell’estremo nella paura

come il gorgo che congiunge

al profondo abisso il cielo

dove certo scompare il sole.

 

Un impreciso vuoto rimane

senza memoria nell’altrui

quando il tempo non avrà più

per noi pensiero estremo

nel sordo delirio dell’eterno.

 

Forse solo adesso tutto comincia

s’attarda con la curiosa luna

ad ascoltare l’eco dell’eterno.

Solo forse attende l’unico

certo giorno alla fine della notte.

 

Mite un volto lo lega ad una carezza

e allora ogni cosa s’addolora

in quello sguardo amaro fermo

sui sperduti tetti delle case vuote.

È un passante malfermo…. geme

spinto dalla vita in una folla sfinita

che prima del tramonto ride ancora

immobile con la bocca chiusa.

 

l’architrave dell’eterno

Barbagli nel buio, memorie, immagini,

suoni, da lontano il passato. Forse è lei.

Ecco tutto si confonde.

 

In un’aria rosa una zattera scompare

mossa dalla brezza del destino 

oltre la soglia del limbo in un irreale senso

della vita che ignara si impiglia al tempo.

 

Lo schermo di ogni giorno si riempie di tinte

tra tremuli suoni e lontane voci perse

nel brivido degli echi di ieri che urtano

i sospettosi domani già vecchi nella memoria.

 

Dove non spira il vento ormeggia il male.

Così la vita prepotente rincorre nel passato

forse una diversa storia senza effigiati eroi

che anelano nel tempo erose glorie.

 

È triste il giardino dove i grilli mutilati

tacciono con le atterrite cicale

e ogni cosa si incrina vuota di passione

e nulla vibra per l’emozione di una sera.

 

Vorticosa la vita si ripete tra riflessi e spume 

di acque mulinanti di un fiume senza sponde

che lontano si scioglie tra sfilacciate canne

piegate da stanchi uccelli senza terra.

 

L’architrave dell’eterno innervata nel passato

a sbalzo sulla vita sobborgo dell’immenso

s’annerisce al tedio di un vagare lento e forse anch’essa si scompone sulla sponda  dell’Averno.

 

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È triste il giardino dove i grilli mutilati

tacciono con le atterrite cicale

e ogni cosa si incrina vuota di passione

e nulla vibra per l’emozione di una sera.

 

Vorticosa la vita si ripete tra riflessi e spume 

di acque mulinanti di un fiume senza sponde

che lontano si scioglie tra sfilacciate canne

piegate da stanchi uccelli senza terra.

 

L’architrave dell’eterno innervata nel passato

a sbalzo sulla vita sobborgo dell’immenso

s’annerisce al tedio di un vagare lento e forse anch’essa si scompone sulla sponda  dell’Averno.

 

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