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La notte dona tregua:
s'annuncia l'alba;
la luce scialba
il sonno mi dilegua.
Lo spirto mio sopito,
ancor indugia,
e la minugia
accorda un suon rapito.
E' qui che il
sentimento,
che il sonno occulta,
sorge e consulta
quest'esser si sgomento.
L'immagine tua pura
m'appare viva,
all'altra riva
del fiume che ci abiura.
E tal vision m'appaga,
mi sgrava d'anni
e di malanni.
L'onirico non paga !
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Là, dove il ciel col
mar
negli occhi tuoi
confina,
intenso è il mio
pensier,
e l'alma mia divina.
Il verbo tuo che canta
d'effimera allegria,
non è che una malia
che solo gli altri
incanta.
Non val dissimular
con chi nei nostri
affanni,
ormai da tanti anni,
vi annega la speranza!
Ai tuoi cocenti strali,
non puoi trovar
sollievo,
se non evadi in evo
etereo e innatural.
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Dopo la notte di tempesta, il sole, quieto all'orizzonte, splende d'un'altra luce: a festa ! E l'acqua; pura; sgorga dalla fonte ! E l'aer meditazion concilia.
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Nell'eremo più antico, Confucio sospirò: un animo sereno e un sincero amico !
Dai primi di Gennaio (l'amico già sta qui), la sorte ti sia grata, di spirito assai gaio !
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Che fai, laido vecchio, ancor sulla breccia ? O grama corteccia, dal bianco cernecchio?
Decrepito ramo, non odi talora, dell'ultima ora, il mesto richiamo?
Lo specchio ti guarda negli occhi piagnoni: ti vedi a bocconi, o scimmia bastarda?
Hai chioma canuta, la pelle avvizzita, l'aria stranita di bestia abbattuta.
Pei denti estirpati, la bocca ritorta è già cosa morta. Gli occhi hai infossati.
Il naso cadente, sul mento tuo adunco, qual fragile giunco s'appoggia piangente!
E curva hai la schiena, le membra tremanti e i passi striscianti di pavida iena!
Finito è il mordente, il coraggio leonino, del tempo belluino dell'altro perdente!
Or tu, hai perduto con gli anni, ogni vanto: ti resta soltanto la lingua del muto!
E vivi angosciato, in tragica attesa: la vita contesa dal sordido agguato!
Il Mondo, o meschino, già d'ora t'ignora: t'ha pronta la gora che porta al mulino.
Io t'odio, o cascame! Se il Fato m'assiste, io pur sarò un triste e lercio ciarpame!
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Osanna a te, o mia Musa. Che mi togliesti dalle nebbie, dell'eterno oblio, per rendermi a questa vita terrena, Che, col tuo sospetto, mi facesti poi soffrire nel Regno d'Ade, Per donarmi, finalmente, il tuo cuore. Con me ora, condividi la felicità, di un amore puro privo d'età, e di un'amicizia sincera. In un Eden senza serpi, senza pomi, in una eternità virtuale. Gloria a te, o mia Diva!
Ricca o modesta, la libagion vuol, a ragion, per far gran festa, amar Dio Bacco. E bevi! Perbacco!
La vecchia man tremante, frusto pennel brancò e, molto titubante, un moscio fior tracciò. Ma il cor; ma il cor; ma il cor, sicuro palpitò di giovanil ardor. Ma... solo il cor.
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Nel cortil di tal vicina, vi starnazza 'na gallina che fa sciopero di uova: ma non è, una cosa nuova.
Molto strano è invece che, mai ci canti "Coccodè!": lei vorrebbe (senti qui!), sgozzar sol "Chicchirichì!".
Questa specie di mania, non diverte chicchessia: pesta solo i santi calli, di color che sono i galli.
Or la vaga gallinella, fa la corte a sua sorella, or ti becca senza indugio, chi è munito d'archibugio!
Si rifiuta, nel pollaio, al suo Re, per quanto gaio! E protegge "virilmente", del suo sesso sol la gente.
Quando l'alba s'avvicina, salta in piedi 'sta gallina, e gonfiando il suo gilè, strilla: Chicchi... chicchi... odeee!".
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Tina, cara Tina, maledetto sia l'orgoglio, mio, e tuo, che per una vita, tante volte, e per tanto tempo, ci separò, e ci tenne lontani, senza odio, senza rancore, senza valido motivo, entrambi soffrendo, per non poterci dire, tante cose belle, per non poter rievocare, tanti comuni ricordi. Maledetto orgoglio! E dissimulammo il dolore: gli altri, non potevano capire e non dovevano sapere. Ma quando, ormai tanto vecchi, tu mi chiamasti, al tuo ultimo capezzale: ci guardammo, intensamente, occhi negli occhi. E l'amore fraterno proruppe, e fu gioia, e gioia, e ancora gioia e pianto. E Franca, con noi, pianse.
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IL
CAPPONE RAMPINATO |
PORTINAIA
CON GIARDINO |