Vecchio Giorgio 1

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UN OTTUAGENARIO (1920) RICORDA !

" Fascista per nascita"

PREMESSA

Il titolo " ’Fascista per nascita", ammetto, è un po’ provocatorio, ma fa il verso a coloro e sono migliaia e migliaia, i quali, dopo aver indossata, nel Ventennio, la camicia nera; improvvisamente, il 25 Aprile 1945, sulla strada della "Liberazione", sono stati folgorati dalla stella rossa di Stalin. Molti di costoro, lo hanno fatto per salvare la propria vita, dalla ferocia di tanti partigiani comunisti, i quali continuarono a lungo e per conto proprio, ad uccidere migliaia di fascisti, ormai inermi (e non soltanto quelli); anche dopo che, per totale occupazione dell’Italia da parte delle truppe angloamericane, la guerra civile avrebbe dovuto essere considerata finita. Altri fascisti, si sono invece convertiti all’estrema sinistra, soltanto per interessi professionali (intellettuali e giornalisti) o politici, che li hanno portati a rinnegare il loro passato fascista, per poter accedere a quella grande mangiatoia che si chiama "Antifascismo".

Quando sarà libera dalle catene dell’Antifascismo, la Storia farà giustizia nel bene e nel male anche del Regime Fascista, il quale, è opportuno precisare, si distinse in tre periodi: la Marcia su Roma; il Ventennio e la Repubblica Sociale Italiana.

Sarà riconfermato allora, che il Fascismo di fatto si autodestituì, quando il "Gran Consiglio", ovvero il suo Governo; costituito interamente da gerarchi in camicia nera; riconoscendo che la guerra era ormai perduta; e allo scopo di salvare il salvabile; negò; nella Seduta del il 24 Luglio 1943; la fiducia al suo Capo: Benito Mussolini. Il Duce, conseguentemente e coerentemente, rimise il proprio mandato nelle mani del Re, Vittorio Emanuele III.

Il Re nominò nuovo Capo del Governo, il Maresciallo Badoglio, a cui diede, come primo incarico, quello di fermare Mussolini, che fu subito arrestato e tradotto, con strategia discutibile (in una lettiga e con percorso strategico), in un albergo a Campo Imperatore, sul Gran Sasso; e lì sorvegliato a vista.

Il 12 Settembre 1943, il Duce fu liberato, per ordine di Hitler, con un avventuroso e spericolato raid aereo, organizzato dal Capitano tedesco Otto Skorzeny.

Mussolini, nel novembre successivo fondò, a Salò, sul Lago di Garda, la "Repubblica Sociale Italiana". Ma il Duce, abbattuto moralmente dagli avvenimenti, e praticamente privo di potere decisionale, era divenuto un uomo di paglia, nelle mani delle SS di Hitler e di capi fascisti e militari; i quali, per diverse ragioni, (non escluso l’orgoglio di soldato), non avevano aderito, l’ 8 Settembre 1943, alla resa separata e incondizionata dell’Italia, alle forze armate Alleate.

La Storia dirà pure, se la sanguinosa guerra civile, che ha seguito l’istituzione della Repubblica di Salò; nonostante i morti e le devastazioni subite dal Paese; attenuò o meno, il programma vendicativo di Hitler, che prevedeva di ridurre l’Italia, considerata un alleato traditore, a terra bruciata.

Io, vissi la mia infanzia e la mia adolescenza nel Ventennio, e qui accenno a quel periodo della mia vita. Credo senza odi, né particolari simpatie.

Sono al tramonto della mia vita e mi piacerebbe poter dire, giunto al vicino traguardo: "Ecco, lascio un’Italia migliore di quella che ho trovato; ora finalmente fuori dalle nebbie degli antagonismi, dimentica dei dolori e degli odi del fascismo e dell’antifascismo, del comunismo e dell’anticomunismo, mondata finalmente col sacrificio dei morti di ogni parte, che vanno onorati, da qualsiasi risentimento; e portata a unire tutte le sue forze per guardare in avanti, al progresso e alla soluzione dei problemi di sopravvivenza, che la vita di tutti i giorni presenta ai comuni mortali e al consorzio umano.".

Mi piacerebbe.


UN REGIME ALL' ITALIANA ! BALILLA DELLA PRIMA ORA ! UN AVANGUARDISTA NUOVO DI ZECCA  LA DOMENICA DOPO...
NATALE DI ROMA  E ADESSO: " AVANTI MARSCH! " IL GIOVANE FASCISTA IL COMANDANTE E IL MIO TURNISTA ROBERTO

 

 

UN REGIME ALL' ITALIANA !

 

PREMESSA - Vorrei qui chiarire, a chi capitasse di leggere i miei racconti di vita vissuta negli anni del Fascismo, che i miei ricordi sono quelli di un bambino e poi di un ragazzo cresciuto nel pieno dei ranghi della "Gioventù Italiana del Littorio", il quale oggi racconta, col dovuto distacco politico, senza nostalgie né acrimonie, le sue esperienze. giovanili. Preciso che durante l'ultima Guerra Mondiale, svolsi il mio servizio militare nella Regia Aeronautica, che nel periodo della Repubblica Sociale Italiana ero all'estero e infine che, dopo la guerra, non ritenni di iscrivermi ad alcun partito politico.

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La tolleranza del Fascismo, nei confronti di coloro che, pur non essendo suoi iscritti, riteneva avversari politicamente imbelli, debbo dire che era una realtà. Ed era una realtà che molti di questi dissenzienti, affermassero a malincuore: "Però noi italiani, purtroppo, abbiamo bisogno del bastone per tirare diritto.". Lo diceva anche mio padre, e come lui lo affermavano tutti i reduci della guerra 1915/18, memori dei disordini e distruzioni che avevano dato origine alla Marcia su Roma.

Tra le pareti di casa mia e tra quelle di tanti altri connazionali, la politica fascista era condannata, nella convinzione che il bellicismo del Regime, e la sua sete di conquiste territoriali, portasse prima o poi, come infatti portò, al disastro. L'italiano medio e benpensante, non era favorevole all'alleanza con la Germania di Hitler, ed era assolutamente contrario all'eventualità di un conflitto contro gli alleati della precedente guerra mondiale 1915/18; e, ancor più contro gli Stati Uniti, dei quali si ricordava, che alla vittoria di quella guerra essi avevano contribuito, con il loro determinante intervento. Di questa idea, erano anche molti gerarchi fascisti, come Balbo, Ciano e Grandi, i quali non furono ascoltati da Mussolini.

 

Del Regime, si criticavano pure gli esibizionismi militareschi nelle manifestazioni, a cui partecipavano, con sforzi un po' comici, anche gerarchi già in vista dell'andropausa. Ciò era molto dovuto alle direttive del Segretario Generale del Partito, Starace; pluridecorato ex combattente e atleta per vocazione; allora aitante cinquantenne, il quale stimolava gli adiposi suoi camerati, a cimentarsi in esercizi circensi, come il salto nel cerchio di fuoco, o della siepe di baionette, o in altre prove del genere. Del resto l'esempio veniva dall'alto: Mussolini, allora cinquantaseienne, non stava indietro nel dimostrare agli italiani, le sue capacità atletiche, tirando di scherma, montando a cavallo, guidando moto, auto e aerei. Quell'uomo, sicuramente eccezionale, aveva anche il dono inimitabile, di magnetizzare e mandare in visibilio le folle fasciste, parlando, da palazzo Venezia, sempre a braccio e con istrionesca abilità.

 

Io credo pure, che in tante famiglie, i rapporti politici fossero paradossali, come avveniva nella mia, dove le critiche di mio padre al Regime, diluivano la mia educazione fascista. Una volta, con poco buon gusto, dissi scherzando: "Papà, ma non sai che per le tue opinioni sul Governo, io, giovane fascista, potrei denunciarti?". La risposta fu amara e tagliente: "E' questo che devo attendermi da te?". Certo che non doveva attenderselo!

 

Qualche mese dopo, il mio austero genitore, serio e senza parlare, mi tese la sua mano chiusa a pugno; la guardai incuriosito; egli l'aprì e sul palmo apparve un distintivo del PNF. Fatto questo, egli richiuse il pugno, e ripose il suo contenuto in una tasca della giacca. Il gesto fu così rapido che rimasi interdetto. Avevo visto bene? Forse sì, e arguii che probabilmente, come dirigente nella Società da cui dipendeva, avevo chi per me, segnalare alla segreteria della scuola, la mia iscrizione al Partito. Ciò non avvenne. I miei genitori, che si erano a suo tempo tanto premurati di iscrivermi all'Opera Nazionale Balilla, (soltanto per scongiurare una bocciatura alle elementari); non si preoccuparono, in seguito, del rinnovo della mia tessera. Così mi trovai fascistamente agnostico e, come tale, irregolare per i tempi che correvano. Per la verità, quando vedevo squadre di miei coetanei, in divisa, marciare per i rioni della città, mi sentivo un po' a disagio, ma non mi preoccupavo più di tanto.

 

Fu mio padre, quando ebbi compiuti i quattordici anni, a preoccuparsi della mia riammissione al Partito, e me lo comunicò così: "Il tempo passa, presto o tardi dovrai trovarti un lavoro e, senza la tessera fascista, avresti molte difficoltà nell'impresa. Uno di questi giorni ti accompagnerò alla sede del Gruppo (ndr - Rionale Fascista) ad iscriverti.".

 

Entriamo in un vecchio casello daziario della cinta dei bastioni. Disadorno luogo, una specie di magazzino che, oltre a una scassata scrivania e qualche altro mobile d'ufficio in simili condizioni, ha una rastrelliera con alcuni moschetti e, in un angolo appoggiati al muro, alcune bandiere e gagliardetti. Impressionante! Inchiodato ad una parete un labaro nero, dai bordi frangiati, al centro del quale, ricamato in argento, ghigna un teschio che tra i denti stringe un pugnale; più sotto la scritta: "Me ne frego!".

 

Siamo accolti da un omuncolo in camicia nera, non tanto corpulento, di carnagione scura e di voce roca. Visto così, non ha l'aspetto di uno che abbia superato tutte le elementari. Al primo sguardo, si intuisce però che è un uomo dai modi spicci, e disposto facilmente a menar le mani; a costo di prenderle.

 

Scopro che mio padre è già stato in questo luogo, perché, come entriamo dice: "Buongiorno, le ho portato mio figlio. Si ricorda?..." Quello mi squadra severo; forse pensa: "Fra poco ti mangio!" e, interrompendo, "Ah!, e' lui?". Poi rivolto a me, truce e senza preamboli: "Ma bravo; non sai che esiste il Partito Fascista? Perché non ti sei mai iscritto?". Tento una risposta: "Ma io ero iscritto...", l'altro non mi lascia terminare: "Bene! Bene! Tu eri iscritto e adesso non lo sei più! Per caso ti ha scontentato il nostro Duce? Non li vedi mai, la domenica, sfilare nel rione i tuoi compagni, in camicia nera, che cantano "Giovinezza?". Ma non lo sai che senza la tessera del nostro partito, tu non puoi trovare lavoro? Non puoi mangiare?".

 

Davanti a quella filza di domande finisco per ammutolire, quasi tramortito e, mentre il fascista attende risposta, Papà approfitta per intervenire in mio aiuto: "Ascolta, ascolta, le parole di questo signore, sono sante: sono... parole... sante!". Il cerbero, soddisfatto, dà termine alla sua reprimenda, probabilmente pensando: "Ecco un padre responsabile; veramente non è iscritto al Partito, ma se rimprovera suo figlio di non portare la camicia nera, almeno non è contrario". Se potessi rispondere al suo pensiero gli replicherei: "Mio caro Camerata! Ma tu lo conosci mio Padre? Sai o no, che con le sue parole ha affermato che il tuo Partito prende il popolo con la fame?".

 

Giunti così alla fine del colloquio, il fascista conclude rivolto a mio padre: "Stasera presenterò al Gruppo, qui vicino, il nullaosta per l'iscrizione di vostro figlio. Voi, domani sera, accompagnerete il ragazzo in quella sede, al terzo piano, "Ufficio iscrizioni GIL", per il ritiro della tessera; poi scenderete nel seminterrato, ad acquistare una divisa completa da avanguardista. Infine da domenica prossima, alle nove precise, e per tutte le domeniche che seguiranno, vostro figlio dovrà presentarsi, tassativamente e in regolare divisa, alle adunate, che hanno luogo nel cortile del Gruppo." Poi, rivolto a me, torvo e minaccioso: "E tu non mancare alle adunate neh!... Altrimenti ti veniamo a prendere ...". e conclude con un: "E'  tutto.". Papà allunga la mano per salutare, ma il can mastino arretra di un passo, batte i tacchi e tende il braccio desto nel saluto fascista.

 

Eseguiti gli ordini, mi trovai in possesso della nuova divisa, sinceramente non mi piaceva. Non so chi poteva averla ideata. Si diceva che fosse Achille Starace, il segretario del Partito, ad aver la mania di studiare le uniformi del Regime. In ogni caso, quella che avrei dovuto indossare, era stata disegnata, trascurando totalmente che a portarla sarebbero stati dei ragazzi, quasi ancora bambini. Dunque: un paio di pantaloni alla bersagliera; due fasce mollettiere; una giacca militare: e un cappello tipo quello degli alpini. Tutti questi indumenti in panno grigio verde. Sotto la giacca si doveva portare un maglione nero a collo chiuso, alto sino al mento.

 

La domenica successiva, di buon mattino, provvidi ad indossare la nuova tenuta. Qualche problema l'ebbi a mettere le fasce mollettiere. Era necessario raggomitolarle e poi, una alla volta, partendo dalla caviglia, la si doveva aggirare alla gamba, salendo su su, fino al ginocchio, dove si fissava con la fettuccia finale. Era fatale che, agli inizi, una fasciatura accettabile la si otteneva soltanto dopo vari tentativi. E così avvenne anche a me.

 

Quando finalmente fui completamente vestito, mi guardai allo specchio e vidi che il mio aspetto era simile a quello di uno spaventapasseri. Mia mamma commentò subito: "Con quela roba indosso ti xe ridicolo!". Risposi: "Adesso vado a dirghelo a Starace!", e uscii diretto alla sede del Gruppo.

 

 

E ADESSO: " AVANTI MARSCH! "

 

 

Giungo alle nove meno dieci, alla sede del Gruppo, il cancello del cortile, è aperto. Entro: deserto! Alle nove; arriva un altro avanguardista e mi chiede: "Non c'è nessuno?", mi stringo eloquentemente nelle spalle, e anche lui si mette a camminare in tondo. Sembriamo due carcerati di San Vittore, nell'ora d'aria. Intanto, altri sopraggiungono alla spicciolata. Nell'attesa, alcuni discutono di calcio. Uno brontola: "Ci fanno arrivare alle nove, e poi ci lasciano qui a menar la gamba!". Alle nove e mezza, arriva un graduato: è un Avanguardista Capocenturia, porta il grado: due "V" rovesciate, sovrapposte e dorate, a metà manica; e altrettante sul cappello. Si guarda intorno con cipiglio, e si capisce che incomincia a rabbuiarsi. Ha in mano un foglio: un elenco di nomi. Attacca secco: "Siete tutti qui?". Nessuno risponde e lui continua rabbioso: "E' la solita storia: si disertano le adunate... Ma si può sapere perché vi prendete la tessera del Partito, e poi non venite alle adunate? Così non si può andare avanti: prenderò seri provvedimenti!". Penso quasi sgomento: "Ma quello è un ragazzino della mia età... come fa ad avere tanta spocchia?"

 

Ci dà il primo ordine: "Affiancatevi, di fronte a me!". Obbediamo: siamo in nove. Quello ci conta, e dopo aver guardato il foglio esplode: "Ecco qua, ho un elenco di quarantotto, e presenti siete in nove! Manca anche il caposquadra! E che ci sto a fare io qui? Dovrei comandare cento uomini, me ne danno quarantotto, e presenti siete in nove!". Poi, più calmo e rassegnato: "Va be': facciamo l'appello: quelli che chiamo fanno un passo avanti". Terminata la chiamata, io rimango un passo indietro a tutti, e il capo mi dice: "E tu?". Rispondo: "Sono un nuovo iscritto.". L'altro, serio: "Non sei nell'elenco: ecco come lavorano di sopra. Dammi il tuo nome e mettiti in fila con gli altri.". Poi, rivolto a tutti: "At-tenti! Ascoltatemi! Io devo assentarmi un momento. Voi rimanete qui. Non allontanatevi per nessun motivo fino a quando torno. Capito?.. Rompete le righe!". E se ne va, per entrare nella Sede dalla porticina del cortile. La striminzita truppa, riprende a bighellonare e a sfogare il suo malcontento, sintetizzato in una frase, pronunciata da uno più incavolato degli altri: "Che ca... ci fanno venire qui la domenica mattina, per poi farci fare un ca...?". Molto esplicativa, a parte l'eleganza.

 

Torna il Capocenturia e ordina: "Mettetevi in riga". Poi: "Att-tenti!... Ho parlato col nostro Comandante, e per oggi ci lascia liberi. Ma domenica prossima vi voglio tutti qui. Ci saranno anche quelli che oggi hanno fatto i furbi perché, se avranno fortuna, li prenderò soltanto a calci nel c... E ora: Rompete le righe!".

 

 

 

LA DOMENICA DOPO...

 
La domenica dopo, regolarmente in divisa, sono all'adunata. Oggi le cose vanno meglio: siamo in trenta.
E' presente anche il Caposquadra. Il Capocenturia invece non c'è; e giacché non vedo sederi medicati, penso che, nonostante le sue minacce, non abbia preso nessuno a "calci in c...", 
come aveva garantito. Però veniamo a sapere che, dal Comando, nel corso della settimana, erano partite all'indirizzo degli assenti, cartoline rosse con l'ammonimento:
 "Ultimo avviso: se non sarai presente all'adunata di domenica prossima, prenderemo seri provvedimenti."
 Ciononostante, a conti fatti, ancora in diciotto mancano all'appello. Si tratta di scettici? O eroi? O incoscienti? Chissà!                                      
Terminata la chiamata, il Caposquadra ci comanda: "A posto, e in fila per due!.. Avanti, marsh!". Dal
cortile usciamo in via Quadrio. "Per fila dest!... dest! Per fila sinist... sinist! Unò-due, unò-due, unò... unò...passooo!".
Siamo in Via Ceresio e giunti in Piazzale Baiamonti l'ordine: "per fila dest!.." , ci fa imboccare la
Paolo Sarpi. Qui siamo padroni, e marciamo al centro della strada. Il Caposquadra, impettito, comanda:
"Adesso cantiamo "Giovinezza". Pronti?... Via! Giovinezza, giovinezza, primavera di bellezza...". Cantiamo tutti: siamo intonati? E chi se ne frega? Noi obbediamo a un ordine.
 La gente ci guarda indifferente, è  abituata. Dietro a noi, l'autobus della linea "O", ci tallona rassegnato, seguito da alcune automobili. Ad un tratto, mentre continuiamo a cantare, si sente un colpo di clacson. Il nostro Caposquadra, va indietro a vedere.
Chi ha osato? Individua l'intollerante e gli fa un gesto imperioso con la mano: "Cosa vuoi?". Dietro il
finestrino l'automobilista sorride imbarazzato, facendo capire che gli era scappato il dito pollice sul pulsante.
Poco credibile, ma gli va bene lo stesso, perché siamo dei totalitari. Fossimo stati i democratici di un centro sociale odierno, gli avremmo quanto meno sfasciata la macchina.
Il Caposquadra torna nei ranghi, impettito,si sente più importante di prima: il miscredente almeno gli ha chiesto scusa. Finiamo di cantare, e continuiamo la nostra marcia:
"Unò...unò... passo!". Arriviamo in fondo alla Paolo Sarpi. Al comando: "Per fila sinist... sinist!",
prendiamo per Via Canonica in direzione dell'Arena. L'autobus "O", che ci seguiva buono
buono; non appena gli è possibile, svolta invece a destra con rabbiosa accelerata, imitato dalle stridenti sgommate delle auto al suo seguito. "Che? Ce l'hanno con noi?"
Questa marcia, mi dà le emozioni di una prima volta: un ossimoro. Senso di colpa, per trovarmi
prepotentemente in mostra, nel bel mezzo della strada, e lampi d'orgoglio, per malcelato esibizionismo. Fatto sta che, a seconda dei momenti, avverto brividini lungo la schiena o pelle d'oca
al petto ed alle braccia.
Tutto passa, e anche questa camminata di tre ore, per il rione di Porta Volta, ha la sua fine col rientro nel cortile della Sede. Ci danno il "Rompete le righe!".
Stanco, fuggo con gli altri verso casa. Mi spoglio della divisa, che è da torcere per il sudore; mi passo brevemente fronte e torace, con una spugna pregna d'acqua, e mi stendo beatamente sul mio fresco letto. Domenica prossima ancora.
 

NATALE DI ROMA


Per motivi politici il Fascismo, arrivato al governo, abrogò la "Festa del lavoro" (la quale veniva in
precedenza commemorata, ogni anno, il Primo di Maggio, dal Partito Socialista); sostituendola
coll'anniversario della nascita di Roma: 2l Aprile (753 a .C.).


Così, oggi, Domenica 21 Aprile 1935, per "festeggiare" questa ricorrenza, la nostra solita adunata
settimanale (tanto per incominciare) è anticipata di un'ora. Ma si sa come vanno le cose in Italia: alle nove e mezza, siamo ancora in piedi, nel nostro solito cortile, in attesa di ordini che devono 
arrivare dall'alto.
Frattanto ci raggiungono numerosi avanguardisti dei gruppi confinanti: "D'Annunzio" e altri; e siccome il cortile ora trabocca, ci trasferiscono, inquadrati, in Viale Ceresio, dove a ciascuno di noi viene consegnato un moschetto, appena scaricato da un camion giunto da poco.
Il moschetto, lo so già maneggiare, per averlo appreso nel corso delle prime adunate.
Gli ordini provengono dall'alto, ma a noi li danno il Capocenturia e il Caposquadra i quali, per la grande occasione portano, allacciati alla spallina, gli alamari giallo e rosso della GIL:"In fila per tre!..
avanti marsh!.. per fila sinist... sinist!". Un nostro camerata sussurra al caposquadra: "Capo: dove andiamo?". Risposta: "Unò-due, unò-due, unò... unò... passooo!.. Lo vedrai.".
La nostra curiosità è appagata quando, sulla carreggiata centrale di Corso Sempione, all'altezza di
Piazzale Firenze, vediamo una centuria, quasi completa, di avanguardisti, ai quali ci uniamo. Allungando il collo, vediamo inquadrate a perdita d'occhio, avanti e dietro a noi, altre centurie di divise diverse: balilla, giovani fascisti, piccole e giovani italiane, camicie nere, e tante, altre.
Corre voce che dovremo sfilare, all'Arco della Pace, davanti ad una autorità.
Sono le undici, siamo in piedi da tre ore, sotto il sole di mezza primavera, e non sappiamo ancora
quando ci muoveremo. Qua e là, qualcuno non resiste, e si siede a terra, sull'asfalto caldo. I capicenturia fingono di non vedere, ma sotto la grinta d'ordinanza, si nota che anche loro sono stanchi, per un'attesa senza fine.
Piano piano ci troviamo tutti seduti a terra. Siamo anche assetati. Alle dodici e mezza, ci viene
ordinato di alzarci e di riprendere l'inquadramento. Moschetto in spalla.
Ora la centuria davanti alla nostra incomincia a muoversi, e poi anche per noi arriva l'ordine: "In
piedi!... Attenti!... Avanti... Marsh!", naturalmente con le rampogne che seguono: "Dritti, dritti, marmotte!...Passi lunghi e ben distesi!.. C'è il Podestà sulla tribuna: passo marziale!...".
E così sappiamo che sfileremo davanti al Podestà. La fanfara, a poche decine di metri da noi, intona
"Giovinezza" e altre marce, qualcuna rubata all'esercito. La musica ci aiuta a tenere il passo. Intanto il maglione nero a collo alto, sotto la giacca di lana, mi si inzuppa di sudore. Sento rivolini freddi partire dalla nuca e calare bizzarramente lungo la schiena
per fermarsi alla cintola, e altri che dalla cintola scendono sino alle fasce mollettiere. Una goduria.
Due chilometri così, e arriviamo alle tribune, installate a fianco dell'Arco della Pace. Sono strapiene di sansepolcristi (come dire fascisti d'annata), di generali dell'esercito, di blasonati, di nobildonne, di grandi dame e di qualche religioso porporato. In mezzo a tanta gente di rango, ondeggiano: bandiere d'Italia con lo stemma sabaudo, stendardi fascisti, gagliardetti, gonfaloni, insegne.
Sempre marciando, riceviamo l'ordine: "Attenti a... dest!". Guardiamo a destra, ma chi lo vede il
Podestà? Qualcuno tra noi, esausto ironizza: "E chi se ne frega?": è uno slogan fascista, ma blasfemo, perché pronunciato fuori luogo. Superato l'Arco della Pace, svoltiamo a sinistra per
un centinaio di metri e,mentre ancora marciamo, una voce lontana comanda:
"Rompete le righe!". E' stanca e poco percettibile, ma tutti l'abbiamo udita! Corriamo verso dei camion posteggiati là appresso, consegnamo i moschetti e ci polverizziamo.


Venerdì, 24 Maggio prossimo, anniversario della dichiarazione di guerra 1915/18, replicheremo
questa goduria.

 

 

IL GIOVANE FASCISTA


Compiuto il diciottesimo anno, divenni automaticamente " Giovane Fascista ", con conseguente cambio di tessera e divisa. La nuova uniforme, non mi costò molto perché conservava i pantaloni di panno grigio verde, alla bersagliera, che già indossavo da avanguardista.
Una fortuna, fu l'abbandono delle antipatiche fasce mollettiere e l'adozione, in cambio, di lunghe uose bianche che coprivano interamente la gamba. Al di sopra della camicia nera, con relativa cravatta, era prescritto l'uso della sahariana nera, di orbace e, come copricapo, una bustina pure nera, con un fregio fascista argentato, sul davanti.
Qualche giorno dopo il ritiro della nuova tessera, mi giunse a casa una cartolina del Partito, che m'invitava a presentarmi al Gruppo Rionale, 3° Piano, stanza 4, ore 21, "per urgenti comunicazioni". Fui puntuale, come mia abitudine e collocatomi davanti all'uscio, che era aperto, vidi all'interno una scrivania, dietro la quale, un giovanotto in camicia nera, magro e di statura media, sfogliava uno schedario. "Avanti! .... Dammi la cartolina... Devo farti i complimenti, sei il primo venuto: alle nove precise?. Non sapendo cosa dire, pronunciai una frase insulsa: "Ho ubbidito agli ordini, signor Comandante.".
 Nel frattempo, quello aveva trovata la mia scheda, e vi scrisse sopra qualcosa. "Intanto io non sono il comandante, magari! Sono invece un fascista scelto, addetto al settore dei giovani fascisti.
Ti ho chiamato per informarti che le nostre adunate, si fanno tutte le domeniche, alle 9,30, nel cortile qui sotto. Vedi di non mancare, perché il nostro Comandante non tollera l'assenteismo, e facilmente prende provvedimenti.". Intanto, fuori, si era formato un gruppo di cinque 
o sei altri convenuti. "...Mi chiamo Torriani. Adesso ti faccio qualche domanda per completare la scheda. Il tuo titolo di studio? Sei di razza ariana? Qualcuno della tua famiglia è iscritto al Partito Fascista? Fai dello sport? Sei occupato o disoccupato? In quali ditte hai lavorato"?. E via interrogando. Alla fine, invece di rilasciarmi, mi comandò: "Adesso vai fuori e aspetta: sistemo questi ritardatari, e poi ti devo dire ancora qualche cosa.".
 Un'ora dopo Torriani, finiti i colloqui con gli altri, mi richiamò: "Come vedi, siamo in un edificio nuovo, appena costruito: per la sua inaugurazione è venuto, in persona, il Duce; al quale il Gruppo è stato intestato: ecco perché si chiama Gruppo Rionale Benito Mussolini. Per questo, dobbiamo essere i primi in tutto: è l'ordine! Siamo però in fase organizzativa, e abbiamo bisogno di personale. Il nostro Comandante, Bruccoli; che è uno squadrista e qui capo della GIL; mi ha incaricato, di trovare, per questo ufficio, qualche giovane fascista, volontario, per aiutarmi nei lavori. Tu mi hai fatto un'ottima impressione, e noto che hai una buona istruzione, per cui ti chiedo, nell'interesse del Partito, di venire qui, qualche sera la settimana, a offrire la tua opera. Sei un iscritto e potrei ordinartelo, ma non lo faccio. Cosa mi rispondi?".
Avevo diciott'anni, ero disoccupato e con scarse probabilità di trovare lavoro, perché da poco avevo passata la visita di leva, e la chiamata alle armi sarebbe stata questione di mesi.
Di questa mia libertà forzata, approfittavo per migliorare la mia cultura, frequentando anche la Civica Biblioteca, che allora era ospitata nei saloni del Castello Sforzesco. Tutto questo per concludere che, da buon autodidatta, la mia giornata di studio era abbastanza impegnativa per la mia mente e quindi, che una occupazione serale, come quella propostami dal Torriani, avrebbe potuto avere per me, più che altro, effetti distensivi.
La mia risposta fu quindi affermativa: "Sì: mi dica per favore, quale sarebbe il mio impegno e che tipo di lavoro dovrei svolgere qui.". Torriani mi sembrò soddisfatto del mio sì.
"Bene. Allora prima di tutto: il "lei" è abolito; semmai si dà il "Voi"; e poi, a te permetto di darmi del tu, perché mi sei simpatico. Il tuo impegno, in questo ufficio, è dalle 20.30 alle 22.30, nei giorni di lunedì, mercoledì e venerdì. Se lo vuoi, nessuno ti vieta di venire anche il mercoledì e il giovedì. Il lavoro consiste nella tenuta dello schedario, nell'invio delle comunicazioni agli iscritti, nei colloqui con gli iscritti e con i loro parenti. Poi vedrai praticamente come si fa. Nelle altre sere della settimana, verrà un altro camerata, che sceglierò nei prossimi giorni. Allora ci vediamo domani sera, che è mercoledì. Puoi andare, ciao.". Mi salutò romanamente ed io ricambiai.
Il giorno dopo, alle 20.30, la porta della stanza 4, è chiusa. Mentre medito sul da farsi arriva, con la chiave in mano, Torriani, il quale subito mi apostrofa: "Ma, allora per te la puntualità è proprio un vizio! Bene, bene, perché abbiamo un sacco di lavoro.". Appena entrati egli, dopo aver preso da uno scaffale un pacchetto di cartoline e, dalle poche carte accumulate sull'unico tavolo, un foglio e una rubrica, mi dà le spiegazioni: "Prendi quella sedia e siediti qui, vicino a me. 
Questo, è l'elenco di quelli che domenica scorsa non sono venuti all'adunata. Dobbiamo invitarli qui, per dargli una girata. Si legge sull'elenco un nome, e poi si cerca sul quaderno l'indirizzo di casa, che si scrive sul davanti della cartolina; poi si gira la cartolina, che in parte è già stampata e si completa: bisogna mettere il numero del piano: 3°, e della stanza: 4; poi l'ora: 21.=. Al posto della data si scrive invece "immediatamente": è più fascista e fa più impressione. Vedo che hai già capito tutto: allora tu incomincia a scrivere...Ah! A proposito: domani sera si presenta il giovane fascista che ho trovato per darti il cambio nei giorni pari. Se vieni anche tu, potrete conoscervi.". Io adesso scendo a vedere se è arrivato il Comandante.
 Incomincio a compilare cartoline e noto che sul retro, a stampa, è scritto: "In caso di inadempienza, saranno presi seri provvedimenti.".
Una frase ad effetto, poco esplicita, inventata chissà da chi, la quale, come già so, viene ripetuta, a voce o per iscritto, in ogni occasione, in cui si deve intimidire il destinatario.
 

 

 

 

IL COMANDANTE E IL MIO TURNISTA ROBERTO

 

Appena ho finito di scrivere cartoline, torna Torriani: "Il Comandante Bruccoli è arrivato, adesso è al primo piano, nel suo ufficio. Dobbiamo andare giù subito, perché ti devo presentare. Pianta lì tutto e scendiamo!". Usciamo, e lui chiude la porta a chiave. Dico: " E adesso, se arriva qualcuno?". Mi risponde: "Gli appuntamenti sono per le 9, no? Adesso sono le dieci, se arrivano: o aspettano, o ritornano un altro giorno.". Al primo piano, fa capolino ad una porta: "Possiamo?". Poi entra e mi fa cenno di seguirlo

Sono anni, che di fama conosco il Comandante, ma questa è la prima volta che lo vedo. Indossa la divisa di squadrista. E' azzimato, alto, magro, taglio di capelli regolare, brizzolato. Si capisce subito che è energico, nervoso, e facile a perdere la pazienza, però non ha una grinta, anzi: il suo viso è disteso e quasi simpatico. Da come si esprime, penso che sia laureato. So che ha trentatré anni, e ho già fatto i miei calcoli: è nato nel 1905, e nel 1922, diciassettenne, ha partecipato alla marcia su Roma. Insomma è un pasdaran ante litteram, un fascista che più fascista non si può

Mi guarda un attimo e poi: "Torriani mi ha parlato molto bene di te. Ho piacere che ti sia offerto volontario per contribuire al sostegno del Partito, e sono sicuro che non ci deluderai. Il Partito lavora e si mobilita, per dare sicurezza agli italiani, per tenere alti i valori della loro Storia, della Patria, della Bandiera, e per impedire, dopo averla espulsa con la Rivoluzione Fascista, il ritorno della feccia anarchica e comunista.". Conclusa la piccola formalità, ci liquida: "Potete andare.". Impalati sull'attenti, salutiamo romanamente e usciamo

La sera dopo, non manco all'appuntamento: voglio conoscere il mio turnista. Roberto è un ragazzo molto simpatico, un po' corpulento; come ogni romagnolo consumatore di tortlein, e amatore di lambrusco; e allegro, quanto tutta le gente della sua terra. E' impiegato di banca, e si è offerto volontario al Gruppo, per movimentare il suo tempo libero. Torriani, che non ha famiglia, dopo avergli spiegato il lavoro, anche a lui dice: "Diamoci del tu.": un modo, forse, per non sentirsi troppo solo

Alle nove e mezzo, si presenta un giovane fascista, di quelli invitati con la cartolina. Noi tre tralasciamo i nostri discorsi cordiali e ci ricomponiamo, assumendo un aspetto serio. Torriani, seduto dietro la scrivania, si fa dare la cartolina, poi scorre il famoso elenco, e infine attacca

- "Mi risulta, che per tre domeniche, non ti sei presentato alle nostre adunate. Perché?".

- "Ho la nonna vecchia e ammalata.".

- "Ah, sì? Fammi vedere la tua tessera della GIL.". Quello consegna il documento.

- "Questa tessera non è stata rinnovata. Incomincia a metterti in regola. Lo sportello del tesseramento è più avanti sullo stesso piano. Vai, rinnova e poi torna qui a mostrarmela."

Il ragazzo esce per eseguire, e Torriani commenta: "Ecco un esempio di lavativo. Si iscrive al partito e non frequenta le adunate, se poi gli chiedi le ragioni, inventa la balla della vecchia nonna ammalata. Cosa si può fare per mettergli in testa, che non deve bigiare le adunate? Delle bastonate? No, non si può: prima di tutto perché la rivoluzione fascista è finita nel ventidue, e poi: bastoniamo uno dei nostri? Perché è lavativo sì, ma iscritto. Noi continuiamo a minacciare seri provvedimenti, e poi non possiamo fare niente. Intanto il Comandante, quando vede il rapporto delle adunate, se la prende con noi per l'assenteismo. Ma stiano attenti gli assenti: Bruccoli non è da prendere sottogamba: potrebbe inventarne una delle sue."

Intanto il lavativo torna, con la tessera aggiornata, e l'interrogatorio riprende

- Quanti siete in famiglia?

- Io, i miei genitori, mia sorella e mia nonna.

- E con una famiglia così numerosa, non trovi il tempo di venire, per due ore, all'adunata della domenica? Ascoltami bene: questa sera mi hai preso per i fondelli con una storia della nonna, che non sta né in piedi né sdraiata: domenica prossima, non voglio sentire scuse: tu vieni all'adunata, come fanno tutti i tuoi camerati...". E qui il tono si fa minaccioso: "Se tu non sarai presente, ti veniamo a prendere a casa. Hai capito? Sai cosa intendo quando ti dico: ti veniamo a prendere?".

Il ragazzo resta senza parola e mostra preoccupazione. Viene accomiatato con un: "Adesso te ne puoi andare, ma ricorda bene quello che ti ho detto questa sera."

Fuori il reprobo, Torriani commenta: "A me dispiace fare la faccia feroce, ma anche mi incavolo quando mi prendono in giro con le balle"

Intanto sono le 22.30 e ci prepariamo ad uscire. Roberto propone: "E' presto! Andiamo da Loreno?". Ora interrogo io: "E chi è Loreno?". Risposta: "E' un negozio di cibi cotti, qui in via Rosmini, a metà di via Canonica. Il padrone è un toscano di Lucca, ha il forno a legna, e le sue specialità sono il castagnaccio e la farinata di ceci. Siamo d'accordo: andiamo dal "cibicotti" tutti e tre. Strada facendo, quando le chiacchiere vanno esaurendosi, Roberto domanda: "La sapete l'ultima su Mussolini?". Torriani interviene morbido e sottovoce: "Ehi, ragazzi! Volete una denuncia?... Dai Roberto racconta!"

"Mussolini, da Predappio, sta tornando a Roma sulla sua spider rossa ("Mille miglia" 514 S.). Quasi giunto alla Capitale, deve fermarsi ad un passaggio a livello chiuso. Mentre attende che le sbarre si alzino, gli si ferma a fianco un contadino in bicicletta. Il Duce, che ama sapere cosa di lui pensa il popolo, gli rivolge la parola

- "Ehi, buonuomo: dove siete diretto?". Quello non mostra di riconoscere il Duce.

- "Vado a Roma da Mussolini.".

- "Da Mussolini? Come mai?".

- "Vado a chiedergli un sussidio, perché il nostro Stato è ladro e ci fa morire di fame."

- "Ma siete sicuro che il Duce vi riceverà?.".

- "Mi riceverà, si mi riceverà!". Dice torvo l'uomo.

- "E se non vi riceverà, cosa farete?.".

- "Gli dico vaffan....".

Intanto il treno è passato e le sbarre si alzano. Mussolini fa un cenno di saluto al contadino, e, sgommando, riparte per Roma. Giunto a Palazzo Venezia, manda a chiamare il sottufficiale del corpo di guardia, lo informa che giungerà un rurale a chiedere del Duce, e gli ordina di lasciarlo passare. Il giorno dopo arriva l'uomo, e viene introdotto nella immensa Sala del Mappamondo, in fondo alla quale, Mussolini è seduto dietro a una grande scrivania. Lo zotico lo riconosce immediatamente, ma dissimula

- "Cosa desiderate buonuomo?".

- "Duce: un sussidio, perché ho una famiglia numerosa."

- "Voglio credervi, e farò una eccezione per voi, perché non posso accontentare tutti. Ecco qui un assegno che, potrete riscuotere in qualsiasi banca.".

- "Grazie Duce! Che Dio ti benedica, Eccellenza!"

Il novello beneficato, alza la mano in un goffo saluto romano e, con un dietro-front, sta per andarsene, ma il Mussolini lo richiama

- "Ehi, buonuomo! Cosa avreste detto, se non vi avessi dato il sussidio?".

- "Duce: te l'ho già detto. Al passaggio a livello!"

Torriani: "Buona! Però vi sconsiglio di andarla a raccontare a Bruccoli."

Siamo arrivati in via Rosmini, il negozio è l'unico aperto, e lo si vede subito, perché le sue luci si stagliano sulla scarsa illuminazione della strada. Entriamo, a quell'ora è presente solo il proprietario, tipo allegro, con un canovaccio non troppo pulito legato ai fianchi: "Salve Roberto, stasera sei in compagnia. Buonasera!". Salutiamo anche noi e Roberto scherzando: "Loreno: ti porto nuovi clienti, fammi fare una bella figura. Noi siamo già d'accordo: vogliamo un assaggio di castagnaccio e di farinata di ceci.". Poco dopo, siamo serviti, alla buona, con i tranci avvolti in quadrati di carta oleata. Loreno precisa: "In inverno preparo un'altra specialità, tipica di Lucca: la "scaldina": è una specie di polenta fatta di farina di castagne, e vino delle nostre parti: vi assicuro che la "scaldina", vi fa passare il freddo, per quanto ne avete.". Chiacchieriamo ancora un po' e arriva mezzanotte, non possiamo perdere gli ultimi tram. Usciamo dal negozio e ci salutiamo: per il rientro a casa, le nostre strade si separano

Un povero padre! La sera seguente sono io di turno. Torriani non sarà presente per propri impegni. Quando alle nove arrivo al terzo piano trovo, fuori della porta della nostra stanza, un uomo sui cinquant'anni, con la famosa cartolina in mano. Ho capito: tocca a me dare il cicchetto. Entro nella stanza e chiedo

- "Mi date la cartolina per favore?".

- "Sissignore.". L'uomo si mette sull'attenti e me la dà.

- "Evidentemente voi non siete il destinatario di questa cartolina.".

- "Nossignore, è mio figlio".

- "E perché non è venuto vostro figlio?".

- "Guardi, le dico la verità: non è venuto perché aveva paura della punizione, allora sono venuto io a sentire.".

- "Se leggete bene la cartolina che vi abbiamo mandato; l'invito era "per comunicazioni"; mentre i "seri provvedimenti", erano minacciati soltanto nel caso di inadempienza alla convocazione. E' necessario quindi che si presenti, in persona, vostro figlio."

L'uomo incomincia ad agitarsi, si vede che è preoccupato e mi mette in imbarazzo: potrebbe essere mio padre. Colgo un certo nervosismo delle sue mani, quando si raccomanda

- "Non gli farete del male vero? Guardi: se c'è da pagare una multa, io la pago, però..."

- "Tranquillizzatevi e ascoltatemi. Vostro figlio, leggo qui, sulle nostre note, si è iscritto alla GIL all'inizio quest'anno, e non è mai venuto alle adunate settimanali, che si tengono alla domenica . Se continuerà a non farsi vedere, verrà espulso dal Partito, e questo per lui sarebbe grave, perché come sapete, la tessera dà molti vantaggi... 

Il vostro ragazzo l'ha acquistata la divisa da Giovane Fascista?".

- "Sì, sì, ce l'ha, l'abbiamo appena comperata.".

- "Bene, allora facciamo così: voi convincete vostro figlio ad essere presente alla adunata della prossima domenica, e noi questa cartolina la stracciamo. D'accordo? - "Si, si, lo convincerò. Grazie! Grazie, signor Comandante! Buona sera"

Questo piccolo episodio, sollecitò le mie riflessioni, per cui mi chiedevo per quale motivo dei giovani si iscrivevano alla GIL, assumendosi con ciò, volontariamente, l'impegno di rispettarne il regolamento, per poi trascurarne l'osservanza, disertando le adunate. Non minore perplessità però, mi destava il fatto che il Partito non radiasse i camerati che normalmente evitavano la presenza alle nostre riunioni

Col tempo, finii per frequentare il Gruppo, anche in qualche ora libera della giornata, tanto che il portiere, arrivò a consegnarmi la chiave della stanza 4, senza più chiedermi delle spiegazioni. Ed era tutto dire, perché il custode; che vestiva abito civile, ma sempre con camicia nera; aveva la grinta severa di un diffidente can mastino

Anche Bruccoli appariva in Sede a tutte le ore, e con lui, all'incontro, scambiavo il saluto romano. Un giorno il Comandante mi fermò: "Vedo che sei assiduo, qui in sede. Bravo! Ho da darti un incarico: vieni con me!". Lo seguii e mi portò, al primo piano, due porte in là dal suo ufficio, nel salone delle riunioni. Si fermò davanti a una grande teca, straboccante di coppe argentate, statuette metalliche, e altri oggetti, la cui lucentezza era appannata dal tempo. E qui un ordine: "Devi pulire questi trofei, conquistati dai valorosi atleti del nostro Gruppo. Chiedi al custode il materiale necessario. Sono sicuro che farai un buon lavoro." E se ne andò.

giomarkin@virgilio.it

 

 

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ivevano alla GIL, assumendosi con ciò, volontariamente, l'impegno di rispettarne il regolamento, per poi trascurarne l'osservanza, disertando le adunate. Non minore perplessità però, mi destava il fatto che il Partito non radiasse i camerati che normalmente evitavano la presenza alle nostre riunioni

Col tempo, finii per frequentare il Gruppo, anche in qualche ora libera della giornata, tanto che il portiere, arrivò a consegnarmi la chiave della stanza 4, senza più chiedermi delle spiegazioni. Ed era tutto dire, perché il custode; che vestiva abito civile, ma sempre con camicia nera; aveva la grinta severa di un diffidente can mastino

Anche Bruccoli appariva in Sede a tutte le ore, e con lui, all'incontro, scambiavo il saluto romano. Un giorno il Comandante mi fermò: "Vedo che sei assiduo, qui in sede. Bravo! Ho da darti un incarico: vieni con me!". Lo seguii e mi portò, al primo piano, due porte in là dal suo ufficio, nel salone delle riunioni. Si fermò davanti a una grande teca, straboccante di coppe argentate, statuette metalliche, e altri oggetti, la cui lucentezza era appannata dal tempo. E qui un ordine: "Devi pulire questi trofei, conquistati dai valorosi atleti del nostro Gruppo. Chiedi al custode il materiale necessario. Sono sicuro che farai un buon lavoro." E se ne andò.

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